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Il premier Giuseppe Conte

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Si profila un weekend fitto di incontri – perlopiù virtuali – e confronti con l’obiettivo di arrivare all’appuntamento di lunedì a Palazzo Chigi con un’architettura ben definita per la struttura di missione che dovrà gestire i 209 miliardi del Next Generation Eu assegnati dall’Europa all’Italia. Ma soprattutto di sciogliere i nodi ancora sul tavolo che sembrano compattare una maggioranza che – dal Mes alle riforme, dal fisco al Dpcm – appare sull’orlo dell’implosione.

Sul Recovery Fund si incrociano tensioni esterne e interne. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, cerca di mediare sull’uno e sull’altro fronte: «Fra qualche giorno sarò a Bruxelles per discutere del Recovery Fund. Voglio rassicurare tutti: dietro la nebbia delle polemiche e dei distinguo – pur legittimi – c’è un percorso veloce e cristallino per valorizzare al massimo quella che per l’Italia è un’occasione storica: 209 miliardi che devono cambiare le nostre vite».

Sulla governance per la gestione dei fondi – che verrà istituita con un emendamento alla legge di Bilancio – malumori e mal di pancia continuano a serpeggiare tra i ministri e i parlamentari delle diverse forze di governo, alcuni vengono affidati al “confessionale” delle chat, con la consueta richiesta di riservatezza, altri li esprimono apertamente. Dal “triumvirato” trapela comunque ottimismo: lo schema della cabina di regia è pronto, fino a lunedì c’è il tempo di raffinarlo. Da “raffinare” è soprattutto il raccordo tra la tecnostruttura, ovvero i manager, e i ministri. Un punto su cui la sensibilità è alta e diffusa.

Lo schema, intanto: al vertice della cabina di regia c’è un comitato esecutivo – il livello politico – composto del presidente del Consiglio affiancato dai ministri dell’Economia, Roberto Gualtieri, e Stefano Patuanelli (il triumvirato lo hanno, appunto, ribattezzato i malpancisti). Sei manager saranno i responsabili delle sei missioni indicate dalle linee guida del Recovery Plan: digitale, green, istruzione, infrastrutture, sanità, equità di genere e formazione. A loro dovrà rispondere la task force tecnico-amministrativa che nel frattempo è passata dai 300 membri inizialmente previsti – evidentemente inghiottiti dalle polemiche – a 90. A loro il compito di mettere a terra i progetti per i 209 miliardi europei, che dovrebbero essere circa dieci per ogni missione. A ogni manager la responsabilità del buon esito dell’operazione: ritardi e inefficienze potrebbero loro costare la revoca dell’incarico da parte del comitato esecutivo. Profilo e provenienza dei “capi filiera” sono un altro elemento sul tavolo.

Resta da definire in che modo il team manageriale si interfaccerà con i ministeri, ma soprattutto con i loro titolari. In tanti lo considerano alla stregua di “un corpo estraneo” e alla luce di questo ne mettono in discussione l’efficacia: «un rischio che dato la posta in gioco non ci possiamo permettere», argomenta qualcuno. Un altro punto che desta perplessità è l’assenza di una figura di raccordo tra il comitato esecutivo e i manager.

Poi c’è chi, come il vicesegretario dem, Andrea Orlando, affronta la questione a viso aperto: «Dovremo capire come questa struttura si raccorderà al lavoro dei ministeri, evitando duplicazioni, e come si eviteranno forme di accentramento. L’accentramento, comunque, non ha nulla a che vedere con la struttura esterna, si può avere anche senza e va evitato in tutti casi, non perché c’è diffidenza nei confronti di Conte ma perché se tutto arriva su un solo tavolo le risposte rischiano di giungere troppo tardi», afferma in un’intervista al Corriere della Sera.

A chiamarsi fuori dalla cabina di regia, intanto, è il ministro degli Affari europei, Vincenzo Amendola. «Io faccio un altro lavoro, non posso far parte della cabina di regia», dice smarcandosi così dall’ipotesi di un suo coinvolgimento diretto, con il premier Conte e ministri Gualtieri e Patuanelli, in una intervista a LaChirico.it. «In Italia tutti si candidano a tutto ma io continuerò a tenere i rapporti con Bruxelles, non posso far parte di alcuna cabina di regia. L’attuazione del piano – puntualizza Amendola – sarà affidata a un soggetto attuatore, a una struttura tecnica amministrativa, che dovrà rispettare i tempi, altrimenti – avverte – perderemo le risorse. Il governo si gioca la sua credibilità». Il ministro interviene anche su un altro tema caldo, quello dei manager: «Non potranno essere scelti tra quelli già impegnati in ruoli importanti o addirittura in grandi aziende partecipate. I manager che guideranno le missioni saranno impegnati a tempo pieno, non si possono fare doppi lavori».

Entro lunedì – l’appuntamento a Palazzo Chigi per il Cdm straordinario è fissato alle 9 – bisognerà trovare anche una formula, o meglio, un organismo che possa ospitare una sede di confronto con enti territoriali, parti sociali e sindacati. I governatori della Lombardia e del Veneto, Attilio Fontana e Luca Zaia, in realtà sono già proiettati oltre il confronto dal momento che sono pronti a mettere sul tavolo del premier priorità e obiettivi dei loro Piani per il Recovery Fund.


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