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La presidente della Commissione europea Ursula von del Leyen

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Le Linee Guida ed il Regolamento comunitario della Unione Europea sulle modalità di accesso al Recovery Fund penso rappresentino una modifica sostanziale alle logiche con cui, specialmente negli ultimi anni, si è gestita la fase programmatica, si è gestita la fase decisionale.

È infatti utile ricordare che tra le decisioni prese in sede di Consiglio dei Ministri e quelle trasformate in legge dal Parlamento e l’attuazione concreta delle stesse scelte, intercorre una fase temporale lunga e, a volte, i cosiddetti Decreti Attuativi vengono presi dopo tempi talmente lunghi da annullare la efficacia delle norme stesse. E, quindi, la prima riforma è proprio quella che consenta alla norma di contenere sin dall’inizio tutte le condizioni, tutti i passaggi procedurali capaci di dare consistenza immediata alla volontà istituzionale.

D’altra parte se nei controlli sistematici previsti proprio dalla Commissione europea, mirati a verificare l’avanzamento delle proposte progettuali inserite nel Recovery Plan, non ci dovesse essere un immediato e coerente collegamento tra quanto approvato e quanto avviato scatterebbe, automaticamente, il blocco delle coperture e, addirittura l’annullamento della proposta.

Se per i progetti inseriti nei Programmi Operativi Nazionali o nei Programmi Operativi Regionali, supportati in parte dal Fondo Coesione e Sviluppo, per il periodo 2014-2020, ci fosse stato un simile codice comportamentale sicuramente non avremmo impegnato, dopo sei anni solo 24 miliardi su 54 e non ne avremmo spesi solo 7 miliardi di euro.

Dopo questa riforma sostanziale entriamo nel merito del vasto comparto legato alle infrastrutture, a quelle in particolare che rappresentano l’impianto su cui prende corpo l’intero assetto economico del Paese e quindi primo atto da compiere è quello di rappresentare l’intero mosaico infrastrutturale che oggi caratterizza la offerta evidenziando gli anelli mancanti che mettono in crisi l’intero quadro infrastrutturale e, soprattutto, tutte le interdipendenze funzionali tra le reti ed i nodi urbani e logistici (porti, aeroporti ed interporti).

Dobbiamo avere il coraggio di far conoscere alla Unione Europea quanti siano gli anelli mancanti interni al Paese e quanti siano gli anelli mancanti esterni al Paese, mi riferisco in questo caso alla assenza di un numero adeguato di valichi, in proposito ricordo sempre un dato nel 1967 lungo l’intero arco alpino sono transitati circa 19 milioni di tonnellate di merce, nel 2019 il transito delle merci ha superato 150 milioni di tonnellate e il numero dei valichi è lo stesso di quello del 1967.

Ho detto prima “dobbiamo avere il coraggio” perché in realtà, pur avendo definito nel 2001 con la Legge 443 /2001 (Legge Obiettivo) il Programma della Infrastrutture Strategiche, non abbiamo portato a termine un simile Programma perché dal 2015 ad oggi praticamente l’attuazione organica di tale strumento pianificatorio si è bloccata e quindi non è facile raccontare alla Unione Europea l’atteggiamento schizofrenico dei soggetti istituzionali preposti alla realizzazione di tali opere.

Ebbene, questa griglia infrastrutturale, in parte realizzata, in parte in corso di realizzazione e per una enorme parte da realizzare, diventa la base in cui inserire, in cui disegnare le nuove proposte. Questo approccio è essenziale perché coloro che dovranno esaminare le nostre proposte vogliono vedere come queste siano tessere di un determinato mosaico e come si inseriscano al suo interno e come la loro assenza comprometta non una parte del mosaico ma l’intero assetto funzionale del Paese.

