Un rendering del ponte sullo Stretto
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Ci sono due modi di affrontare il tema del Recovery Plan per impiegare le risorse che a fondo perduto arriveranno nel nostro Paese. Il più logico prevederebbe di investirle in funzione della popolazione, se si partisse dallo stesso livello. Ma è quello che da anni non si fa, rispetto alle risorse ordinarie, privilegiando la spesa storica.
Un altro potrebbe essere quello di rapportare gli investimenti alla struttura economica delle varie parti d’Italia, per darli in funzione delle imprese esistenti. E anche tale approccio può trovare tanti consensi perché il Paese riparte da dove si è fermato.
Un altro sistema dovrebbe prevedere di aiutare di più chi ha più bisogno. Ma qualcuno potrebbe dire che bisogna insegnare a pescare e non dare un pesce ogni giorno, come molti sostengono è stato fatto con il reddito di cittadinanza.
LE PRIORITÀ
Ma certamente se vogliamo guardare al Paese reale non lo possiamo fare attraverso il metodo tradizionale che guarda ai suoi dati medi. Con un reddito pro capite di 31 milioni di euro l’anno, con un tasso di disoccupazione del 9-10%. Con una buona infrastrutturazione media, con la seconda manifattura d’Europa, con un export che contribuisce all’aumento del Pil in modo consistente, terzo Paese per presenze turistiche nel mondo.
Se l’Europa avesse guardato a questo Paese con questi occhiali dei dati medi non ci avrebbe dato le risorse che ci ha dato. Non si capisce perché avremmo dovuto avere più risorse di tutti. Forse perché siamo stati i primi e i più colpiti dal virus, nella prima fase? Ma tutti i Paesi europei stanno soffrendo.
Quindi un primo punto da non dimenticare è che stanno arrivando più risorse perché le diseguaglianze all’interno della nostra realtà sono le più evidenti e macroscopiche. Per questo non ha senso che ci sia una lista della spesa proveniente da tutte le aree del Paese. Le esigenze sono molte e tutte legittime. Ma bisogna fare una lista delle priorità, cosa che è estremamente complessa.
Per questo è necessario un progetto che abbia in alcuni parametri fondamentali i punti di riferimento. Possibilmente quantitativo che guardi alla ricchezza da produrre e ai posti di lavoro da creare. Ovviamente tale progetto non può fare a meno di prevedere la dislocazione geografica degli interventi. Quindi il compito che aspetta il ministro dell’Economia è di quelli epocali: è grande il rischio che una coperta alla fine sempre troppo stretta, malgrado la quantità di risorse, venga tirata da una parte all’altra e che privilegi i più forti.
L’ARBITRO
L’arbitro non potrà essere che la presidenza del Consiglio, ma anche essa dovrà tenere conto delle forze in campo e delle esigenze di ciascuno di loro. Operazione complicata, e già sul collegamento infrastrutturale del Sud non vi è accordo. I Cinque stelle, per esempio, convinti ormai che l’alta velocità ferroviaria debba arrivare fino ad Augusta/Pozzallo, si sono persi, non si sa bene se per calcolo elettorale o per insipienza, dietro il falso, quasi ridicolo, dilemma tunnel o ponte.
Dimenticando che il ponte è l’unica grande opera immediatamente cantierabile e che rispecchia i vincoli dell’Unione che vuole una svolta green che il ponte rispetterebbe, considerate le emissioni delle navi che attraversano lo Stretto.
Ma poi tutto il resto dell’alta velocità ferroviaria che dovrebbe dare un senso all’attraversamento stabile, è ancora nella fase progettuale o nemmeno in tale fase. Quindi siamo di fronte a una situazione che non ha nemmeno la disponibilità dei progetti cantierabili.
L’alta velocità ferroviaria prevede poi che i porti di Augusta-Pozzallo siano utilizzabili. E invece quello di Augusta è inquinato, con residui importanti di mercurio, e non mi pare che ci sia un progetto disponibile per il suo risanamento.
IL RISCHIO
Ma anche l’Unione europea quando dà le scadenze e le risorse in realtà sta privilegiando le realtà più evolute. Sono esse che hanno capacità progettuale. Il ritardo di sviluppo si caratterizza da incapacità di progettazione e di spesa quando le risorse arrivano. In realtà il Mezzogiorno non è arretrato solo per la mancanza di risorse che sono state destinate, ma anche per una condizione complessiva che rende tutto più complicato, le decisioni più lente, la capacità di spesa minore, i vincoli territoriali più determinanti, perché le classi dominanti estrattive, avendo come obiettivo il bene dei loro clientes, sono pronti a mettersi di traverso rispetto a progetti che non li favoriscano. È illuminante quello che è accaduto con Gioia Tauro.
