La presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde con Mario Draghi
6 minuti per la letturaLa riunione della Bce del 22 luglio rimarrà nella storia bancocentrale come una pietra miliare. Che cosa è stato detto, sopra e sotto le righe, per meritare questo giudizio? Ecco una serie di domande e risposte:
D: Si è molto parlato del 2% di inflazione. Perché proprio il 2%? Perché non l’1 o lo zero o il 3%?
R: La risposta può apparire sorprendente, ma in realtà il 2% vuol dire zero%. Molti studi hanno esplorato l’influenza dei miglioramenti di qualità dei beni sull’inflazione, e hanno concluso che una parte degli aumenti dei prezzi è dovuta a miglioramenti di qualità (per esempio, un’auto con gli alzacristalli elettrici costa di più dello stesso modello senza, ma quel ‘di più’ che viene registrato come aumento di prezzo, non è vera inflazione). Detti studi hanno concluso che questi miglioramenti contano per un 2%. Quindi, un’inflazione che registra il 2% è in verità un’inflazione zero.
D: Allora, quando le Banche centrali si danno un obiettivo del 2% mirano in realtà allo zero?
R: Esatto. Ma la forma mentis dei banchieri centrali era, fino a non molto tempo fa, ancora fissata sullo zero. In una conferenza stampa del maggio 2003 Wim Duisenberg – il primo presidente della Bce – disse: «Nei 16 anni in cui sono stato governatore della Banca centrale olandese avemmo due anni di deflazione (al -0,5%). Dichiarai allora pubblicamente che vivevo nel paradiso dei banchieri centrali». Forse non si rendeva conto che quel -0,5% che allora magnificava era in realtà una deflazione spinta (-2,5%!), e la deflazione è una brutta bestia, perché spinge a non spendere: tanto domani i prezzi saranno più bassi…
D: “Fino a non molto tempo fa” – allora, adesso le cose sono cambiate?
R: Sì, le cose sono cambiate. Le Banche centrali si diedero un obiettivo del 2% – anzi, per essere più precisi, l’inflazione doveva essere “sotto ma vicino al 2%”. Con il che riconoscevano che non bisognava andare verso la deflazione. Insomma, il ‘paradiso’ di Duisenberg doveva essere evitato, perché rischiava di scivolare nell’inferno della deflazione. La ricetta quindi era questa: un’inflazione ben sotto al 2% deve essere contrastata con una politica monetaria espansiva.
D: E il 22 luglio le cose sono cambiate ancora?
R: Sì, sono cambiate. Adesso il 2% è diventato un obiettivo ‘simmetrico’. Cosa vuol dire? Innanzitutto vuol dire che il ‘sotto ma vicino” non vale più. Bisogna mirare al 2%, senza se e senza ma. E poi il “vicino” acquista un altro significato: “vicino da sotto” e anche “vicino da sopra”, cioè a dire che l’inflazione potrà essere anche superiore al 2%, senza che questo porti automaticamente la Bce a stringere i freni con aumenti dei tassi.
D: È veramente una novità?
R: Sì e no. È una novità nel senso che la precedente interpretazione del 2% è stata cambiata. Ma non è una vera novità per due ragioni.
D: Ragione numero 1?
R: La Federal Reserve Bank. La Banca centrale americana già da tempo non si preoccupa di un’inflazione superiore al 2%. Addirittura, con i prezzi al consumo che aumentano, secondo l’ultimo dato del giugno 2021, del 5,4% sull’anno, la Fed conserva un’olimpica calma, si dice convinta che si tratta di fattori temporanei e non dà nessun segnale di cambiare la postura espansiva e accomodante della sua politica monetaria. In ciò è certamente aiutata dal fatto che nel suo mandato ci sono due obiettivi: mantenere l’inflazione bassa, e sostenere l’occupazione. I due obiettivi hanno eguale peso, mentre, per la Bce, il sostegno all’economia è un obiettivo subordinato, e quello principe è il controllo dell’inflazione.
D: Ragione numero 2?