Prende corpo così metodologicamente quella precisa caratteristica di organicità della proposta e, al tempo stesso, si evince subito quanto l’assenza di un asse ferroviario, di una linea metropolitana, di una banchina portuale comprometta la funzionalità e la crescita non di un limitato spazio territoriale ma, addirittura, di un ambito regionale e, in molti casi, di un assetto socio economico più vasto. Questa descrizione e questa modalità con cui ogni proposta è parte strettamente interagente con le altre diventa, sicuramente, un motivo di apprezzamento da parte di chi sarà preposto ad effettuare la istruttoria delle proposte.

Dopo questo approccio metodologico diventa essenziale la costruzione delle caratteristiche di ogni proposta, una descrizione non solo delle sue componenti tecniche ed economiche ma anche e, soprattutto, delle fasi realizzative e delle strette interdipendenze tra tali fasi e le esigenze di “cassa”; in realtà le proposte dovranno essere supportate da apposite WBS (work breakdown structure), detta anche struttura analitica di progetto; con tale strumento non solo si identificano dettagliatamente tutte le componenti del progetto ma si rende possibile anche una chiara identificazione degli stati di avanzamento dell’opera e delle cadenze temporali legate alla reale spesa ( i famosi Stati Avanzamento Lavori SAL).

Ma accanto a questo supporto analitico della proposta la Unione Europea chiede anche una chiara articolazione delle coperture; cioè delle possibili risorse già disponibili, dei possibili coinvolgimenti di privati attraverso forme di Partenariato Pubblico Privato (PPP), delle modalità di erogazione nel tempo delle risorse, in particolare della possibilità di ricorrere al modello contrattuale del “canone di disponibilità”, ecc.

In realtà questa parte del Recovery Plan è senza dubbio la più difficile perché deve essere strettamente collegata con lo strumento della Legge di Stabilità e quindi deve trovare anche, nel Documento di Economia e Finanza (DEF), un riferimento sistematico sia nel primo anno di avvio del Recovery Plan, sia in tutti gli anni di attuazione concreta dello stesso.

Ripeto questa è senza dubbio la fase più complessa che imporrà forse anche una rilettura o addirittura una modifica, almeno per le coperture del Recovery Plan, alla impostazione della stessa Legge di Stabilità o sarà necessario dare vita ad una Tabella distinta e, come richiesto dallo stesso Regolamento approvato ultimamente dal Parlamento Europeo, ad una norma che regoli in modo diverso l’intero programma finanziario legato al Recovery Plan.

Questi pilastri procedurali, queste concrete innovazioni non solo nel programmare ma nell’attuare concretamente, in tempi certi, le scelte offrono al Mezzogiorno una grande occasione; ho volutamente parlato di “Mezzogiorno” e non di “Regioni del Mezzogiorno” perché in questo nuovo approccio è proprio il Mezzogiorno, nella sua articolazione non solo geografica, non solo geo economica, non solo istituzionale ma nella sua unica caratteristica di realtà ricca di potenzialità e priva delle condizioni strutturali ed infrastrutturali capaci di produrre crescita, ad essere un attore chiave, un attore vincente. In fondo è la prima volta che si disegna una proposta organica concreta per l’intero Mezzogiorno; non è un Piano del Sud, non è una elencazione di interventi, non è una sommatoria di assegnazione di risorse per raggiungere percentuali teoriche (34%, 40%, 45%, 50%), non è una elencazione bilanciata di opere e di funzioni (equilibrio tra porti, interporti ed aeroporti tra le varie Regioni), non è una articolazione equilibrata dei proventi generati dai vari reali o potenziali nodi logistici. Per assurdo è un Mezzogiorno che parla con un solo linguaggio, con una sola grammatica ed è un Mezzogiorno che indica quali siano i punti strategici da lanciare, da difendere indipendentemente dalla loro ubicazione fisica, perché nei fatti il Mezzogiorno per la prima volta può diventare una Società per Azioni che persegue la crescita dell’intero asset societario e non di una sommatorie di tessere che, addirittura, nel tempo sono state la causa della mancata crescita.


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