Se alle difficoltà obiettive relative a una realtà complicata si aggiungono quelle di una classe dirigente del Paese che non ha una volontà ferrea di mettere a regime i territori periferici, perché questo conviene a tutti, il rischio che ogni idea di sviluppo finisca come negli ultimi anni è grande. Questa idea che il futuro dell’Italia passi dal Mezzogiorno, è vera solo nelle parole di alcuni. Tante volte nemmeno nelle parole. Se si dà una occhiata a tutti i media, in particolare cartacei, ci si accorge che non è un pensiero condiviso. Come non lo è nei partiti, che hanno tutti una parte che rema contro il Mezzogiorno.
IL GRANDE SONNO
Quindi una operazione di tale portata, che dovrebbe far destinare la maggior parte delle risorse alle realtà meno sviluppate, è difficilissimo (con questi chiari di luna) che possa essere realizzata. Si continuerà probabilmente con gli stessi criteri che si sono adottati fino a oggi cercando di far passare il solito messaggio del Sud assistito e sprecone. E magari si riusciranno a convincere anche i meridionali, come è avvenuto negli ultimi anni.
D’altra parte la maggior parte si fa la propria opinione attraverso i quotidiani del Nord, le televisioni del Nord e la stessa Rai rispecchia l’opinione prevalente. L’India per liberarsi dagli inglesi ebbe bisogno di Gandhi, il Sud Africa di Nelson Mandela. Nel Mezzogiorno di figure che si intestino una battaglia per uguali diritti di cittadinanza rispetto ai cittadini del Nord non se ne vedono.
E quindi la cosa più facile è che anche il Recovery plan segua le logiche passate. Difficile che si cambi verso.
«Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare» dice Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo: e forse non è difficile pensare che tale idea riguardi tutti i meridionali.
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Che la Questione meridionale sia in primo luogo un problema culturale (in senso lato) dovrebbe equivalere ormai alla scoperta dell’acqua calda. Ma, come diceva Freud, la verità fa davvero male. E questo produce “resistenza”. Proporzionale alla dolorosità della verità.
Il popolo meridionale andrebbe – letteralmente – rieducato. I processi culturali sono lentissimi, li si può accelerare in due modi: o costringendolo a vivere in gran numero per un periodo congruo nei Paesi più evoluti, il che è irrealistico, o implementando un Grande PROGETTO EDUCATIVO, incentrato principalmente sulla DONNA-MADRE durante la gravidanza e nei primi tre anni di vita dei figli, che è il periodo critico per lo sviluppo affettivo (principale mattone della personalità), intellettivo (è il periodo principale in cui si sviluppano le sinapsi e gli assoni, che collegano i 100 mld di neuroni con cui tutti nasciamo, a condizione che vengano “fissati” dall’educazione, vale a dire dall’interazione con l’ambiente, altrimenti si “bruciano”) ed etico-normativo (l’altro mattone della personalità). E così creare un nuovo sostrato antropologico.
La cultura meridionale produce in quantità industriale i cosiddetti FRENATORI, dediti indefessamente a frenare, ostacolare, impedire. La molla culturale profonda è l’INVIDIA SOCIALE, che si tramanda per le generazioni. Invidia che caratterizza – spiegava Saviano, raccogliendo le confidenze di un boss dei Casalesi – anche i camorristi fra loro.
Faccio un piccolo esempio personale. Sono uno dei rari commentatori qua. I miei commenti – almeno lo spero – non sono banali. Forse un po’ eterodossi rispetto alla mentalità prevalente, ma mai banali. Ne ho scritti tanti, ma finora non mi sono ancora guadagnato un “mi piace”, anzi ho ricevuto un “mi dispiace” e due risposte critiche. In dieci anni non mi era mai successo. Mai.
Anche per l’utilizzo del Fondo Ripresa e Resilienza, che va ripartito destinandone almeno la metà al Mezzogiorno, occorre fare i conti con il sostrato antropologico “frenante”, sia del Sud, accentrando la gestione, selezionando rigorosamente le competenze, con apporti esterni (nazionali del Nord e internazionali), adeguando le norme e applicandole con severità; sia del Nord, quest’ultimo caratterizzato da egoismo, complesso di superiorità, miopia, bulimia.
PS: C’è un solo modo concreto e relativamente veloce per svegliare i meridionali dal loro sonno atavico: educare i bambini in modo adeguato, in famiglia, fin dalla nascita, anzi dalla gravidanza, unitamente alle loro madri (e ai loro padri). E poi, su questa solida base, a scuola.
PPS: Anche Il Quotidiano del Sud dovrebbe migliorare, velocizzando l’approvazione dei commenti. Probabilmente, questo mio commento si potrà leggere lunedì prossimo, cioè tra due giorni.