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Non hanno nulla a che vedere con i riti pasquali quelle quindici croci di legno in piazza Plebiscito che ieri invece volevano testimoniare il calvario di altrettante categorie commerciali. Dall’Imu all’Iva, passando per Tari, Irap, Ires e anche per fitti, utenze e questione criminalità.
LA MOBILITAZIONE
La rappresentazione andata in scena ieri a Napoli è lo specchio di ciò che sta avvenendo in tutta Italia. A protestare nel capoluogo campano sono stati gli aderenti alla Confesercenti di 15 categorie merceologiche (benzinai, ambulanti, orafi e gioiellieri, moda, esercenti pubblici, imprese balneari, guide turistiche e interpreti, case vacanza e ostelli, parrucchieri ed estetiste, federazione turismo, sindacato delle discoteche tra le altre) riunitisi in centinaia in piazza del Plebiscito, sede della Prefettura, per chiedere la riapertura immediata dei loro esercizi.
«Sono almeno 50mila le attività a rischio chiusura e 150mila gli addetti che potrebbero perdere il lavoro – dice il presidente di Confesercenti Campania, Vincenzo Schiavo – Le croci di oggi rappresentano il peso che stanno portando le imprese dopo 395 giorni di chiusura a partire dal primo lockdown».
«Basta aiuti, vogliamo lavorare e in sicurezza. Siamo alla fame e all’usura». È un solo grido, da Nord a Sud, dopo i tafferugli di martedì a Roma davanti al Parlamento. Ma c’è anche un’altra fondata preoccupazione.
«Non può essere escluso il rischio che la criminalità organizzata possa sfruttare il disagio sociale esternato nelle manifestazioni» di protesta legate alle misure anti Covid, manifestazioni a volte «degenerate in gravi episodi di scontro con le forze di polizia»: è l’allarme dell’Organismo permanente di monitoraggio e analisi sul rischio di infiltrazione nell’economia da parte della criminalità organizzata di tipo mafioso.
Investigatori e intelligence «stanno monitorando le dinamiche dei contesti sociali per scongiurare possibili saldature tra il malcontento diffuso, generato da situazioni di difficoltà, e il tentativo di gruppi criminali di mettere a rischio la tenuta dell’ordine pubblico». Il disagio sociale con il passare dei mesi «si è evoluto in forme più organizzate, favorite dal ricorso ai social media (Facebook e WhatsApp ove proliferano gruppi che esortano a disobbedire al coprifuoco imposto dagli enti locali), con un’agile e rapida organizzazione di iniziative estemporanee (flash-mob)». Ma in generale, «si è riscontrato l’interesse di un ampio ed eterogeneo panorama di attori a inserirsi nella protesta per radicalizzarla».
LE INIZIATIVE NELLE CITTÀ
La sofferenza delle vittime della crisi è esplosa e ieri si è riversata in strada in molte città. È stata una mattinata di protesta degli ambulanti di generi non alimentari nei mercati torinesi contro la prolungata chiusura per le norme anti Covid.
Tra le manifestazioni. quella organizzata a Santa Rita ha visto la partecipazione anche di numerosi negozianti, compresi quelli di attività aperte. «Siamo tutti necessari» recita la scritta sullo striscione sventolato dai manifestanti, una sessantina in tutto. «Vogliamo lavorare», lo slogan ripetuto. «Non possiamo più aspettare».
La manifestazione è proseguita tutta la mattinata con un corteo nelle vie e piazze del quartiere. Molti i cartelli di solidarietà appesi sulle vetrine dei negozi con il permesso di tenere aperto, dove invece le serrande sono state abbassate.
«Siete un esempio, una categoria responsabile che chiede solo di esercitare un diritto: poter lavorare» ha detto il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, incontrando in piazza Galimberti, nel centro di Cuneo, gli ambulanti di generi non alimentari dei mercati. «E’ giusto chiedere prospettive e tempi certi – aggiunge il governatore piemontese – Piuttosto di moratorie e ristori, sarebbe meglio cancellare un anno di tasse. Incontrerò il premier Mario Draghi e presenterò le vostre istanze».
Protesta degli ambulanti anche in piazza Duomo a Pistoia, dove hanno allestito un finto mercato con i loro furgoni, ma senza merce esposta, per manifestare contro la mancata riapertura dei mercati in zona rossa.
La rabbia dei commercianti è esplosa anche a Taranto. «Il futuro non (si) chiude»: è la frase riportata su uno dei manifesti esposti dai titolari delle imprese del terziario aderenti a Confcommercio di Taranto, che hanno tenuto un sit-in sulla Rotonda del Lungomare per protestare contro il protrarsi delle chiusure disposte dai decreti governativi. I manifestanti hanno testimoniato l’urgenza, condivisa da tutte le categorie associate, di consentire – è stato spiegato – la ripartenza delle attività nel rispetto delle regole e dei protocolli di sicurezza e di prevedere indennizzi e sostegni adeguati alle perdite. Al centro della Rotonda del Lungomare sono stati posizionate buste nere della spazzatura con la scritta «un sacco di debiti» perché, ha detto uno dei commercianti intervenuti, «in questo anno il governo ci ha dato solo tanta immondizia piuttosto che ristori, assistenza e certezza sulle vaccinazioni. Noi continuiamo ad andare avanti con una protesta civile, tutti con la mascherina, rispettando le distanze di sicurezza. C’è un’esasperazione dilagante – ha aggiunto – che speriamo non sfoci in manifestazioni ben più dure».
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