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Il ministro Mara Carfagna

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NEL PIANO nazionale di ripresa e resilienza, che il governo Draghi sta mettendo a punto, il Mezzogiorno è considerato una delle priorità strategiche. Il divario territoriale, insieme a quello generazionale e di genere, è uno dei nodi strutturali da affrontare perché il Paese posso tornare a crescere. E il Next Generation Eu è l’occasione che l’Europa offre all’Italia per affrontarli «in modo coordinato e con rilevanti mezzi».

Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, intervenendo in audizione ieri al Senato di fronte a sei commissioni congiunte, ne ha parlato illustrando il lavoro su cui il governo sta stringendo i tempi per presentare il piano italiano a Bruxelles entro il 30 aprile. A dare misura della profondità della frattura che separa il Sud dal resto del Paese è stato lo stesso ministro elencando puntualmente i numeri che la fotografano.

Numeri di fronte ai quali la percentuale del 34% dei circa 200 miliardi del Recovery Fund da destinare al Mezzogiorno si mostra insufficiente. E il ministro Franco sembra essere dello stesso parere: «Penso che la percentuale del 34% debba ovviamente essere conseguita e che anzi occorrerebbe anche andare oltre a questa percentuale. Penso anche che nella redazione finale del piano occorrerà evidenziare bene quale sarà la percentuale di risorse dedicate al Meridione», ha affermato, sottolineando che «del modo in cui i progetti avranno effetti su Meridione si sta occupando il ministro del Sud, Mara Carfagna, che avrà un ruolo orizzontale sulla costruzione del Piano».

Il ministro Carfagna nei giorni scorsi aveva parlato di «un vero e proprio capitolo dedicato al Sud». «L’Italia ha un cronico problema di crescita: da più di due decenni l’economia italiana cresce sistematicamente meno di quelle degli altri paesi sviluppati, frenata dalla stagnazione della produttività», ha rilevato il ministro sottolineando che il Covid ha infierito su un’economia che mostra ancora le cicatrici delle precedenti crisi e con un Pil che nel 2019 «era ancora di quasi 4 punti percentuali inferiore al livello del 2007» a differenza degli altri Paesi. Prioritario affrontare le «eterogeneità» di cui il Paese «soffre». E al primo posto nel suo intervento il ministro pone il Mezzogiorno. «Nelle regioni del Sud vive un terzo della popolazione – ha sottolineato – ma vi si produce solo un quarto del Pil. Il tasso di occupazione è di oltre 20 punti inferiore a quello delle regioni del Centro-Nord. Il Pil pro-capite nelle regioni del Sud è pari a circa il 55 per cento di quello medio relativo alle regioni del Centro-Nord; da circa 40 anni, dall’inizio degli anni ’80, il processo di convergenza si è arrestato».

C’è poi il tema dei giovani, su cui l’Italia registra «un tasso di disoccupazione quasi tre volte maggiore rispetto a quello dei lavoratori più anziani e una quota dei giovani che non studiano e non lavorano è la più elevata dell’Unione». E quello delle donne, per le quali Il tasso di occupazione nella fascia 15-64 è pari al 50 per cento: 18 punti inferiore a quello degli uomini e 8 punti inferiore alla media dell’Unione Europea. Fenomeni che al Sud raggiungono dimensioni ancora più gravi. Il Piano offre all’Italia la possibilità di dare una risposta concreta a questi problemi, ha detto il ministro.

L’inclusione sociale, insieme alla digitalizzazione e alla transizione ecologica, è uno degli assi strategici indicati dalla Commissione europea, che guiderà l’esecutivo nell’individuazione dei criteri di ammissibilità dei progetti di investimento. «Perseguire l’inclusione sociale – ha detto Franco – significa colmare i divari, di natura sociale ed economica, fra le aree geografiche e fra le persone: si tratta di disuguaglianze di genere, generazionali e territoriali. La loro riduzione risponde al perseguimento di obiettivi di equità e coesione territoriale, ma è fondamentale anche per consentire alla nostra economia di tornare a crescere».

Un nodo cruciale resta la capacità di spesa, su cui l’Italia finora non ha dato prova di efficienza, e le Regioni del Sud soprattutto. Il ministro ha sostenuto, quindi, la necessità di un cambio di passo evidenziando che per il ciclo di programmazione 2014-2020, su una disponibilità di 73 miliardi, a fine 2020 ne erano stati impegnati solo 50 e spesi appena 34. Bisogna fare presto, per questo è necessario intervenire sulla macchina della Pa, rafforzando le strutture tecniche e operative che dovranno attuare i progetti. Intanto, il Mef avrà un ruolo di coordinamento e pieno supporto ai ministeri nella stesura dei progetti, «per assicurare che vi sia effettiva realizzabilità».

E «insieme al Mef – ha sottolineato il ministro – sono coinvolti altri tre ministeri, il ministero per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale per tutti i progetti che riguardano la digitalizzazione, il ministero della transizione ecologica per la politica energetica e l’impatto su ambiente e clima, infine Sud e coesione per assicurare coerenza complessiva al piano e riduzione dei divari territoriali».


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