Il costo della chiusura dell'Ilva
5 minuti per la letturaEx Ilva e Xylella, acciaio e olio. Due settori strategici per l’economia pugliese e nazionale ma che rischiano l’implosione. E se dovesse accadere sono inimmaginabili le ripercussioni per il sistema Italia. L’avvio della fermata dell’area a caldo avrà come conseguenza quasi immediata la distruzione graduale e irreversibile degli impianti, dalle cokerie agli altoforni, e il blocco di tutta la produzione di laminazione per mancanza di acciaio.
In poche parole, potrebbe essere l’inizio della fine del più grande siderurgico d’Italia, l’ex Ilva di Taranto. Mancano ormai meno di 50 giorni alla deadline imposta dal Tar di Lecce, il tempo scorre e una bomba sociale potrebbe scoppiare a Taranto, in Puglia, ma investire tutta l’Italia.
Diecimila persone, calcolando solamente i dipendenti diretti, potrebbero ritrovarsi dall’oggi al domani senza un lavoro, 10mila famiglie senza un reddito. A queste vanno sommati almeno altri 5mila lavoratori dell’indotto, un disastro economico e sociale. Soprattutto se, come appare, non c’è un piano B. Oggi sono 1.700 I lavoratori in Cigs di Ilva in Amministrazione Straordinaria per la mancanza di prospettiva occupazionale; circa 3mila, invece, gli operai di AMI costretti a rimanere in cassa Covid-19 nonostante la parziale risalita produttiva.
A questi si aggiungono i circa 6mila lavoratori dell’appalto che continuano a subire gravi ritardi sul pagamento delle retribuzioni, oltre alle preoccupazioni sul loro futuro occupazionale. Taranto è con il fiato sospeso, quello che potrebbe accadere lo ha illustrato la Svimez in un report presentato alle commissioni Bilancio e Politiche dell’Unione europea.
Secondo i dati sviscerati dall’Istituto, la chiusura della più grande fabbrica del Sud provocherebbe, considerando gli effetti diretti, indiretti e indotti, un impatto sul Pil italiano di 3,5 miliardi di euro, di cui 2,6 miliardi concentrati al Sud e i restanti 0,9 miliardi nel Centro-Nord.
Un impatto negativo si avrebbe soprattutto sulle esportazioni (-2,2 miliardi) ma anche sui consumi delle famiglie (-1,4 miliardi), considerando il significativo impatto del venir meno degli stipendi degli addetti dello stabilimento, dell’indotto diretto e degli effetti occupazionali del rallentamento dell’economia. Il Tar di Lecce, dieci giorni fa, ha disposto la chiusura dell’area a caldo per un rischio per la salute dei tarantini.
A rischio ci sono 10mila posti di lavoro, senza calcolare l’indotto. Arcelor Mitta, che nel frattempo ha presentato ricorso al Consiglio di Stato, ha meno di 50 giorni per fermare gli impianti dell’area a caldo del siderurgico di Taranto perché è “a rischio la salute pubblica”.
La decisione che potrebbe cambiare la storia dell’ex Ilva e del Paese è stata presa dal Tar di Lecce 10 giorni fa, i giudici hanno respinto i ricorsi proposti da ArcelorMittal e Ilva in As contro l’ordinanza numero 15 del 2020, firmata dal sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, che imponeva ai gestori l’individuazione e il superamento delle criticità derivanti da fenomeni emissivi dello stabilimento siderurgico, disponendo, in difetto, la fermata dell’area a caldo.
Gli effetti dell’ordinanza sindacale erano stati sospesi il 24 aprile 2020 in accoglimento delle istanze di ArcelorMittal e Ilva in As con due provvedimenti-gemelli, poi riuniti, che prevedevano una serie di atti istruttori da compiersi entro lo scorso 7 ottobre. Il termine per “procedere a ulteriori accertamenti e verifiche al fine di individuare preliminarmente le anomalie di funzionamento”, sottolinea il Tar, deve ritenersi “ormai irrimediabilmente decorso”.
Ma nel silenzio più assoluto, un’altra pandemia in Puglia sta mettendo in ginocchio una intera economia e sta desertificando una regione: la Xylella dal Salento è risalita sino a Bari e avanza ancora senza sosta, distruggendo ettari su ettari di ulivi e provocando la chiusura di decine di imprese. Basti pensare che sono 3.828.387 le piante espiantate già, senza contare altri milioni di ulivi contagiati.
Solamente per questi 4 milioni di ulivi abbattuti, gli imprenditori agricoli hanno presentato 9.164 richieste di risarcimento per un totale di 216 milioni di euro. Sapete qual è allo stato attuale la dotazione finanziaria messa a disposizione dallo Stato per aiutare gli agricoltori? Poco più di 40 milioni di euro, mancano all’appello quasi 180 milioni. E intanto, le aziende chiudono e tutto l’indotto soffre, e non solo quello pugliese.
Per avere un’idea della crisi che si sta innescando ecco qualche numero: le aziende agricole pugliesi sono 352.510, pari al 13,59% delle aziende agricole presenti in tutta Italia. La Puglia è preceduta solo dalla Sicilia. La superficie agricola utilizzata è di 1.250.000 ettari, ovvero il 10% circa a livello nazionale. Gli ettari di olivo in Italia sono 1.166.000, in Puglia 373.000, il 32% dell’olivicoltura italiana, e quelli in provincia di Bari e Bat 132.000 ovvero il 35% dell’olivicoltura pugliese.
Il valore dell’intera produzione agricola pugliese è di circa 4 miliardi di euro all’anno; il valore aggiunto, comprensivo di quello dell’industria alimentare, è di circa 2 miliardi di euro. L’olivicoltura pugliese vale circa 750 milioni euro all’anno, 40% circa rispetto al totale nazionale. Ancora: la Puglia è la regione dove si assume più manodopera agricola con circa 90.000 occupati e di questi il 40% nelle sole provincie di Bari e Bat.
Si consideri che la Fiat occupa circa 18.000 dipendenti e l’ex Ilva di Taranto 10.000. In sintesi, in termini di occupazione l’agricoltura pugliese vale cinque volte la Fiat e 7,5 volte l’ex Ilva; le sole provincie di Bari e Bat, in termini di occupazione, valgono due volte la Fiat e più di tre il siderurgico tarantino. È stato accertato che solo per il 2018 la perdita di produzione per le aziende pugliesi causata dalla Xylella è stata pari a circa 137 milioni, corrispondente al 70% della produzione lorda vendibile (Plv) dell’olivo dell’area delimitata. Per l’anno 2019, invece, la produzione danneggiata è stata di circa 86,4 milioni corrispondente al 66%: in totale, circa 223 milioni di perdite in due anni.
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