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Giuseppe Conte con il Ministro Gualtieri

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Il Recovery plan italiano è ancora poco più che una bozza programmatica: mancano i progetti definiti nel dettaglio, con i relativi importi, piani di attuazione e cronoprogramma. Ma soprattutto manca ancora la governance.

Sulla struttura disegnata dal premier Giuseppe Conte nella prima bozza s’è infranta l’unità della maggioranza. Nell’ultima, consegnata la scorsa settimana al Parlamento, e ieri sul tavolo inaugurale delle consultazioni tra il governo e le parti sociali, è a malapena evocata: il governo proporrà un modello alle Camere. Stop, questione rinviata a momenti meno turbolenti.

A riportarla in primo piano, sostenendone a una sola voce l’urgenza, sono stati Cgil, Cisl e Uil incontrando a Palazzo Chigi oltre a Conte, tra gli altri, i ministri Gualtieri, Provenzano, Catalfo e Patuanelli. Hanno chiesto una governance chiara, con sindacati e imprese nella cabina di regia, un tavolo di confronto permanente per il monitoraggio, la verifica, le accelerazioni degli interventi. La posta in gioco è altissima. «Su questo piano ci giochiamo tutto», ha sottolineato Annamaria Furlan, leader della Cisl.

Obiettivi e missioni non sono in discussione, sono condivisi ma ora «è il momento di entrare nel merito del Recovery plan», ha sostenuto il numero uno della Cgil, Maurizio Landini.

«Chiediamo la disponibilità del governo ad approfondimenti sulle singole questioni anche per valutare i dettagli e i risultati economici e occupazionali attesi – ha affermato Furlan – Ma deve essere chiaro chi gestisce i progetti e come avviene concretamente l’attuazione degli investimenti. Bisogna avere un preciso cronoprogramma per monitorare l’attuazione di questi progetti, in modo da poter valutare e correggere passo passo eventualmente le cose che non funzionano».

Sulla stessa linea il segretario della Uil, Pierpaolo Bombardieri, che ha espresso «preoccupazione» per la mancata definizione di una governance – cui ha aggiunto quella per il possibile ritorno al patto di stabilità, assolutamente da scongiurare – ribadendo la necessità di «definire un cronoprogramma degli impegni di spesa per monitorare l’efficace implementazione e gli impatti (del piano, ndr) soprattutto occupazionali».

A chiedere un «confronto serrato» su contenuti e missioni, «al fine di condividere i progetti da presentare a Bruxelles per dare lavoro stabile e di qualità ai giovani, alle donne e nel Mezzogiorno» anche Landini, che ha messo sul tavolo anche la proroga del blocco dei licenziamenti in scadenza a fine marzo, questione che sarà sicuramente al centro del tavolo con i sindacati fissato dal ministro Gualtieri per la prossima settimana.

Il contributo dei sindacati «sarà valorizzato» per «modificare ulteriormente, per quanto necessario e opportuno» il Recovery plan, ha assicurato Conte, sottolineando poi come la «versione migliorata», nata dalla «dialettica vivace» con le forze di maggioranza, secondo le stime del Mef, porterà a una crescita di 3 punti di Pil nel 2026. «Questo piano -ha affermato – deve servirci a liberare il potenziale di crescita dell’economia, a dare impulso alla produttività e all’occupazione, rafforzando al contempo la coesione sociale».

Da Gualtieri è arrivata l’impegno al rigore: «Dobbiamo esser rigorosi, sia nella precisione della realizzazione dei progetti, sia nell’attuazione del piano», ha detto. Un processo per cui serve «un grande sforzo collettivo di tutte le forze sane del Paese». Il ministro ha ricordato i numeri del piano: 300 miliardi mobilitati in sei anni, «incentrato su un rilancio senza precedenti sugli investimenti», cui sono destinate il 70% delle risorse. Un piano, ha sottolineato, che «delinea una strategia di rilancio del Mezzogiorno senza uguali, incardinato su una mole di investimenti straordinaria sulle infrastrutture e misure complementari volte a compensare il gap di produttività. Complessivamente è il più massiccio piano messo in campo per il rilancio del Mezzogiorno che la storia della Repubblica ricordi da decenni a questa parte».

L’Italia, ha evidenziato il titolare del Mef, è entrata nel gruppo dei 15 Paesi che hanno presentato una bozza del piano: «Ora ci aspetta un doppio lavoro: un rigoroso confronto con la Commissione e una condivisione con il Paese – ha detto – Sono fiducioso che alla fine di questo percorso saremo in grado di presentare in Europa un piano molto significativo con un impatto trasformativo in grado di colmare i gap infrastrutturali del Paese lungo tre assi verticali, digitalizzazione e innovazione, sostenibilità sociale e ambientale, equità e coesione sociale, e con tre grandi priorità trasversali che abbiamo cercato di far emergere con forza: l’equità di genere, il sostegno ai giovani e riequilibrio territoriale, a partire dal Mezzogiorno a cui va il 50% degli investimenti».


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