Il ministro della Transizione tecnologica Vittorio Colao
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Oggi Giovanni Gorno Tempini entra nel consiglio d’amministrazione di Tim. Una decisione accompagnata da numerosi pareri legali per evitare brutte sorprese. In quanto presidente di Cdp, che possiede il 10% del gruppo telefonico, la sua nomina poteva configurare una possibile azione di concerto che avrebbe imposto un’Opa obbligatoria.
Ancora più delicata la configurazione in vista dell’annunciata unione con Open Fiber di cui la Cassa è azionista al 50%. Qui il pericolo incombente era quello di far scattare la tagliola del conflitto d’interessi.
Aver sgomberato il campo da tutte queste trappole è stato visto dal mercato come il via libera alla nascita della Rete unica. Tanto più che dovrebbe essere istituita a giorni FiberCop, la società in cui confluiranno la rete secondaria in rame di Tim e la fibra di FlashFiber, joint venture di Tim e Fastweb, dando avvio al progetto di unificazione.
IL PROGETTO DI RISERVA
Ma di quale Rete unica stiamo parlando? Il vecchio piano preparato ai tempi del governo Conte sembra essere finito in soffitta. Prevedeva la maggioranza azionaria a Tim e la governance condivisa ma con un peso determinante per Cdp che avrebbe designato il capo-azienda. Era stato anche firmato un preliminare in base al quale le procedure dovevano concludersi entro la fine di marzo. La scadenza, però, è arrivata senza che si sia mossa una foglia. Significa che il vecchio piano probabilmente non c’è più.
Purtroppo il nuovo stenta a vedere la luce. Un ritardo da colmare abbastanza rapidamente. Alla digitalizzazione è stata assegnata, nell’ambito del Recovery Fund, una dotazione di 45,5 miliardi che dovranno consentire di fare un salto in avanti notevole. Il ministro della Transizione tecnologica, Vittorio Colao, ha ribadito anche ieri l’urgenza di trovare una soluzione condivisa che permetta di accelerare i tempi.
L’ex amministratore delegato di Vodafone, che di reti se ne intende, vuole fare dell’Italia un “campione europeo”. Ma attraverso quale percorso? Il progetto attuale, ormai in affanno, potrebbe essere sostituito da un piano B che piace molto a Colao. Tanto più che non è sicuro che la Ue darebbe i finanziamenti del Recovery a una società a guida privata.
LE COLONNE
A quanto risulta, il progetto a cui ispirarsi è quello di Inwit e delle torri. Un’azienda gestita sostanzialmente da due operatori, cioè Vodafone e Tim, che è ora un autentico gioiellino dopo essere uscita nel 2015 dal perimetro esclusivo di Telecom Italia. Ma nel caso della Rete unica i soggetti sarebbero molteplici. A fare da pivot dovrebbe essere la Cdp in quanto titolare del 50% di Open Fiber con possibilità di salire al 60% e del 10% di Tim. Attorno a questa colonna dovrebbero aggregarsi le altre compagnie telefoniche (da Vodafone, a Windtre) riservando a Tim una posizione di grande rilievo, ma non la maggioranza.
Nella partita potrebbero entrare anche compagnie che non si occupano di telefoni, come Mediaset che di recente ha mostrato un certo interesse per la partita. La vera forza sarebbe la pluralità di operatori che entrerebbero in partita per cablare le aree grigie.
INVERTIRE IL TREND
È bene ricordare, infatti, che l’Italia è divisa in tre aree: quelle nere, ad altissima redditività in cui la concorrenza è più alta, quelle grigie, a minore vantaggio, e quelle bianche, con nulla o scarsissima convenienza. Proprio il ritardo nel cablare le aree bianche è la preoccupazione maggiore del governo. È essenziale per le famiglie, per la Pubblica amministrazione e per le aziende che si avvii una netta inversione di tendenza. Soprattutto al Sud.
Purtroppo i progetti industriali di diversi operatori si stanno sovrapponendo, perdendo qualsiasi convenienza. Il progetto di Rete unica, quindi, dovrebbe andare nella direzione opposta: mettere insieme tanti “pezzi” di rete, con soci che a loro volta vendono sia all’ingrosso che al dettaglio. Solo agendo in modo rapido si potrà evitare di sprecare risorse.
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