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IN UNO dei miei blog del mese di settembre del 2020 avevo ricordato quali erano i passaggi procedurali dettati dalla Commissione Europea per poter cominciare a ricevere le prime risorse del Recovery Fund.
Siccome però vedo sempre un facile e continuo ritorno all’ottimismo datato 25 luglio 2019, quando il Presidente Conte in una conferenza stampa annunciò che avremmo potuto contare entro il 2020 di una prima tranche del 10% o, addirittura, del 20% del valore globale assegnato all’Italia pari a 209 miliardi di euro, ritengo utile ricordare alcuni passaggi obbligati imposti dalla Unione Europea prima di accedere alla prima tranche di risorse.
In particolare: “I Governi devono presentare un piano di utilizzo dei fondi entro il 30 aprile, la Commissione europea ha due mesi di tempo per dare la sua approvazione sulla base di quattro criteri: rilevanza del Piano rispetto agli obiettivi comunitari (ambiente e digitale), coerenza, efficienza ed efficacia.
Successivamente il Consiglio ha quattro settimane per dare il suo benestare al Piano nazionale. In realtà nel migliore dei casi potremo disporre di una prima tranche pari al 13% del Recovery Fund non prima del mese di agosto o addirittura settembre”.
Ora mi chiedo cosa potrà dire il Governo al Parlamento nella presentazione a giugno della manovra di assestamento di bilancio e cosa potrà riportare entro il 15 settembre 2021 nel Documento di Economia e Finanza del 2022. In merito alla manovra di assestamento ricordo che in tale norma sono riportate tutte le operazioni finanziarie che hanno caratterizzato le assegnazioni della Legge di Stabilità dal 31 dicembre del 2020 al 30 giugno del 2021.
Ebbene in tale manovra necessariamente il Governo ed il Parlamento dovranno soffermarsi a lungo su quanto riportato nei commi dal 1037 fino al 1050 della Legge di stabilità 2021, cioè nei commi in cui si fa riferimento ad una serie di misure per l’attuazione del Programma Next Generation EU.
In particolare in essi si prevede l’istituzione di un apposito Fondo di rotazione nello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, con una dotazione, nel testo iniziale del disegno di legge, di 34,775 miliardi di euro per il 2021, 41,305 miliardi di euro per il 2022 e 44,573 miliardi di euro per il 2023. Nel corso dell’esame in Commissione la dotazione del Fondo è stata ridotta a 32.766,6 milioni di euro per il 2021 (-2.008,4 milioni) e a 40.037,4 milioni di euro per il 2022 (-97,6 milioni).
Il Parlamento ed il Governo hanno quindi dibattuto su delle risorse che sarebbero sicuramente arrivate nelle scadenze previste; in particolare almeno per il 2021 ad un valore di 32.766,6 milioni di euro. Circa un mese fa, sì quando avevamo ancora il disegno di legge di stabilità non trasformato in Legge definitiva attraverso il voto di fiducia, avevo ricordato che l’intero provvedimento per oltre il 60% trovava copertura nell’articolo 184 e tale copertura era garantita dai Fondi che sarebbero, ripeto “sarebbero”, arrivati con il trasferimento al nostro Paese delle risorse del Next Generation EU.
Ora per le tempistiche che, in modo sintetico, ho riportato prima appare evidente che il 30 giugno non sarà disponibile nessuna quota del Recovery Fund e non credo, anche alla luce di quanto giustamente dichiarato dal Ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri, sia possibile incrementare ulteriormente il debito pubblico anticipando ulteriori risorse, perché nel mese di settembre del 2022 il Governo dovrà, come detto prima, predisporre il Documento di Economia e Finanza (DEF) e nel mese di ottobre il Disegno di Legge di Stabilità 2022.
Ma “ad impossibilia nemo tenetur”; di fronte ad una simile constatazione sono sicuro prenderà corpo la intelligenza della nostra macchina del “non fare”. Mi riferisco all’attuazione dei cosiddetti “Decreti attuativi”; mi riferisco cioè ai vari provvedimenti che dovrebbero garantire l’avvio concreto di tutte le voci di spesa legate, soprattutto, proprio agli impegni in conto capitale e, quindi, come già avvenuto nel 2019 in cui alla fine dell’anno, in particolare il 30 novembre, erano praticamente rimaste bloccate tutte le risorse per oltre 18 miliardi di euro per mancanza dei Decreti attuativi, anche nel 2021 tutto resterà fermo. L’anno passerà ma le risorse previste, ripeto “previste”, rimarranno tali perché i 176 Decreti attuativi non saranno operativi.
