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Il vice ministro dell’Economia e delle Finanze, Laura Castelli

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I LEP sono l’unica strada per mettere fine al criterio della spesa storica e alle diseguaglianze territoriali a svantaggio del Sud, ma «la storia dei Comuni ci insegna che in autonomia non si riesce a calcolare il livello essenziale delle prestazioni. La facoltà delle Regioni di autocalcolarselo, se lo Stato non riesce a farlo, è un paracadute ma se devo scommettere sarà inapplicata perché è difficile autocalcolarsi».

Parola della viceministra dell’Economia e delle finanze, Laura  Castelli, che ieri, in audizione in  commissione  Federalismo fiscale sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, ha frenato sulla possibilità di lasciare che siano le Regioni a calcolare i Lep. «Vorrei – ha detto – che per i dati delle Regioni si attivasse la stessa cabina attivata per gli enti locali altrimenti possiamo continuare a scrivere testi ma non si arriverà a una conclusione. La sfida più grande è provare a fare stesso processo sulle Regioni, non è così difficile, l’ho provato sui Comuni e si può fare con qualche mese di lavoro».

Dalla sanità all’istruzione, attualmente il gap tra Nord e Sud è enorme. In base ai dati Istat più recenti, ad esempio, l’offerta di servizi socio-assistenziali presenta estesi divari territoriali: si passa dai 22 euro pro-capite della Calabria ai 540 della Provincia autonoma di Bolzano. La spesa sociale del Sud è molto più bassa che nel resto d’Italia: 58 euro annui pro-capite contro una media nazionale di 124 euro. Le Isole, trainate dalla Sardegna, toccano i 122 euro pro-capite, il Nord-ovest si attesta a 133, il Centro a 137 e il Nordest a 177.

«Noi gli stiamo dando i soldi – ha proseguito Castelli – e dobbiamo capire se dobbiamo dare più risorse o se non le stanno utilizzando. Spero, e lavorerò per questo, che si possa fare entro fine legislatura, non per promettere soldi agli enti ma per capire se sono distribuiti nel modo giusto e vedendo se ci sono buchi nei servizi».

IL NODO DEI RIPARTI DEI FONDI NAZIONALI

Al centro dell’audizione di ieri anche le modalità di riparto dei diversi fondi nazionali, un nodo cruciale per superare l’iniqua distribuzione delle risorse. Basti pensare a quello che accade nella sanità da ormai oltre 15 anni, con la fetta più grande del fondo che finisce al nord. Anche nel 2021 la “regola” si è ripetuta: per la salute e le cure di un pugliese, lo Stato investirà 1.861 euro, contro i 1.982 riservati ad un emiliano e 1.935 per un veneto.

La Lombardia, che conta 10 milioni di residenti, riceverà 19,42 miliardi contro i 18,8 miliardi del 2020: + 600 milioni in un anno e una quota procapite pari 1.942 euro. La Campania solo 1.877 euro pro capite; la Calabria (quasi due milioni di abitanti) otterrà solamente 3,67 miliardi, circa 70 milioni in più rispetto al 2020 e 1.837 euro procapite. Nel confronto tra il 2010 e il 2020, l’incremento percentuale del Fondo sanitario nazionale ha sempre premiato il Nord: negli ultimi 10 anni la Lombardia ha visto aumentare la propria fetta dell’11,4%, l’Emilia Romagna del 9,9%; 8,2% in più per la Toscana. La Basilicata, invece, ha avuto un incremento percentuale molto più modesto (+4,9%); l’Abruzzo del 6,7%; Calabria +5,7%; la Puglia e la Campania di circa l’8,1%.

«Credo – ha detto Castelli – che si debba iniziare a legare tutti i riparti agli indicatori che riguardano la sofferenza territoriale. Da ormai un anno e mezzo al Mef facciamo riparti che hanno criteri legati alla sofferenza territoriale. Laddove lo abbiamo fatto ha funzionato. Imporlo per legge credo sia eccessivo ma sensibilizzare tutti i ministeri a questa metodologia può funzionare. Ci sono ancora troppi fondi stabiliti con riparti un po’ così».

E se lo dice la viceministra. «È possibile oggi – ha garantito – immaginare una fiscalità collegata agli indicatori di performance, non lo fa nessuno, si usa poco, ma senza accorgercene spenderemo risorse sul Pnrr calibrati su obiettivi di ricaduta».

GLI ASILI NIDO

La viceministra ha richiamato alle proprie responsabilità i Comuni sulla spesa per gli asili nido. Con l’addio al principio della “spesa storica” nella distribuzione dei fondi destinati ad asili nido e welfare – sancito dalla Commissione tecnica dei fabbisogni standard del ministero dell’Economia con l’approvazione dei nuovi obiettivi per lo sviluppo dei servizi sociali – i «Comuni non hanno più scuse», ha detto Castelli. «Sugli assistenti sociali quest’anno siamo partiti con una crescita gigantesca di risorse che arriverà nel 2030 ad avere quel livello standard, sempre che i Comuni sappiano spenderli. Oggi Reggio Emilia ha gli stessi soldi di Reggio Calabria. Così come per gli asili nido, oggi i Comuni hanno le risorse per la spesa corrente, per la spesa di investimento e la possibilità di fare il voucher se non hanno ancora asili nido costruiti. C’è tutto quello che serve per permettere all’amministrazione locale di colmare il gap. È questione di volontà e capacità di amministrazione e realizzazione. Le risorse ci sono e vanno utilizzate», ha evidenziato.

Quello degli asili è, però, un problema tuttora attuale e che a riflessi diretti sulla crescita economica del Paese: nelle zone d’Italia dove scarseggiano i posti negli asili nido e i servizi per la prima infanzia è più alta la disoccupazione femminile. Non potendo contare su strutture in grado di accogliere i bambini più piccoli, molte donne sono costrette a rinunciare alle offerte di lavoro o a non cercarla proprio una occupazione e questo accade soprattutto al Sud. I dati l’Istat descrivono una situazione di minori opportunità per le donne e le famiglie del Mezzogiorno.

Ad esempio, in Valle d’Aosta dove i posti ogni 100 bambini tra 0 e 2 anni è pari al 45,7%, l’occupazione femminile tra 25 e 34 anni è del 70,4%; in Emilia Romagna dove ci sono 39,2 posti ogni 100 bambini, il tasso di occupazione è del 67,5%; in Campania con 9,4 posti negli asili e al 30% l’occupazione femminile.

«Sulla natalità, invece, i Governi hanno puntato sul Family Act, sull’assegno unico familiare, ma non può bastare: le politiche sulla natalità passano anche dalle risorse dei Comuni per assicurare i servizi alle famiglie e da un buon welfare aziendale. La sfida è interministeriale e non più solo settoriale», ha sottolineato la viceministra.


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