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Un rendering del Ponte sullo Stretto

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“GRANDE” escluso dal pacchetto delle opere previste nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Ponte sullo Stretto di Messina è stato protagonista nella Conferenza unificata governo-Regioni-enti locali che avevano chiesto di essere sentiti sul fondo complementare da 30,6 miliardi destinato a coprire le opere “escluse” dal Pnrr. Intorno al tavolo si è celebrata la protesta delle Regioni Sicilia e Calabria per l’assenza del Ponte sullo Stretto tra le opere finanziate dal fondo.

In particolare, il vicepresidente della Regione Sicilia, Gaetano Armao, ha posto come condizione per il via libera al fondo che vi sia «prioritariamente inserito il Ponte sullo Stretto, essendo un tassello fondamentale del corridoio scandinavo-mediterraneo». «Dato che nel Pnrr il ponte non può più entrare perché il ministro delle Infrastrutture dice che non è compatibile con i tempi del Recovery Fund – ha aggiunto – noi riteniamo che il sia certamente compatibile con i tempi e le modalità del fondo complementare». La battaglia, hanno assicurato i rappresentanti delle due Regioni andrà avanti. Intanto, dopo il definitivo via libera definitivo ieri in Cdm, il Pnrr parte oggi per Bruxelles e con lui il progetto per il rilancio del Mezzogiorno e dell’intera Penisola.

La scadenza europea verrà dunque rispettata. Una volta ottenuto il parere positivo della Commissione e del Consiglio Europeo, le prime risorse arriveranno a inizio estate. Il Consiglio dei ministri si è celebrato in due tappe – con la prima che si è conclusa con l’ok al Dl Proroghe – accogliendo la richiesta di un confronto governo-Regioni-enti locali sul fondo complementare. La Conferenza Unificata esaminerà formalmente il decreto il 5 maggio e gli enti locali daranno il parere ufficiale. Il via libera all’istituzione del fondo è arrivato intanto da parte del Consiglio dei ministri, e con questo anche l’annunciato reintegro dei 15,5 miliardi – di cui 12,4 “di proprietà” del Mezzogiorno – del Fondo di sviluppo e coesione anticipati nel Pnrr.

«Con il via libera definitivo in Consiglio dei ministri del Pnrr italiano si chiude la prima fase di impegno del governo di salvezza nazionale guidato da Mario Draghi», ovvero «riuscire a prendere il treno dei più ingenti finanziamenti per la ripresa mai visti in Italia dagli anni ’50», ha affermato il ministro per il Sud, Mara Carfagna. «Dietro i “numeri” del nostro Recovery Plan – ha aggiunto – ci sono concrete opportunità di sviluppo per le imprese grandi e piccole, per le aree svantaggiate del Paese, per la parte più fragile della nostra società, quella che ha pagato carissima l’emergenza: le famiglie, i giovani, le donne. Dietro i “titoli” delle sue missioni ci sono riforme che aspettiamo da un ventennio, grandi opere pubbliche, investimenti nella modernizzazione del Paese, connessioni più veloci, alta velocità, più presidi sanitari, più infrastrutture sociali, enormi agevolazioni per chi vuole investire al Sud e nelle aree interne».

Nel Recovery plan c’è il destino del Paese, aveva affermato il presidente del Consiglio, Mario Draghi, illustrandolo alla Camera: per costruire il Progetto Italia ci sono 248 miliardi, tra i 191,5 del Recovery fund, i 30,6 del fondo complementare, cui si accompagnano i 26 stanziati entro 2032 per la realizzazione di opere specifiche. Parte di questi risorse sono destinate al rilancio del Mezzogiorno e al risanamento della frattura sociale, economica e infrastrutturale che lo ha lasciato indietro negli ultimi 50 anni. Sul Pnrr il pacchetto Sud vale 82 miliardi, il 40,47% dei 206 ripartibili su base territoriale. Ma per riaccendere i motori il Mezzogiorno tra Pnrr, fondi strutturali e fondi nazionali, più contare una disponibilità di risorse mai vista: il conteggio delle diverse “fonti” segna 231,2 miliardi. Ma il conto sale ancora considerando la possibilità per i territori di assorbire quote dei progetti del Pnrr che hanno un carattere “nazionale” come il Superbonus 110% che vale oltre 18 miliardi, o quello per gli asili nido da 4,6 miliardi – con una riserva in legge di bilancio del 60% per il Mezzogiorno – e non solo.

