La ministra per il Sud Mara Carfagna
4 minuti per la letturaUltimi giorni decisivi prima della presentazione della bozza alla Commissione europea del Recovery Plan. Le dichiarazioni sulle percentuali che dovranno essere assegnate al Sud si susseguono da parte di tutti coloro che sono interessati. Dai ministri Carfagna, Giovannini, Cingolani, all’Ance, ai sindacati, agli imprenditori, alle tante associazioni meridionaliste, ai tanti studiosi e politologi nostrani.
Il tema di fondo è la percentuale di attribuzione: da quel 34%, che sarebbe la base di una distribuzione in relazione alla popolazione. Ma in un Paese in cui i governatori meridionali devono lottare per farsi dare i vaccini in base alla popolazione della regione affermare che il cittadino di Reggio Calabria ha gli stessi diritti di quello di Reggio Emilia è già una rivoluzione.
In realtà la Commissione aveva dato dei punti di riferimento certi e cioè che le risorse venissero distribuite ai Paesi membri, in funzione della popolazione, del reddito pro capite e del tasso di disoccupazione.
Sarebbe facilissimo riportare alle aree meridionali la distribuzione delle risorse con tali criteri. Ma no! Le cose semplici come nel caso dei vaccini devono essere complicate perché in tal modo si consente ai soliti furbetti (Emilia Romagna, Veneto, sedicenti bravi come si é visto dal numero dei morti oppure dal progetto del Mose di Venezia) di approfittarne. Non è quello che é successo con le risorse per gli asili nido? Ebbene e allora si susseguono le percentuali di attribuzione, dalla “conquista” di Mara Carfagna, del 40% della quale dovrebbe invece giustificarsi, a quelle generiche che parlano “di più del 34%”.
Ma se poi qualcuno insiste sui numeri essi possono essere massacrati per far dire quello che si vuole. Ed allora invece di far riferimento ai 209 miliardi, tra contributi e prestiti, si ricorre a somme diverse nelle quali si mettono dentro anche i fondi strutturali, per loro natura destinati esclusivamente al Sud.
E ricomincia il gioco delle tre carte, le giustificazioni per cui l’unico investimento già cantierabile, quello del ponte, e che potrebbe realmente bloccare parte delle risorse viene stoppato con giustificazioni risibili e, ad occhi attenti, ridicoli. Per cui vi è una scadenza del 2026, per cui bisogna ripartire, come nel gioco dell’oca, dalla prima casella, e decidere se meglio fare attraversare lo stretto da un filo per funamboli, da un ponte di barche, da traghetti continui, come il caffè nei convegni, da un tunnel subalveo, da un tunnel poggiato, o lanciare i fortunati passeggeri o le merci con una catapulta dall’altra parte o mettere scuole accelerate di nuoto per preparare in tempi rapidissimi all’attraversamento a bracciate, come fece Grillo, i passeggeri che hanno avuto la idea geniale di arrivare in Sicilia, con treno o auto.
Fare confusione in questi casi è la cosa migliore per confondere le carte ed allora inseriamo nei conti progetti già finanziati, come la Palermo-Catania-Messina, o la Napoli-Bari, per cui anche gli addetti ai lavori non capiscono più nulla. Immaginiamo il pubblico ampio.
Ed alla fine le lobbies più forti riescono a fare quello che vogliono. L’importante che tutti i progetti siamo green, eco compatibili, che assicurino la transizione ecologica.
Se poi dietro queste parole c’è il vuoto non importa. Il risultato sarà sempre lo stesso: i lavori si faranno dove si vuole, malgrado l’opposizione delle popolazioni locali che si sentono sovra strutturati, come in Val di Susa, e non si faranno dove la gente li chiede a gran voce, come nel Sud.
Tanto i meridionali sono come gli indigeni dell’America Latina all’arrivo dei conquistadores, combattono con le frecce contro eserciti con armi e munizioni.
