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Per quanto migliorato rispetto alla prima versione, nel nuovo Piano nazionale di ripresa e resilienza «manca ancora una piena visione del contributo che il Mezzogiorno può dare alla ricostruzione del Paese». «O si mette in moto il Sud come motore aggiuntivo» oppure il Pnrr «rischia» di risolversi in un «uno scatolone di progetti non meglio chiariti nel loro impatto, senza una linea chiara e strategica. E i risultati potrebbero essere deludenti». Davanti alla Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, Luca Bianchi e Adriano Giannola, direttore e presidente della Svimez, hanno fatto il punto sull’ultima proposta di ricostruzione del Paese messa in campo dal governo, partendo da un presupposto: la strategia per il Mezzogiorno deve essere rafforzata, anche a vantaggio del Centro Nord e dell’intero “Sistema Paese”. E la strategia deve partire dall’assegnare al Sud una quota degli investimenti previsti ben superiore al 34%, percentuale, tra l’altro, finora sempre disattesa, attestandosi negli ultimi anni intorno al 24%, dieci punti sotto.
«Non ci accontentiamo di una destinazione nel Mezzogiorno solo del 34% – dice Bianchi – Il raggiungimento di un effettivo sviluppo del Paese e la riduzione dei divari richiedono una quota superiore». Secondo Svimez, gli investimenti previsti nel piano – il 70% delle risorse, equivalenti a circa 150 miliardi – a regime, quindi nel 2026, avrebbero un impatto aggiuntivo sulla crescita italiana pari a circa 8 punti, con un milione di posti di lavoro in più, 600mila al Centro Nord, 400mila al Sud. Una simulazione mostra, poi, gli effetti sul Pil del Mezzogiorno a seconda che la quota di spesa in conto capitale sia pari allo “storico” 24% o all’auspicabile 50%.
«La destinazione al Mezzogiorno del 50% dei fondi di Next Generation Eu per investimenti, più coerente con l’obiettivo della coesione territoriale, avrebbe l’effetto di incrementare la crescita del Pil meridionale, dall’8,1 all’11,6% (e di attivare un ulteriore incremento di circa 100 mila posti di lavoro) – ha affermato Bianchi – ma inoltre determinerebbe una maggiore crescita complessiva dell’economia nazionale di circa un punto percentuale».
Per il 2020 la Svimez ha stimato un calo del Pil del 9,6%, maggiore al Centro Nord (-9,8%), rispetto al Sud (-9). Sul fronte dell’occupazione la riduzione è stata, invece, più marcata nel Meridione, «quasi il doppio rispetto al Centro Nord, perché la perdita occupazionale si è concentra sul lavoro precario che qui è diffuso». Per l’occupazione giovanile, poi, la riduzione arriva a 7,1% nel Sud, contro il – 4,8% nel resto del Paese. La situazione che potrebbe profilarsi a primavera, con la Cig e il blocco dei licenziamenti in scadenza, è allarmante. «Esiste un bacino di rischio di circa 500 mila occupati oltre i 470 mila già persi nel 2020 – rileva il direttore – A livello territoriale l’area di rischio sarebbe di circa 200 mila unità al Sud e di circa 300 mila nel Centro-Nord a causa della crisi conseguente al Covid». Da qui l’avvertimento di Bianchi: «C’è l’esigenza di prorogare quanto più possibile, almeno nei settori che non sono interessati dalla ripresa», strumenti come la Cig Covid e il blocco dei licenziamenti «per evitare possibili tensioni sociali che possono accadere nel Mezzogiorno, con particolare riferimento alla periferie delle grandi aree urbane». E da qui anche il monito a far sì che «il Recovery Plan tenga conto dei dati territoriali e consenta la ripresa dell’economia meridionale così da poter recuperare la perdita di occupazione».
Tornando al giudizio di merito sul nuovo Piano, Bianchi saluta positivamente l’aumento della percentuale di investimenti rispetto agli incentivi, come le maggiori risorse sulla sanità, l’istruzione e la coesione – missioni con un impatto importante per il Sud – entrambi «fondamentali per la riattivazione del processo di crescita del Mezzogiorno». Come positivo è giudicato anche il coinvolgimento delle risorse del Fondo sviluppo e coesione «perché – ha spiegato – consente un’accelerazione della spesa su cui finora si sono registrati forti ritardi».
L’avvertenza è che i fondi vengano considerati davvero aggiuntivi e che, come avviene con le risorse del React Eu, sia possibile «l’individuazione dei progetti cui partecipano e il monitoraggio del rispetto della ripartizione, ovvero l’80% al Sud e il 20 al resto del Paese». Lacuna da colmare sicuramente quella della governance e che, si sottolinea, per il Mezzogiorno, su cui pesa un gap di capacità amministrativa, assume un rilievo particolare. La Svimez suggerisce, in particolare, di dare un ruolo attivo nella definizione e attuazione dei progetti alle imprese strategiche nazionali che, nel rispetto delle indicazioni e degli obiettivi, possono supportare il processo di infrastrutturazione del Paese.
«Il compito del Pnrr è affrontare la gravissima crisi dell’economia italiana che si concentra in modo particolare al Sud – afferma il presidente Giannola – il Piano è una occasione fondamentale ma osserviamo, in generale, che il rischio è che si risolva in un contenitore di progetti senza una linea chiara e strategica». E la strategia, sostiene, deve puntare a riattivare il secondo motore italiano, riducendo le diseguaglianze, aumentando la coesione e restituendo all’Italia quella crescita che praticamente non conosce da 20 anni. Così tra le priorità che «ci viene sostanzialmente favorita e chiesta» dall’Europa, Giannola pone la necessità di realizzare un «Southern Range, un sistema logistico produttivo che faccia del Sud il perno dell’innovazione strategica europea».
«Da anni abbiamo individuato nei porti, nelle zone economiche speciali (Zes), nella logistica a valore, nella connessione Nord-Sud in questo ambito, – dice – l’elemento strategico che può rimettere in moto tutto il Paese dotandolo del secondo motore, che sarebbe la capacità di attivazione dello sviluppo messo in moto dal Sud». Secondo il presidente Svimez, inoltre, «le zone economiche e speciali devono essere messe in grado di funzionare» ma, rileva, di questo non troviamo quasi nulla nel documento anzi solo che la portualità del Sud ha una vocazione turistica, e allora perché costituire otto Zes». A questo deve accompagnarsi l’integrazione del integrazione Nord-Sud attraverso l’alta velocità «che va portata fino a Palermo e Catania e per questo, anche se non finanziato dal Recovery occorre fare il ponte sullo Stretto, attuabile oggi senza i rischi e le paure di 40 anni fa». Prioritaria è anche, «come prevedono le condizionalità poste dall’Europa, realizzare una perequazione mirata ai diritti di cittadinanza sulla sanità, la scuola e la dotazione infrastrutturale. Svimez – afferma Giannola – ha già proposto poi un indolore processo di perequazione, da rendere praticabili con una reinterpretazione del concetto della spesa storica che ha contribuito alla marginalizzazione del Mezzogiorno».
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