Nel saldo finale potrebbero rientrare almeno altri 10 miliardi. Molto dipenderà dalla capacità – soprattutto da parte degli enti locali – di mettere in campo progetti validi, con le carte in regola cioè per poter “conquistare” le risorse assegnate su base competitiva. Intanto il conteggio “certo” – che somma oltre 230 miliardi – dice che l’investimento sulla ripartenza del Sud vale nel complesso quasi quanto lo stesso Pnrr rinforzato con i fondi complementari. Nel Progetto Italia messo in campo dal governo Draghi i fondi complementari hanno una rilevanza strategica: le risorse stanziate sono destinate al finanziamento delle opere che mai rispetterebbero la scadenza del 2026 fissata da Bruxelles per il completamento – e per le quali, quindi, la bocciatura della Commissione sarebbe certa – ma, come ha precisato il premier, possono godere della stessa procedura accelerata di quelle che sono iscritte nel Pnrr.

Così mentre nel Recovery Plan, guardando a Sud, compaiono i 4,6 miliardi per la realizzazione dei lotti funzionali dell’alta velocità Napoli-Bari, Palermo-Catania-Messina prevista entro la scadenza del Piano, per la Tav Salerno-Reggio Calabria – l’alta velocità “vera”, in grado di viaggiare a 300 km l’ora – che si prevede di completare entro il 2030, i 9,4 miliardi necessari compaiono nel fondo da 26 miliardi. Piani diversi, ma uguali procedure: risorse e opere sono allocate, quindi, in modo funzionale all’obiettivo. E per il Sud è quello di accorciare una volta per tutte le distanze con il resto del Paese e anche con l’Europa, mettendone a frutto le potenzialità. Ma perché queste possano dispiegarsi bisogna partire dai gap da colmare.

Così, missione per missione, il Pnrr – fondo complementare incluso – stanzia le risorse destinate accorciare il divario. Per quello infrastrutturale, ad esempio, la quota Sud arriva al 53,2%, per 14,53 miliardi che, tra le altre cose, comprendono le opere per l’alta velocità, l’elettrificazione della rete ferroviaria e il miglioramento delle stazioni e il potenziamento dei porti cui sono destinati 1,2 miliardi sui 3,5 previsti nel fondo complementare.

Manca il ponte sullo Stretto di Messina oggetto della relazione della Commissione tecnica del ministero dei Trasporti attesa a breve. Per la digitalizzazione e l’innovazione, Missione 1, vanno ai territori meridionali il 36,1% delle risorse, 14,58 miliardi ma, in particolare, gli investimenti per la banda ultra larga arrivano al 45%. Pesa per il 34,3% poi il Sud nell’ambito della rivoluzione verde e della transizione digitale (23 miliardi); per il 45,7% (14,63 miliardi) sull’istruzione e la ricerca; per il 39,4% sull’inclusione e la coesione; per il 35-37% sulla salute. Gli investimenti previsti nel Pnrr dovrebbero fare registrare al Pil del Mezzogiorno una crescita del 22,4% in 5 anni, contro il 13,2% del Centro Nord e 15,3% per il Pil italiano. E si prevede che nell’anno finale del piano il Mezzogiorno avrà contribuito per un punto percentuale allo scostamento del Pil nazionale. La sfida ora, come sottolinea Carfagna, è «portare i progetti dalla carta al territorio».


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