Queste mie anticipazioni, non le ho volutamente chiamare previsioni perché trattasi ormai di informazioni scontate, avranno come risultati obbligati una attivazione della spesa, almeno per quanto concerne il comparto delle infrastrutture, nell’anno 2021 pari a circa 3,5 miliardi di euro e riguarderanno essenzialmente le infrastrutture ferroviarie garantite dai muti già accesi in modo lungimirante dalle Ferrovie dello Stato con la Banca Europea degli Investimenti, una parte modesta, forse 600 milioni sarà attivata dall’ANAS ed un importo non superiore ai 300 milioni di euro sarà utilizzato per le reti metropolitane. Di questo davvero limitato volano di risorse al Mezzogiorno andrà una quota non superiore ai 700 milioni di euro.
Qualcuno solleverà subito una critica a queste mie anticipazioni ricordando che è partito anche il provvedimenti relativo al Super Bonus per la Rigenerazione Urbana (il famoso 110%); rispondo subito a questa osservazione ricordando che gli interventi dovranno rispettare i requisiti minimi di prestazione energetica previsti dal DM 26 giugno 2015 e assicurare il miglioramento di almeno due classi energetiche dell’edificio o, ove impossibile, il conseguimento della classe energetica più alta, da dimostrare mediante Attestato di Prestazione Energetica (APE); in realtà, con tali richieste, le prime erogazioni arriveranno agli inizi del 2022.
Mi soffermo solo sul dato di risorse che potranno essere spese al Sud nel corrente anno per denunciare ancora una volta la limitata dimensione della spesa e, al tempo stesso, per chiedere non tanto al Governo ma al Ministro per il Sud e la Coesione territoriale Giuseppe Provenzano se di fronte a questi dati non sia il caso di prendere subito delle iniziative capaci di garantire davvero la disponibilità finanziaria per avviare concretamente le opere infrastrutturali del Mezzogiorno; per far partire opere essenziali come, solo a titolo di esempio, il completamento della strada statale 106 Jonica, gli assi viari Agrigento – Caltanissetta, Palermo – Agrigento, l’autostrada Ragusa – Catania, l’asse stradale Maglie – Santa Maria di Leuca, il collegamento tra l’autostrada A1 e il porto di Bari, il completamento della metropolitana di Napoli e della rete Circumetnea a Catania.
E chiedo insistentemente al Ministro se di fronte a questa carenza di “cassa”, almeno per il 2021, non sia il caso di bloccare per un anno e rivedere sostanzialmente l’assurda e fallimentare operazione innescata con il “Reddito di cittadinanza”, una misura studiata per contrastare la povertà e trovare lavoro ai percettori disoccupati, una misura che per permettere a migliaia di cittadini di usufruire di un credito mensile ha un costo per il bilancio pubblico tutt’altro che povero.
Anzi, nel triennio tra il 2020 e il 2022 ammonta a quasi 26 miliardi di euro. Un prezzo molto elevato per una misura finita spesso al centro delle polemiche, non soltanto per gli importi erogati ai percettori, ma anche per le difficoltà incontrate nella fase 2, in cui sono entrati in scena i Centri per l’Impiego e i Navigator.
Il Ministro Provenzano sicuramente ad un simile interrogativo risponderà che a beneficiare del “reddito di cittadinanza” per una soglia del 62% è proprio il Sud e quindi annullare un simile provvedimento significa penalizzare questa vasta realtà territoriale; ma essendo il Ministro Provenzano un meridionale come me sa bene che la peggiore cura per il Mezzogiorno è proprio l’assistenzialismo fine a se stesso, è proprio la illusione diffusa di combattere la povertà sapendo in partenza che questi provvedimenti rafforzano ulteriormente proprio la stessa povertà.
Concludo queste mie considerazioni precisando che non fare nulla e mantenere il 2021 analogo al 2015, al 2016, al 2017, al 2018, al 2019, al 2020, cioè praticamente con pochissimi cantieri aperti, produce, a mio avviso, una immediato attacco all’attuale compagine di Governo: le persone effettivamente supportate dal “reddito di cittadinanza” sono 2 milioni e 797 mila, anche se è una iniziativa fallimentare, anche se blocca l’avvio di almeno 6 miliardi di euro subito nel Sud, rimane sempre una ottima base elettorale a cui il Movimento 5 Stelle non può rinunciare. Spero che la mia sia solo una gratuita cattiveria di un cittadino del Sud.
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