Lo stabilimento dell'ex Ilva
4 minuti per la letturaDA QUATTRO anni curo un mio blog, “stanzediercole” con due pubblicazioni settimanali, una il martedì e l’altra il venerdì e, da quattro anni, con una sistematicità forse eccessiva, ho denunciato la necessità di una scelta per Taranto capace di superare questa lunga fase di annunci, di scelte contrattuali mai concluse, di impegni non mantenuti, di sentenze preoccupanti, di scelte dell’Amministrazione locale vinte al TAR e perse al Consiglio di Stato.
Ebbene, io sarei davvero contento se il nuovo management, in particolare il nuovo presidente Franco Bernabè, potesse leggere le mie banali proposte relative a due distinte linee di pensiero:
- La chiusura del centro siderurgico ed il contestuale inserimento nell’area di un’altra attività e di un’altra funzione; fermo restando la attivazione di una rigenerazione della vasta area tarantina
- Il rilancio dell’impianto siderurgico con risorse pubbliche e chiusura dell’attuale impianto per almeno tre anni
In merito alla prima ipotesi ricordo che un impianto siderurgico pensato 50 anni fa e reso operativo 40 anni fa è senza dubbio obsoleto, altamente inquinante e, soprattutto, con basse soglie di produzione, con basse soglie di concorrenzialità, con limitati standard qualitativi. L’area vastissima da un lato ed un porto con caratteristiche funzionali davvero invidiabili dall’altro, potrebbero diventare, come da me ribadito in diversi blog, una “Singapore del Mediterraneo”.
In realtà il Mediterraneo, come ho avuto modo di ricordare ultimamente, con l’avvio dei lavori del “Istanbul Canal”, cioè di un canale parallelo al Bosforo, diventa sempre più uno dei teatri logistici più importanti del pianeta, un teatro che attualmente vede tre impianti portuali come Algeciras, Valencia e Pireo assicurare la movimentazione di circa 15 milioni di TEU l’anno (circa 5 milioni di TEU – un container della misura di 20 piedi – in ogni singolo impianto), mentre in tutti i porti italiani il numero di TEU movimentati si attesta su un valore totale di circa 10 milioni.
Tra Mediterraneo e Mar Nero le previsioni più prudenziali prevedono una crescita del numero di container nei prossimi 10 – 15 anni di almeno 20 – 25 milioni. Per la sua ubicazione Taranto potrebbe rispondere davvero ad una dimensione di 3 – 4 milioni di TEU. In realtà tale dimensione potrebbe essere anche raggiunta se i 4 porti del Sud, mi riferisco ai porti di Cagliari, Augusta, Gioia Tauro e Taranto, decidessero di collaborare insieme per offrire una “piastra transhipment Italia”, una piastra che non toglierebbe nulla in termini di movimentazione sia al sistema portuale dell’arco tirrenico del Nord che a quello dell’arco adriatico del Nord.
La seconda ipotesi, invece, è stata parzialmente attivata ultimamente con la partecipazione pubblica rilevante, dico parzialmente perché io ritenevo opportuno una integrale reinvenzione dell’impianto, una reinvenzione da effettuare integralmente dallo Stato con un investimento stimato pari a circa 6 miliardi di euro e con l’assegnazione di un ulteriore miliardo per la rigenerazione urbana della città di Taranto e del suo hinterland. Non ha senso in questa fase la partecipazione privata perché, come avvenuto finora, assisteremo ogni giorno, ogni mese, ogni anno a vincoli procedurali, a contenziosi preventivati sin dall’inizio dell’assegnazione della gestione alla Società Arcelor Mittal.
Faccio solo un esempio dei continui contenziosi, delle sistematiche motivazioni di attriti aperti tra Concedente e Concessionario: “Il 30 giugno dovranno essere completati gli interventi ambientali di adeguamento alla “batteria 12*“, la più grande del reparto cokerie dello stabilimento di Taranto e la nuova “doccia 6**”.
Il Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani ultimamente con apposito decreto ha negato la proroga di un anno chiesta da ILVA. Tra l’altro l’impianto doveva essere ammodernato già nel 2014 e si è arrivati ad oggi di proroga in proroga. Se i lavori non verranno completati “il Gestore deve immediatamente avviare dal 1° luglio 2021 la messa fuori produzione della batteria n. 12 e concludere tale processo entro e non oltre 10 giorni”.
La chiusura della batteria 12 che produce il coke necessario ad alimentare gli alti forni abbatterà ancora di più la capacità produttiva dello stabilimento, già attualmente ai minimi. Mettendo a rischio l’obiettivo dei 5 milioni di tonnellate a fine anno.
Queste mie due ipotesi sono sicuro il presidente Bernabè le comprenderà e non credo possa sottovalutarle perché il “fattore tempo” lo preoccupa: fra un anno o al massimo fra due anni, infatti, senza una operazione d’urto, senza un ribaltamento sostanziale delle varie linee prospettate ultimamente, si rimane fermi legati all’attuale inerzia decisionale e questo non credo che il presidente Bernabè possa accettarlo.
Non sono un veggente ma penso che nei prossimi mesi assisteremo anche alla uscita di Arcelor Mittal e a questo punto sarebbe bene evitare di essere ancora ottimisti perché bisogna avere il coraggio di evitare la più grave bomba sociale del Mezzogiorno: il crollo irreversibile di 20.000 posti di lavoro. Negli ultimi sei anni hanno sbagliato in tanti, ha sbagliato l’ex Ministro Calenda a firmare un contratto poco garantista, ha sbagliato l’ex Ministro Di Maio a modificarlo in peggio, ha sbagliato l’ex Ministro Patuanelli ad aprire un tavolo con Arcelor Mittal senza chiuderlo in modo positivo, il Presidente Bernabè non può assolutamente “sbagliare”.
* La “batteria” di forni a coke è composta da una serie di forni stretti, alti e profondi, sistemati uno accanto all’altro.
** “la doccia 6” garantisce il rispetto del limite polveri di 25 g/t coke.
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