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Il Ministero dell'Economia e delle Finanze

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Il governo ha accettato la richiesta dei sindacati. Blocco dei licenziamenti fino al 31 marzo e contemporanea proroga della cassa Covid di ulteriori 12 settimane, per far coincidere le scadenze. Si arriva così a un totale a 18 (sommando le sei previste, da 16 novembre al 31 gennaio, dal decreto Ristori, in vigore dal 29 ottobre e all’esame del Senato). Il costo è di quattro miliardi totalmente a carico dello Stato. «Stiamo vivendo una situazione complessa, con tanta preoccupazione e sofferenza. Per questo – ha affermato il premier Conte – il governo ritiene di dover fare uno sforzo finanziario ulteriore e dare un messaggio a tutto il mondo lavorativo di certezza e sicurezza». Soddisfatta dell’intesa anche la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo. «È un segnale importante per lavoratori e aziende in un momento delicato come quello che l’Italia sta attraversando».

Per finanziare la proroga verranno utilizzati i primi dieci miliardi del programma europeo di sostegno all’occupazione (Sure) che Ursula von der Leyen ha mandato a Roma un paio di giorni fa. Le risorse serviranno anche a coprire i bonus da 600 euro finora erogati dall’Inps per lavoratori autonomi e professionisti. Operazioni coperte finora massicciamente in deficit. Nelle prossime settimane da Bruxelles dovrebbe arrivare il resto per coprire la quota di 27,5 miliardi assegnata al nostro Paese da questo programma. È appena il caso di ricordare che anche per il Sure, così come per il Recovery Fund, l’Italia è il maggior beneficiario in ambito Ue. Tuttavia si tratta di prestiti che, pur avendo tassi d’interesse molto bassi prima o poi andranno rimborsati. Il ministro Gualtieri non fa una piega. Alla Giornata del Risparmio ha assicurato che la politica del governo resterà espansiva. Ma con quali risorse? A partire da marzo il deficit è stato aumentato di cento miliardi. E le risorse sembrano finite proprio nel momento più difficile. Come ricorda Renato Brunetta responsabile economico di Forza Italia con la ripresa della crisi da pandemia, la sessione di bilancio è già tutta da rifare. Con la seconda ondata di contagi, infatti, il quadro rappresentato nella Nota di aggiornamento al Def di fine settembre è invecchiato di colpo.

Da buttare anche il Documento Programmatico di Bilancio inviato alla Commissione Europea solo pochi giorni fa. Di conseguenza, da riscrivere completamente è anche la Legge di Bilancio per il 2021. Dopo il fuoco estivo (+16,1%) l’autunno si annuncia gelido. Il calo del Pil peggiore del previsto (il quarto trimestre avrà probabilmente segno negativo, con effetti di trascinamento anche nel 2021) produrrà sicuramente un aumento del debito. Se aggiungiamo il maggior deficit necessario per alleviare la crisi di famiglie e imprese per un secondo lockdown (sperabilmente più soft rispetto a quello di marzo), ecco allora che la finanza pubblica marcia inesorabilmente verso un rapporto deficit/Pil oltre l’11,0%, e un rapporto debito/Pil che raggiunge e supera il 160,0% per il 2020. «Insomma, tutto sbagliato, tutto da rifare» commenta Brunetta.

Le risorse recentemente stanziate dal Governo, nonostante le continue rassicurazioni inviate dal ministro Gualtieri, erano già insufficienti all’inizio della sessione di bilancio visto che si trattava, in gran parte di residui non spesi dei provvedimenti precedenti. Un semplice specchio che duplicava gli stessi stanziamenti. Effetto ottico senza sostanza. In ogni caso insufficienti. Impossibile, infatti, cavarsela soltanto con i 6,8 miliardi di euro di “ristori” stanziati dall’ultimo decreto (salvo intese) in corso di revisione. Una cifra messa in campo apposta dal Governo per rientrare “a pelo” nel deficit programmatico previsto dalla Nadef. Con l’intento di non cambiare il tetto di indebitamento e non dover chiedere un altro scostamento di bilancio al Parlamento. Giochetto, niente affatto lodevole, perché assomiglia tanto al mettere la polvere sotto il tappeto. Di miliardi ne serviranno di più, molti di più. Il problema è trovarli.


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