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È IL BLOCCO dei licenziamenti uno strumento adeguato alla economia nel corso dell’epidemia in corso? Questa la domanda legittima che si fanno in molti, considerato peraltro che è una misura che altri grandi Paesi, Francia e Germania, non hanno adottato. Certamente pensare che una azienda oggi possa licenziare i propri dipendenti, soprattutto se le zone rosse si allargheranno ulteriormente o piuttosto se si arriverà, come è probabile, a un ulteriore lockdown, tipo marzo, sembrerebbe una misura assolutamente inopportuna. I soggetti licenziati si troverebbero in una situazione delicata e difficile. Nessuno pensa che si possano lasciare a se stessi, senza un aiuto da parte dello Stato. 

LA SCELTA DECISIVA

Ma non di questo stiamo discutendo, piuttosto sull’alternativa se sia meglio bloccare i licenziamenti o invece assistere i lavoratori in modo diverso, consentendo alle aziende di organizzarsi, anche per il futuro, come meglio credono. Perché il rischio è che si costruisca una serra che prima o poi dovrà essere aperta, e a quel punto il temporale, cioè la ristrutturazione, farà morti e feriti. Peraltro quella che viviamo può essere un’occasione per consentire alle nostre aziende di trovare un assetto alternativo a quello che hanno avuto finora, utilizzando maggiormente gli strumenti informatici “scoperti” grazie al Covid e quindi riuscendo ad avere un costo più basso per unità di prodotto, con un importante aumento della produttività.  Ibernare una situazione al febbraio 2020, non consentendo margini di manovra, può diventare estremamente pericoloso. 

Peraltro le risorse che dovranno essere dedicate a tali interventi sono enormi e vengono distribuiti nel Paese in modo proporzionale al numero di occupati di ciascuna area. E ovviamente andranno in maniera più consistente nella parte dove lavora una persona su due, rispetto alla popolazione, e molto meno in quella dove lavora una su quattro, come in tutto il Mezzogiorno, nel quale, su 21 milioni di abitanti, si avevano appena 6 milioni di occupati, compresi i sommersi, ante-epidemia. Capisco che esistono altri strumenti per assistere gli ultimi. Ma non sarà facile ristorare coloro che non sono forza lavoro e quindi nemmeno disoccupati. Certamente con lo strumento dell’assistenza a chi perdeva il lavoro si poteva utilizzare uno strumento più flessibile per aiutare coloro che si ritrovavano in una situazione complicata dopo un licenziamento, non bloccando le aziende nel loro processo di cambiamento eventuale, ma inserendo anche coloro che sono fuori dal mercato del lavoro.

INVESTIMENTI URGENTI

Peraltro, cosa si fa se la situazione dovesse prolungarsi: iberniamo l’economia fin quando non arriva il vaccino? E cosa si troverà dell’assetto industriale, commerciale dopo un così prolungato blocco? La tentazione statalista, sempre latente, si manifesta facilmente e fa da pendant al reddito di cittadinanza, per cui il rischio che il nostro Paese non solo si ritrovi a dover spendere somme immani per l’assistenza, chiamata “politiche attive del lavoro”, ma, con il blocco dei licenziamenti vi è anche il rischio di rallentare i processi riguardanti l’intero sistema produttivo. Ovviamente quelle che dedicheremo al salvagente sono tutte risorse che verranno meno per gli investimenti e per costruire un futuro alle nuove generazioni, che peraltro si ritroveranno a dover pagare un debito pubblico sempre più pesante.

E la situazione, in futuro, di dover spendere meno di quanto si produce sarà sempre più presente, perché il costo del debito si porterà una parte importante del Pil prodotto.  Invece il nostro Paese ha bisogno di fare grandi investimenti, perché ha l’esigenza di mettere a regime una parte, visto che soffre di un divario tra le aree così ampio, unico in Europa, E, se vuole competere con gli altri grandi Paesi europei, non ha alternativa: deve mettere a regime più di un terzo del suo territorio e occupare tre milioni in più di forza lavoro nel Sud. 

Purtroppo il nostro Paese ha avuto un occhio molto attento all’esistente e non ha avuto la capacità di immaginare un progetto. D’altra parte occuparsi dell’esistente è un modo per avere consenso e voti e, quindi, per restare al potere. Occuparsi del progetto, invece, potrebbe scontentare l’esistente e dare frutti nel medio termine, tempo che ai politici del momento interessa poco. Anche recentemente, per esempio, con la fiscalità di vantaggio, data alle aziende esistenti nel Mezzogiorno, si è fatta un’operazione di assistenza alle realtà operanti, preoccupandosi poco dell’attrazione degli investimenti dall’esterno dell’area e delle Zes, all’interno delle quali queste dovevano localizzarsi. 

LUNGIMIRANZA ZERO

Purtroppo in pochi si stanno preoccupando del dopo epidemia. Qualcuno mi spiegherà, tornati alla normalità, chi dovrà creare i posti di lavoro che servono per avere al Sud lo stesso rapporto tra popolazione e occupati che c’è in Emilia Romagna. Saranno le aziende esistenti, quelle che con la fiscalità di vantaggio abbiamo contribuito a fare resistere, alcune delle quali già fuori mercato, che hanno lasciato gli occupati ormai da 10 e più anni a una quota di sei milioni di abitanti, con un deflusso annuale di oltre 100.000 persone fuori dal Sud, come ci ricorda spesso la Svimez? 

Oggi, tutti presi giustamente dalle problematiche del Covid, ci stiamo occupando meno dei problemi strutturali. Ci si limita a dichiarazioni interessanti e valide di programmi fumosi che si riassumono nella rivoluzione digitale, nello sviluppo del green. Bei programmi che mettono insieme tutti, ma sottendono un ritorno a una gestione del Paese che vede prevalere quella che è definita locomotiva ma che sarebbe meglio chiamare “tradotta”.

LA CORSA ALLE RISORSE

Mentre la lotta per accaparrarsi le risorse messe a disposizione dall’Unione vede un Nord scatenato che ha chiamato alla lotta tutte le sue risorse, dai quotidiani chiamati nazionali ma con vocazione nordista, ai centri studi di Università blasonate o di Confindustria e sindacati per dimostrare che è molto più importante è necessario fare la Cremona-Milano di alta velocità piuttosto che la Salerno-Augusta, ponte compreso.

Malgrado le raccomandazioni dell’Unione, che oltre certi limiti non può andare e certo, anche se dà più risorse, nulla può fare perché il Nord non continui a essere un’ idrovora di risorse nazionali. Tanto ci sarà qualcuno, anche paludato, che dirà che in fin dei conti il Sud rimane assistito, prendendo a base di calcolo il reddito calcolato in una regione e considerando un residuo fiscale, inventato, in uno Stato in cui i diritti e i doveri stanno in capo all’individuo, non certamente alle singole aree.


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