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L’Inps comunica che sono state effettuate 45.000 assunzioni con decontribuzione nel Sud, nel periodo gennaio-dicembre dello scorso anno: dati dovuti al cuneo fiscale che il governo Conte2 ha voluto introdurre dal 1° luglio 2020 per tutto il Mezzogiorno, e che è stato finanziato fino al 31 dicembre 2021.
Senza considerare che l’Unione europea guarda con un certo scetticismo, poiché preferisce forme di decontribuzione diretta, lo strumento, come era prevedibile, sta avendo qualche effetto.
Ma il costo di tale strumento è particolarmente rilevante, perché la platea degli interessati riguarda tutti coloro che hanno un rapporto di lavoro nel sud del Paese. In realtà esso registra molte critiche, perché viene ritenuto una mancia per tutte le aziende delle aree meridionali, più che un vero e proprio strumento di attrazione di investimenti dall’esterno dell’area e quindi di creazione di nuovi posti di lavoro. Uno strumento pensato con un obiettivo più indirizzato alle elezioni che allo sviluppo reale e alla creazione di nuova occupazione.
MISURA INSUFFICIENTE
A parte tale convinzione, non bisogna dimenticare che gli strumenti che devono essere messi in atto nel Mezzogiorno devono essere molteplici e sistemici.
L’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area sembra a oggi l’unico strumento vero per aumentare il numero dei posti di lavoro che prima del Covid erano di circa sei milioni e centomila, compresi i sommersi. Essi sono ormai fermi da 10 anni circa. E l’imprenditoria locale ha dimostrato di aver esaurito le proprie capacità e le proprie possibilità di crearne di altri, viste le evidenze degli ultimi anni.
Nessuno pensa minimamente di abbandonare gli imprenditori dell’area, che danno peraltro garanzia di stabilità, considerato che sono molto meno mobili di quanto possano essere coloro che invece si insediano dall’esterno e nello stesso modo possono poi lasciare i territori. Che quindi vanno aiutati a crescere e a ottenere dimensioni competitive oltreché a internazionalizzarsi e a esportare i propri prodotti
Ma va anche evitato di aiutare aziende che sono già fuori dalla competizione globale, e quindi sprecare risorse. II cuneo fiscale è stato pensato per tutti sperando che i fruitori se lo ricorderanno quando si tornerà alle urne. Ma certamente, lo possiamo dire, questo non è il modo corretto per creare occupazione non assistita.
Infatti l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area prevede che si realizzino molte altre condizioni. Perché, come si è visto nel caso dell’azienda svedese che ha scelto il Piemonte per localizzare i suoi stabilimenti invece che la Campania, i nuovi investitori sono molto attenti nel considerare tutti gli elementi prima di scegliere un’area rispetto a un’altra.
LE CONDIZIONI BASE
Ci vuole un intervento sistemico, come si è detto, e certamente non può bastare un costo del lavoro più basso, che si riesce ad avere con il cuneo fiscale ridotto e già finanziato.
L’esigenza per attrarre investimenti è di avere condizioni competitive rispetto al resto del mondo, che è il nostro competitore, perché non siamo i soli a voler attrarre investimenti.
E allora vi sono condizioni irrinunciabili, quelli dello Stato minimo, che prevedono che i territori siano facilmente raggiungibili, quindi con un’ottima infrastrutturazione, oltreché siano esenti da forme di criminalità estesa e pervasiva.
Se queste condizioni sono presenti è poi necessario che vi sia anche un costo del lavoro più basso rispetto agli altri e una tassazione più contenuta, che possa rendere interessante l’investimento quando questo comincerà a produrre degli utili e una semplificazione amministrativa che eviti i 25 bolli per realizzare un insediamento.
È chiaro che queste condizioni non possono immediatamente essere realizzabili in tutto il Mezzogiorno, ed è questo il motivo per il quale sono state costituite le Zes manifatturiere. Perché fare in modo che tali condizioni siano presenti in alcune aree contenute è possibile, mentre prevedere che tutto il Mezzogiorno sia una realtà attrattiva diventa più complicato.
Ecco perché il cuneo fiscale generalizzato è uno spreco di risorse. E anche se i risultati che comunica l’Inps sono positivi ed evidenziano una crescita delle assunzioni, non si può non rilevare come il costo dello strumento, rispetto ai risultati ottenuti, sia assolutamente sproporzionato.
Non bisogna mai dimenticare che il Mezzogiorno ha bisogno di creare 3 milioni di posti di lavoro per raggiungere il rapporto occupati-popolazione delle zone italiane a sviluppo compiuto, come ad esempio l’Emilia-Romagna. In tale obiettivo così dimensionalmente importante sono racchiusi i confini del progetto che bisogna riuscire ad attuare nella realtà meridionale.
Perché le risorse non sono infinite e malgrado il Recovery Plan, come si sta vedendo, la coperta è sempre troppo corta: tutti i territori del Paese hanno delle esigenze che ritengono assolutamente imprescindibili e che vogliono che siano soddisfatte. Senza dimenticare, peraltro, che molte regioni del Nord si ritengono in diritto di avere più risorse perché confrontano gli investimenti fatti con il Pil prodotto e con le imposte pagate
LE RICHIESTE PRIORITARIE
E allora due cose vanno richieste prioritariamente: la prima è che gli investimenti siano fatti in modo tale da consentire immediatamente che l’attrazione possa avvenire da subito; la seconda che l’utilizzo delle risorse venga fatto secondo le priorità precise.
Bene ha fatto la ministra Mara Carfagna, che sembra credere nelle Zes molto più del precedente governo che le aveva abbandonate, a rifinanziare le Zes con ulteriori 800 milioni, riorganizzando le risorse rispetto alle aree interne, tanto amate dall’ex ministro Provenzano. Per questo l’enorme spesa richiesta per il cuneo fiscale va probabilmente ripensata. Mentre si deve insistere perché l’infrastrutturazione dello Stivale, compreso il ponte sullo stretto senza se e senza ma, senza rinvii ormai assolutamente inaccettabili, venga finalmente completata
Perché il Mezzogiorno ha già subìto il torto dei blocchi quando gli altri si erano già costruiti le loro infrastrutture. Nessuno può dimenticare che si fermarono le autostrade quando la parte nord le aveva già completate. Che non si ripeta la stessa storia oggi con autostrade e ferrovie, con l’alibi della transizione ecologica o della rivoluzione green, perché il Sud si è tolto gli anelli dal naso e non consentirà che si perpetui quello scippo che ormai dall’Unità d’Italia si è perpetrato nei suoi confronti.
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