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Un gruppo Bcc del sud chiede la riforma del credito cooperativo entrata in vigore l’anno scorso venga emendata per garantire la sopravvivenza del sistema e il finanziamento di famiglie e imprese. In prima fila le Bcc di Aquara (Salerno) e San Marzano di San Giuseppe (Taranto) con l’appoggio di Agci (Associazione Generale delle Coperative Italiane). Una richiesta che non può essere trascurata Con il fallimento della Banca Popolare di Bari, infatti, è venuta meno anche l’ultima grande banca del Sud di respiro nazionale. Negli ultimi trent’anni sono scomparsi il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, il Banco di Sardegna assorbiti da realtà più grandi. Non è rimasto praticamente più nulla dell’universo delle casse di risparmio distrutte dalla crisi economica e dalla cattiva gestione.

Il solo presidio territoriale per il credito al territorio sono rimaste le Banche di credito cooperativo. Ma adesso il loro futuro è minacciato dalla riforma entrata in vigore nel 2019. Sono nate tre grandi holding: Iccrea Banca, Cassa Centrale Banca e Raiffeisen in Alto Adige. Un sistema costruito su misura per le realtà del nord che rischia di danneggiare ancora di più l’economia meridionale. In nessuna parte del mondo, infatti, esiste un progetto di sviluppo che possa prescindere dall’esistenza di un robusto tessuto di banche locali.

La biodiversità nel credito, come in natura, è una ricchezza. E la biodiversità fra le Bcc del sud è molto spinta. Sul territorio sono presenti 77 Banche di Credito Cooperativo con 680 sportelli diffusi in 528 Comuni. I soci sono 157.063 e i dipendenti 4.132. In 172 Comuni del Mezzogiorno le Bcc rappresentano l’unica presenza bancaria. La raccolta complessiva al Sud è di 23,6 miliardi di euro. Gli impieghi superano i 13,5 miliardi. Il patrimonio è pari a 2,8 miliardi con coefficienti molto elevati.
La loro diversità è frutto delle condizioni ambientali. Innanzitutto sono tutte di piccole dimensioni.

La stragrande maggioranza non supera il miliardo di attivo patrimoniale. Operano generalmente in ambiti economici scarsamente industrializzati e certamente non eccessivamente sviluppati per cui risultano maggiormente determinanti per lo sviluppo del territori. Come clientela hanno più famiglie che imprese e tra le imprese prevalgono in modo determinante le micro imprese. Hanno una percentuale di impieghi sulla raccolta più bassa che altrove e la loro clientela non è particolarmente orientata sulla raccolta indiretta e sul risparmio gestito. Hanno maggiore affluenza allo sportello. Il correntista gradisce essere ascoltato dal personale della banca. Hanno maggiore difficoltà a far veicolare i prodotti telematici, il digitale in genere L a giustizia civile è più lenta e pregiudica diversamente il recupero crediti. Hanno un maggiore indice di patrimonializzazione.

La legge di riforma del Credito Cooperativo, partita a gennaio dell’anno scorso ha in parte fallito e sta dispiegando i suoi effetti negativi I costi diretti e indiretti sono notevolmente aumentati e le economie di scala, che erano state narrate, sono introvabili.

La riforma – finora – si sostanzia nell’imposizione alle BCC di una massa enorme di regolamenti che necessita, in media, di almeno quattro- cinque nuove unità lavorative che hanno il compito di tenere i rapporti con la capogruppo. Per realtà con poche decine di dipendenti si tratta di un aggravio di costi notevole. Per evitare lo strangolamento servono almeno tre cose. Le Bcc devono avere una vigilanza proporzionata alle loro dimensioni (non possono essere assimilate a Banca Intesa o Unicredit). Per questo serve cambiare alcuni articoli del Testo Unico Bancario (Tub) al fine di dare totale autonomia alle BCC che sono nella prima fascia di merito. Infine consentire l’adozione di principi contabili nazionali, semplificati rispetto alla contabilità internazionale.

Se non ci sarà il cambiamento, le Bcc nell’arco di pochi anni saranno fuori mercato e costrette a diventare sportelli della Capogruppo portando al successo definitivo il capitale finanziario su quello umano e cooperativo Soprattutto facendo mancare alle Comunità locali, finalmente riconosciute importanti, soprattutto al Sud, un prezioso motore di sviluppo e di crescita economica e sociale. In America stanno rivalutando le Community banks da noi le stiamo affossando. Siamo più bravi dell’America o viaggiamo con 10 anni di ritardo?


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