Giuseppe Conte agli Stati generali
INDICE DEI CONTENUTI
Nell’arco di sei mesi, al massimo un anno, rischiamo di compromettere il futuro di trent’anni. Questa obbligata constatazione, questa oggettiva e irripetibile occasione non può essere gestita con superficialità o con incompetenza. Non ci capiterà mai più un’occasione quale quella che stiamo vivendo a livello europeo ed è un errore pensare solo al fatto che possiamo utilizzare risorse a fondo perduto (mi riferisco solo agli 81,4 miliardi di euro perché per gli altri 127,4 miliardi del Recovery Fund dobbiamo quanto meno essere coscienti che tali risorse vanno restituite).
I 7 PUNTI CHIAVE
La vera grande occasione, però, non è legata solo a questa consistente e rilevante quantità di risorse ma anche ad altri elementi.
- Alla sospensione del Patto di stabilità e crescita (Stability and Growth Pact), un vincolo che non consentiva al deficit pubblico di superare il 3% del Prodotto interno lordo e il debito pubblico non doveva superare il 60% del Pil o, in alternativa a questa, la necessità di dimostrare «un calo a un ritmo soddisfacente». Significa che «il divario tra il livello del debito di un Paese e il riferimento del 60% deve essere ridotto di un ventesimo all’anno», calcolato come media di un triennio.
- Alla contemporaneità della crisi che vede non solo il nostro Paese, ma l’Europa e il pianeta coinvolti da un crollo davvero pauroso di tutti gli indicatori economici positivi; questo fenomeno globale e diffuso ha praticamente evitato una marginalizzazione del nostro sistema economico.
- Al ritorno obbligato alla “pianificazione” come condizione unica e obbligata per superare la fase critica e uscire dalla crisi.
- Alla sconfitta della mediocrità e all’ammissione degli errori e dei fallimenti commessi. Solo a titolo di esempio, l’Unione europea ci sta educatamente dicendo che il “reddito di cittadinanza” non è un fallimento scoperto oggi, ma era già un fallimento quando è stato concepito.
- Alla sconfitta di coloro che credevano che la Ue non esistesse più o esistesse solo per vincolare, con assurde norme, la crescita delle varie norme nazionali.
- Al ricorso non più a una genericità procedurale e programmatica, ma a un preciso cronoprogramma attraverso cui «attuare determinati obiettivi» ed evitare di «perdere in modo irreversibile le occasioni per crescere».
- Alla coscienza diffusa che gli obblighi mirati a promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, a rimuovere gli squilibri economici e sociali, a favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, attraverso la assegnazione di risorse aggiuntive e l’attuazione di interventi speciali, in favore di determinate aree, non è solo un obiettivo della nostra Costituzione, ma una finalità obbligata che l’Unione europea vuole leggere, vuole constatare, vuole concretamente misurare nelle proposte del nostro Recovery Plan: non più elenchi di opere, non più percentuali di risorse da assegnare, ma finalmente uno scenario nuovo che dimostri quale debba essere il ruolo del Mezzogiorno e quali siano i tempi attraverso cui annullare l’assurda distanza del reddito pro capite tra Sud e Centro Nord.
LE CONTRAPPOSIZIONI
Senza dubbio questi sette punti sono la parte migliore di ciò che stiamo vivendo in questo non facile momento storico ed è errato utilizzare dovunque e comunque la denuncia mediatica dell’importo di 209 miliardi di euro. È invece è molto più utile meditare sulle giuste osservazioni che l’Unione europea, proprio in questi giorni, sta sottoponendo alla nostra attenzione facendo crollare quei pilastri eretti nell’ultimo quinquennio da una classe politica inadeguata e incapace. Ora però, convinti della peculiarità di questa fase storica, ritengo sia necessario dare vita a un obbligato e responsabile approfondimento: forse i canoni classici della democrazia, di fronte a una simile emergenza, richiederebbero, come ho già avuto modo di ricordare in un precedente blog, una particolare rivisitazione. Un’emergenza quale quella attuale non può essere vissuta e gestita con la logica della maggioranza e della minoranza, con la logica delle contrapposizioni tra chi governa e chi è all’opposizione.
I FALLIMENTI
Ripeto: nei prossimi mesi disegneremo i prossimi trent’anni e dovremmo disegnare un futuro slegato da logiche di schieramento. Faccio solo alcuni esempi.
- Il “reddito di cittadinanza” è stato, come detto prima, un fallimento che ci è costato e ci sta costando ogni anno 8 miliardi di euro.
- Negli ultimi sei anni, dei 54 miliardi di euro del Programma comunitario di coesione e sviluppo 2014- 2020 sono stati spesi appena 5 miliardi di euro.
- Negli ultimi sei anni abbiamo bloccato tutti gli investimenti in infrastrutture generando il fallimento di 120.000 imprese di costruzione.
