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Nel corso dell’ultima conferenza stampa Mario Draghi ha fatto due affermazioni importanti. La prima è la seguente: «Il miglior sostegno alla economia sono le riaperture». Con interi settori economici martoriati da un anno dal divieto di svolgere le proprie attività, è tempo perso parlare di ripresa, di rilancio dell’occupazione. L’alternativa resta l’assistenza, sia che venga contrabbandata a titolo di ristori o come sostegni.

È singolare la risposta che anche l’attuale governo continua a dare, come il precedente, alle categorie costrette a una serrata obbligatoria: vi daremo più sussidi e in tempi più rapidi. E per questo obiettivo sarà presentata in Parlamento, nei prossimi giorni, la “madre di tutti i ristori’’, consistente in un provvedimento di una quarantina di miliardi.

Come se non sapessero che i titolari delle attività economiche penalizzate (ormai classificati come egoisti sprovveduti sobillati da teppisti e facinorosi) non chiedono sovvenzioni sostitutive del reddito e del fatturato, ma di produrre sia reddito che fatturato con i propri mezzi, il proprio lavoro e quello dei loro dipendenti.

È UN’ECONOMIA VITALE

I 945mila occupati in meno rispetto a febbraio di un anno fa sono in larga parte, per quanto riguarda il lavoro dipendente, mancate assunzioni; i 355mila autonomi che mancano all’appello nello stesso arco di tempo corrispondono ad attività economiche che hanno gettato la spugna o che non saranno in grado di ripartire.

È solo propaganda strumentale rivolta a conservare l’immobilismo dei sindacati e a sostenere che lo sblocco dei licenziamenti provocherà un’ecatombe, basando questa analisi sui 590 mila posti di lavoro alle dipendenze che mancano dall’inizio della pandemia fino allo scorso febbraio.

L’indagine mensile Excelsior di marzo ha previsto 292mila assunzioni e ben 932mila entro maggio. Ovviamente non si tratta in generale di posti di lavoro aggiuntivi, ma le previsioni costituiscono un importante indicatore di un’economia tuttora vitale, non annichilita dalla crisi.

I contratti collettivi di lavoro nei settori privati sono stati rinnovati senza particolari conflitti, a prova che il sistema produttivo (sia pure non in tutti i settori) è in grado di reggere un incremento di costi.

L’ultima indagine rapida del Centro studi della Confindustria, pubblicata nei primi giorni di aprile ha confermato che «nonostante l’aumento delle restrizioni in Italia l’industria conferma dunque una buona tenuta, in questa fase sostenuta maggiormente dall’accelerazione della domanda estera. La domanda interna, meno dinamica a causa delle limitazioni negli spostamenti e nello svolgimento di alcune attività, incide sul comparto terziario che nel primo trimestre zavorra la dinamica del Pil, attesa in marginale arretramento. Le indagini qualitative (Istat e Pmi manifatturiero) confermano un cauto ottimismo sull’evoluzione della domanda nei prossimi mesi, in linea con le rassicurazioni del governo sulla rapida ed efficiente evoluzione della campagna vaccinale».

L’ESIGENZA PRIORITARIA

Ecco spiegato perché l’esigenza prioritaria per la ripartenza del sistema produttivo e dei servizi è quella di metterlo in condizione di lavorare. Ma qui occorre fare i conti con coloro che il patologo Guido Silvestri (in un post su Facebook nei giorni scorsi) ha definito «squadristi delle chiusure»: quelli che «l’ottimismo è pericoloso» e che sono sempre pronti a tacciare di negazionismo quanti esprimono delle riserve.

La pretesa più singolare dei “signori delle chiusure’’ è quella di pretendere dal governo una “data’’ per riaprire.  Hanno dimenticato costoro che di date, in questo annus horribilis, se ne sono viste tante, presto smentite sull’altare dell’emergenza: dalla ripartenza a pieno carico dell’Alta Velocità alla riapertura delle discoteche, delle palestre, dei ristoranti e quant’altro; dai “contrordini’’ in occasione delle festività natalizie alla soppressione della stagione turistica invernale. Sempre all’ultimo momento, quando gli operatori avevano predisposto – di tasca loro – gli apparati secondo le disposizioni stabilite in precedenza.

Non ha senso, allora, chiedere una data subordinandola agli esiti della campagna di vaccinazione e al raggiungimento di condizioni di sicurezza (che sono sempre relative).

A questo punto subentra la seconda importante affermazione di Draghi che riassumiamo così: sarà necessario stipulare degli altri contratti con i Big Pharma perché nei prossimi anni dovremo sottoporci a ulteriori vaccinazioni per far fronte alle varianti del virus. In sostanza, un anno fa ci hanno detto che, dopo il lockdown «tutto andrà bene». Poi è arrivata la salvezza attraverso la scoperta miracolosa dei vaccini. Adesso ci siamo resi conto di quali problemi comporta una vaccinazione di massa e sappiamo che la somministrazione degli anticorpi garantisce un’immunità di pochi mesi e un decorso clinico meno grave e (forse) non mortale in caso di possibile ricaduta nel contagio.

IL VERO INTERROGATIVO

Nulla di male. Il mondo si è avventurato lungo un cammino sconosciuto, la scienza non può risolvere tutti i problemi, i sistemi sanitari non possono garantire l’immortalità. Non esiste il rischio zero in nessuna attività umana.  Se però lo scenario è quello che si profila bisognerà pure fare un punto e a capo; e chiedersi se l’economia potrà andare avanti con le attuali restrizioni squilibrate per anni. Occorre consentire di lavorare a chi è in grado di farlo.  In condizioni di sicurezza? Certo, è possibile come fanno milioni di persone nelle attività che non sono state chiuse. 

È una corsa, quella delle riaperture, che si svolge insieme al progredire della campagna delle vaccinazioni, delle terapie e della farmacologia, del contributo della medicina territoriale e delle cure a domicilio, quella medicina territoriale che costituisce il vero fallimento della resilienza al virus.  Il 17 febbraio in Senato Draghi toccò il cuore del problema: «Il governo – disse – farà le riforme ma affronterà anche l’emergenza. Non esiste un prima e un dopo». Lo abbiamo preso in parola.


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