R: Anche per la Bce si potrebbe dire che l’obiettivo di un 2% simmetrico non è una novità. C’è un potere monetario ‘duro’ (hard power), che è quello di prendere misure come variazioni dei tassi o acquisti/vendite di titoli. E c’è anche un potere monetario ‘soffice’, (soft power) che consiste nelle dichiarazioni che orientano le decisioni. Esattamente due anni fa, a fine luglio 2019, l’allora presidente della Bce Mario Draghi, nella conferenza stampa post-riunione della Bce, fece buon uso del suo personale soft power: sottolineò il fatto che l’obiettivo di inflazione è ‘simmetrico’. Una ‘simmetria’ che andava al di là della stretta definizione del 2% vista prima, ma Draghi ne faceva un’interpretazione estensiva. Non per niente è stato definito da Roberto Napoletano come “il più americano dei banchieri centrali”.
D: Altre novità nelle dichiarazioni della Presidente della Bce Christine Lagarde?
R: I cambiamenti di strategia non sono mai cesure nette col passato. I cambiamenti si sedimentano nei fatti prima di essere ufficializzati come una ‘revisione strategica’. Nella fattispecie, da un bel po’ di anni a questa parte, la Bce, come le altre Banche centrali, aveva fatto ricorso a misure ‘non-convenzionali’ di politica monetaria: tipicamente, acquisti di titoli pubblici e privati per immettere liquidità nell’economia. Si pensava che queste fossero misure da adottare solo in casi estremi, e c’erano forti timori che tutta questa liquidità che andava sciacquando per l’economia portasse poi a inflazione. Questi timori non sono spariti, ma le politiche ‘non-convenzionali’ sono adesso entrate a pieno titolo nella ‘sala d’armi’ della politica monetaria.
D: In pratica, cosa vuol dire tutto questo? La Bce continuerà a sostenere l’economia?
R: Sì, il sostegno continuerà, specie adesso che la variante Delta del virus minaccia di infettare anche l’attività economica. Il passato ci ha dato numerosi esempi del pericolo di cessare prematuramente le politiche di supporto. Le ricadute ci insegnano: nel 1937, per esempio, il Presidente Roosevelt, dopo aver passato anni a spendere e spandere per contrastare la Grande depressione, decise di cessare il sostegno; e l’economia puntualmente ricadde. Lo stesso successe, nel 1997 in Giappone, quando un aumento dell’Iva portò a una recessione.
Per la politica monetaria, c’era un’asimmetria nelle funzioni di reazione: pronti a stringere quando l’inflazione passa il limite verso l’alto, lenti ad allentare quando il tasso di aumento dei prezzi scende oltre il dovuto. Ma adesso l’obiettivo, come detto, è ufficialmente simmetrico, e sia le misure sui tassi che quelle sugli acquisti di titoli (Qe, Espansione quantitativa della moneta) continueranno finquando l’inflazione dell’Eurozona non giungerà al 2%. Cioè a dire, continueranno per molto tempo, dato che previsioni stesse della Bce danno un tasso di aumento dei prezzi al consumo sotto quel limite sia per il 2022 che per il 2023.
D: Ci sono degli argomenti che non sono stati toccati ma sono importanti per il futuro della politica monetaria?
R: Sì, una questione cruciale è quella dell’euro digitale. Da non confondere col Bitcoin: mentre quest’ultimo è ‘una soluzione alla ricerca di un problema’, l’euro digitale (e non solo l’euro – come ha ricordato la Lagarde in altra sede, ci sono un’ottantina di Banche centrali che meditano di introdurre monete digitali), può risolvere problemi veri. A parte questioni arcane relative ai sistemi di pagamento, un euro digitale può permettere alla Banca centrale di immettere liquidità nell’economia seguendo vie meno tortuose dell’acquisto di titoli sul mercato. I privati – famiglie e imprese – potrebbero avere conti in banca con la Banca centrale. Un domani, se ci fosse un’altra crisi epocale (incrociamo le dita), la Bce potrebbe immettere soldi nell’economia in modo più diretto e immediato. ‘Soldi dall’elicottero’? Sì. Offuscando così i confini fra politica di bilancio e politica monetaria? Sì. E non c’è niente di male ad offuscare
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