Ebbene, questi errori gravissimi sono fortunatamente avvenuti in un arco temporale di soli sei anni e ora stiamo tutti, dico tutti, ammettendo i fallimenti. Ora, però, non possiamo continuare a seguire un codice comportamentale che pregiudichi in modo irreversibile la crescita del Paese. Questa grande occasione non può più utilizzare il Mezzogiorno come ghetto per rivendicare o le risorse comunitarie o per amplificare un gratuito clientelismo. Ho spesso ricordato che, purtroppo, il Mezzogiorno è rimasto ancora una realtà geografica e non geoeconomica e, quindi, è ridicolo continuare a invocare il riequilibrio attraverso possibili trasferimenti di risorse. Il Mezzogiorno forse grazie a questa nuova presa di coscienza dell’Unione europea diventerà un interlocutore forte ed essenziale, sì un interlocutore che da sempre non è stato.
Forse finalmente capiremo perché, stando nello stesso Paese, noi si debba assistere a un’assurda distanza tra il reddito pro capite del Sud, pari addirittura in alcune aree a 17.000 euro, e quello del Centro Nord, pari in alcune aree a 40.000 euro. Ebbene, capiremo e supereremo questa patologia solo se in questi giorni, in questi prossimi sei mesi, saremo in grado di annullare gli equilibrismi, saremo in grado di annullare gratuite compensazioni territoriali, se in realtà saremo in grado di disegnare coscientemente il futuro.
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Inserire il cosiddetto Reddito di cittadinanza tra i fallimenti, che sarebbe certificato addirittura dall’UE, a me sembra una nota stonata. Un’elucubrazione di chi ha la pancia piena. Vediamo perché (per l’ennesima volta, vista la pervicacia de Il Quotidiano del Sud nel criticarlo severamente).
(i) Sotto nomi diversi, esso esiste in tutti i Paesi UE, tranne l’Ungheria.
(ii) E’ ben vero che il RdC sconta il peccato originale, insito già nel nome, di dare un reddito a tutti, senza condizioni, ma la misura poi effettivamente implementata è un Reddito minimo garantito e condizionato e, in quanto tale, è diventata una misura ibrida, che mette insieme assistenza e incentivo a cercare e trovare un’occupazione.
(iii) Esso rientra nella voce “Assistenza” (NON assistenzialismo!), che è un compito istituzionale dello Stato e un di cui della macrovoce “Protezione sociale”, assieme alle pensioni e alla sanità, che rientrano in quella che si usa definire Spesa sociale, che con oltre 300 mld è la principale uscita della Spesa pubblica.
(iv) L’obiettivo principale del RdC NON è e non può essere l’aumento dell’occupazione, al netto dell’effetto sulla domanda. Com’è noto, infatti, l’aumento dell’occupazione è correlato esclusivamente alla crescita del PIL; e, come dovrebbe essere noto a chiunque scrive di argomenti economici, per aversi incremento strutturale dell’occupazione occorre che l’aumento annuo del PIL sia almeno del 2%, obiettivo che l’Italia non raggiunge da oltre 10 anni. Inoltre, trasformarlo in investimenti escluderebbe centinaia di migliaia o milioni di poveri meridionali (in maggioranza donne) inidonei, per ragioni tecniche e culturali, a cercare e trovare un lavoro, che, in ipotesi, sarebbe prodotto dagli 8 mld di investimenti addizionali.
(v) Le Regioni principali beneficiarie degli 8 mld annui del RdC sono quelle meridionali, dove – come ha attestato anche recentemente EUROSTAT – è maggiore la povertà, sia assoluta che relativa, che investe almeno 3 milioni di persone. Al primo posto c’è la Campania. Sono le medesime Regioni in cui è venduto Il Quotidiano del Sud, che perciò avrebbe il dovere di difendere il RdC, non di cercare di affossarlo, con la motivazione debolissima che si tratta di elemosina, che andrebbe sostituita da investimenti, cosa che in realtà, tranne brevi periodi, non avviene da un centinaio di anni.
(vi) Ben altri e molto più rilevanti sono gli sprechi della spesa pubblica, quali ad esempio i 60 miliardi che vengono regalati ogni anno ai ricchi e ai benestanti in detrazioni e deduzioni fiscali; o non si sa quanti perfino in sussidi di spesa sociale (sic!); o i 40-50 mld di sussidi alle imprese, ingiustificati secondo il liberista Giavazzi, al quale nel 2012 il governo Monti affidò l’incarico di analizzarli e proporne la riduzione, ma ovviamente non ci riuscì, perché gli imprenditori hanno santi in Paradiso.
(vii) Quesito conclusivo: ammessi e affrontati il difetto originario del cosiddetto Reddito di cittadinanza e le carenze di gestione (ad esempio, RdC erogato a chi non ne avrebbe diritto, che comunque è una percentuale minima), perché Il Quotidiano del Sud non lascia stare per un po’ il RdC, che vale appena 8 mld annui, erogati a 3 milioni di persone povere, e, con la stessa assiduità, dedica invece articoli critici ai 100 mld annui regalati ai ricchi e ai benestanti?