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Superare la clausola del 34% dei fondi del Recovery fund al Mezzogiorno, prevedendo una quota ancora maggiore di risorse, non solo è «auspicabile» data la necessità di superare il divario soprattutto infrastrutturale con il Centro Nord, ma soprattutto, «considerando il più alto moltiplicatore che caratterizza la spesa d’investimento effettuata al Sud», conviene al Paese. Camera e Senato si ritrovano sulla stessa linea sulla “questione Meridionale” e sulla necessità di scommettere sulla rinascita del Mezzogiorno una quota maggiore di quel 34% – peraltro finora rimasto sulla carta – che lega la quota di investimenti pubblici alla percentuale di popolazione residente sul territorio.
La relazione sulle Linee guida del Recovery Plan redatta della commissione Bilancio della Camera, approvata dall’aula di Montecitorio, fa un passo in più rispetto a quella del Senato, evidenziando la convenienza per l’intera Penisola di un “investimento” che superi la clausola. La relazione chiama a sostegno le simulazioni illustrate dalla Svimez in audizione proprio davanti alla commissione Bilancio che, mettendo a confronto scenari alternativi di ripartizione degli investimenti tra le diverse aree del Paese, «evidenziano come la destinazione delle risorse del Pnrr (Piano nazionale per la ripresa e la resilienza) al Mezzogiorno anche in misura superiore al 34% non solo accelererebbe la velocità di convergenza all’interno del territorio nazionale nel lungo periodo, ma migliorerebbe anche la dinamica di convergenza dell’Italia verso il resto d’Europa».
Secondo il modello Svimez, ogni euro di investimento al Sud genera circa 1,3 euro di valore aggiunto per il Paese, e, di questi, circa 30 centesimi (il 25%) ricadano nel Centro-Nord. «Nel lungo periodo, infatti, il processo di accumulazione di capitale, dati i rendimenti decrescenti al crescere della dotazione dello stock di capitale, produce dinamiche più sostenute nel Mezzogiorno che al Centro-Nord – si sottolinea nella relazione -. Anche in questo caso, il modello Svimez evidenzia come, posto uguale ad 1 il valore del moltiplicatore nel primo anno di realizzazione degli investimenti, questo cresca di oltre il 70% al Mezzogiorno alla fine del quadriennio, contro una crescita del 10% al Centro-Nord».
Numeri che mostrano, quindi, come il Recovery Plan rappresenti «un’occasione unica» per arrivare alla perequazione tra le diverse aree del Paese, superando il criterio della spesa storica, «con la messa a disposizione di risorse per garantire servizi pubblici adeguati anche nelle aree più disagiate, nel pieno rispetto della legge n. 42 del 2009 di attuazione del federalismo e dei principi fondamentali della Carta costituzionale in materia di salute, istruzione e mobilità».
Le risorse europee, si sostiene nella relazione, potranno esser impiegate per la definizione dei Lep, i livelli essenziali di prestazione, «creando condizioni di sviluppo e benessere per le aree più depresse del Paese», e per imprimere un’accelerazione all’attuazione del Piano Sud.
L’obiettivo prioritario, è l’indicazione, resta quello di aumentare gli investimenti pubblici nel Mezzogiorno per colmare il gap infrastrutturale che rallenta la crescita del territorio. In questo quadro il collegamento stabile e veloce sullo stretto di Messina viene considerato funzionale allo scopo, evidenziando il fatto che, data la sua importanza, l’infrastruttura «non può essere annoverata tra i progetti storici menzionati tra i criteri di valutazione negativa, di cui alle linee guida del governo». Più o meno dello stesso tenore il rilievo sui criteri di “giudizio” indicati dalle Linee guida sul Recovery plan della commissione Trasporti, secondo cui «non è pensabile che si possa valutare come elemento preferenziale la cantierabilità dell’opera, perché scarse, se non pressoché inesistenti sono le opere cantierabili al Sud ed in particolare in alcune regioni del Sud e ciò vanificherebbe, tra l’altro, la regola della percentuale del 34 per cento in favore del Mezzogiorno».
Nella relazione si ipotizza poi un rafforzamento della fiscalità di vantaggio prevista dal decreto Agosto per il Mezzogiorno attraverso le risorse del React Eu che all’Italia riserva 15,1 miliardi, estendendola anche ad altre aree del Paese che vivono situazioni di crisi e necessitano di un rilancio economico.
Il combinato disposto tra le risorse del Recovery fund e i fondi strutturali europei, cui si aggiunge la quota di cofinanziamento nazionale, porteranno al Sud una «massa critica di risorse senza precedenti», superiore, in percentuale sul Pil, a quella dell’intervento straordinario per il Mezzogiorno, creando «un’occasione storica, probabilmente unica e irripetibile, per consentire al Mezzogiorno di colmare il divario rispetto alle zone più sviluppate del Paese». Un’occasione storica, si sottolinea, che richiede il coinvolgimento e l’assunzione di responsabilità dei diversi livelli di governo nella programmazione e nell’attuazione dei progetti.
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