Ed in ogni caso non riescono a fare massa critica per imporre, come ha fatto la Lega nel Nord, la propria visione. Poi qualche anima candida si chiederà perché il Sud é rimasto indietro e qualcun altro dirà che ci vuole lo sviluppo dal basso e partecipato, e qualcun altro che il problema del Sud é la sua classe dirigente, che non é all’altezza.
Copione già scritto e recitato da 160 anni a questa parte. E gli attori rimangono sempre gli stessi: le lobbies che hanno una visione provinciale del loro back yard, un Governo che si piega a logiche castranti per il Paese, una intellighenzia meridionale in cerca del proprio orticello da coltivare o da non fare invadere da altri, una classe dominante estrattiva meridionale che pensa ai propri protetti. Con questa logica si é voluto sviluppare il Sud, bloccando l’A1 a Napoli o l’alta velocità ferroviaria a Salerno, lasciando l’Amazzonia dello stivale, a polmone verde per il Paese. Tanto c’è ancora chi dice che il Sud deve essere agricoltura e turismo, come la Corsica, non confrontandosi con alcun dato e dimenticando che per popolazione, se fosse uno Stato autonomo, sarebbe il sesto paese dei 27.
E bisogna ancora ripartire con i diritti costituzionali ancora non garantiti uguali per tutti, con la distrazione colpevole dei nostri Organi supremi. Si capisce la real politik, ma in questo caso caro presidente Draghi è il caso forse di fare una seconda “gaffe” e dare del dittatore a chi in questo Paese lo è ancora. E non si venga fuori con l’affermazione che il Sud non sarebbe capace di spenderli, perché questo è evidente, considerato lo stato delle istituzioni, e la loro lunga dieta dimagrante in termini di professionalità, ma è lo Stato che deve essere capace di spenderli e anche non grazie al Sud, ma anche malgrado esso, con norme che devono essere semplificate, senza ritardi e rallentamenti.
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LE MALDESTRE MANINE DI PRESTIGIATORE CONTRO IL SUPERAMENTO DEI DIVARI NORD-SUD
L’ho scritto subito (https://www.quotidianodelsud.it/laltravoce-dellitalia/gli-editoriali/politica/2021/04/13/leditoriale-di-roberto-napoletano-laltravoce-dellitalia-morire-di-propaganda/ ) che il 40% al Sud di Draghi e ancor più di Franco (che è settentrionale, come la gran parte dei ministri del governo Draghi) è una fregatura e, come la ripartizione decisa dal precedente governo Conte2 a trazione asseritamente meridionale, non rispetta i criteri stabiliti da Bruxelles.
Che le cose sarebbero andate storte, lo scrissi già dopo aver letto la lista dei ministri: “Voi pensate che, con tutti questi ministri settentrionali, al Sud arriveranno i soldi che gli spettano? Che, per la verità, manco col governo Conte2, pieno di ministri meridionali, arrivavano. ” (https://www.quotidianodelsud.it/laltravoce-dellitalia/gli-editoriali/politica/2021/02/12/leditoriale-di-roberto-napoletano-laltravoce-dellitalia-il-ritorno-del-cavaliere-bianco/ ).
Qui ci devono essere le solite manine ministeriali, per la verità piuttosto maldestre, perché non sono i furbi presidenti di Giunta regionale dell’Emilia Romagna e del Veneto a redigere il PNRR.
Il Quotidiano del Sud dovrebbe indagare su queste manine e chiederne conto a Franco, che è quello che ora dirige la redazione del piano, visto che non lo fa la semitosta ministra per il Sud, la salernitana Carfagna, che speravo fosse un po’ più tosta del siciliano Provenzano, del napoletano Amendola e del pugliese Boccia, ministri del governo Conte2.
Le risorse del PNRR, secondo l’UE, devono servire per ridurre i divari territoriali, e basta un piccolo calcolo economico per stabilire che questo si ottiene soltanto se il tasso di variazione medio annuo del PIL del Mezzogiorno è maggiore di quello del Nord e nella misura congrua e per un numero congruo di anni: non bastano certamente i 6 anni del PNRR a colmarlo, ma ci vogliono 52 anni se la differenza di tasso medio annuo è pari a +1%, 26 anni se è pari al +2%.