Di Maio, Conte e Salvini alla presentazione di Quota 100
5 minuti per la letturaL’incontro sulle pensioni programmato per ieri 8 settembre è slittato in avanti. Il 16 si affronteranno i temi da inserire nella legge di bilancio (proroga di opzione donna, dell’Ape e quant’altro), mentre il 25 saranno all’ordine del giorno le linee generali del disegno di legge delega che dovrebbe ‘’superare’’ la riforma Fornero, alla scadenza del regime derogatorio previsto nel decreto n.4/2019 ovvero nell’opera omnia del Conte 1. Come se fosse una giaculatoria, governo e sindacati non perdono l’occasione per riconfermare l’intangibilità di ‘’Quota 100’’.
E’ lecito chiedersi se questa misura potrebbe diventare, su diversi fronti, un classico ‘’casus belli per errore’’. Nel supernegoziato di Bruxelles sul Recovery Fund questa Quota 100 fu indicata, dai governi dei Paesi ‘’frugali’’ come la prova provata della inaffidabilità del nostro Paese nel seguire un percorso di riforme generosamente finanziato dalla Ue, a carico dei partner più virtuosi.
La Commissione, del resto, è stata molto esplicita nelle Raccomandazioni indirizzate al governo italiano. Una di queste trasuda di nostalgia per la riforma Fornero: ‘’attuare pienamente le passate riforme pensionistiche al fine di ridurre il peso delle pensioni nella spesa pubblica’’. Sul versante opposto, l’ostilità alimentata dai sovranisti di casa nostra nei confronti delle ‘’condizionalità’’ a cui è sottoposta l’erogazione dei prestiti (anche di quelli a fondo perduto) si sta concentrando sul terreno ‘’sensibile’’ delle pensioni. Salvini non perde l’occasione, nei comizi, per schierare la Lega sulla linea del Piave del suo ‘’capolavoro’’, dimenticando che si tratta di un provvedimento a termine.
In verità, questo potenziale conflitto è determinato dal vizio di fermarsi alla narrazione strumentale delle politiche, anziché tener conto dei dati concreti e dimostrati. Partendo da una considerazione basilare: gli effetti di ‘’quota 100’’ non sono quelli immaginati quando venne convertito in legge il decretao meravigliao.
In parole povere, la norma – che avrebbe dovuto liberare le masse oppresse, impedite di andare in pensione se non da vecchi ormai decrepiti e contemporaneamente aprire ai giovani le porte del lavoro – è risultata, al dunque, un (almeno mezzo) fallimento rispetto agli obiettivi contrabbandati dai suoi promotori. Tanto che, adesso, può essere collocata in una prospettiva diversa, sostenibile anche in un dibattito con Mark Rutte. Vediamo perché.
1) Fallita la mission della sostituzione del turn over, Quota 100 si è trasformata in un ammortizzatore sociale, da utilizzare in vista dei problemi di esuberi che si apriranno una volta superato il blocco dei licenziamenti.. 2) Le pensioni erogate attraverso ‘’quota 100’’ e le altre misure sono state, nel 2019, inferiori alle previsioni (290mila): ovvero 156mila nei settori privati (dipendenti, autonomi, parasubordinati); 41mila nei settori pubblici (dove, piuttosto che oneri, si sono determinati disservizi in settori delicati come la sanità e la scuola). Per ulteriore chiarimento, nei settori pubblici le previsioni sono state confermate in misura del 50%; nei settori privati solo del 15%. 3).
La più rilevante smentita ufficiale della narrazione degli aedi di ‘’quota 100’’ si trova nel Rapporto 2020 della Corte dei Conti sul coordinamento della finanza pubblica e riguarda la media della anzianità contributiva e quella dell’età anagrafica fatte valere dai percettori della pensione. ‘’ In realtà – è scritto – i soggetti che hanno usufruito dell’anticipo avendo effettivamente maturato i requisiti minimi di ‘’quota 100’’ (ovvero 62 anni di età e 38 anni di anzianità contributiva) sono stati poco più di 5 mila, ossia il 3 per cento del totale.
L’uscita anticipata ha attratto principalmente coloro che – per anzianità contributiva – avevano la minima distanza dalla soglia prevista per l’uscita anticipata (42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 e 10 mesi per le donne): circa la metà dei lavoratori uomini è andato in pensione con almeno 41 anni di anzianità; le donne con almeno 40 anni di anzianità risultano il 53 per cento del totale; oltre il 30 per cento ha almeno 41 anni di anzianità’’. Quanto all’età anagrafica ‘’la lettura dei dati sulle pensioni accolte, disaggregati in base all’età, mostra un generale addensamento sui 63 anni (circa il 27%).
I pensionati con Quota 100 con almeno 66 anni di età (e quindi prossimi al pensionamento di vecchiaia di 67 anni di età) sono mediamente il 14% del complesso. In sostanza – sostiene la Corte – la discriminante più importante, nell’adesione a ‘’quota 100’’è stata l’anzianità contributiva piuttosto che l’età’’.
Questi esiti sono facilmente spiegabili: essendo i 62 anni di età e i 38 anni di contributi criteri rigidi e concorrenti, è capitato che molti interessati fossero in grado di far valere il requisito contributivo prima di aver compiuto 62 anni oppure molti a questa età non avevano ancora maturato 38 anni di anzianità di servizio. Un’ultima notazione riguarda l’iniquità di genere del provvedimento. Nel triennio 2006-2018, le pensioni di anzianità liquidate presentavano, fra i lavoratori dipendenti del settore privato, un rapporto di una donna ogni tre pensionati; con ‘’quota 100’’ il rapporto è risultato di una donna ogni sei pensionamenti.
Il mancato verificarsi dell’esodo previsto ha suscitato parecchie congetture. Ma è sufficiente maturare i requisiti previsti per quota 100 entro il 31 dicembre 2021 per acquisire il diritto di avvalersene anche in un periodo successivo alla scadenza della deroga. In vista del Recovery Fund, piuttosto che piangere sul latte versato, sarebbe bene tenere d’occhio, da Bruxelles, ciò che si sta preparando, in Italia, per ‘’superare’’ la riforma Fornero. In verità è in cantiere un radicale azzeramento di vent’anni di riforme.
Le proposte dei sindacati, al cui ‘’grido di dolore’’ non è insensibile il ministro Nunzia Catalfo (né il suo mentore Pasquale Tridico), prevedono un pensionamento a 62 anni di età e 20 anni di contributi, senza penalizzazioni. In pratica, si tratterebbe di un abbassamento dell’età anagrafica ora prevista per la pensione di vecchiaia (che richiede 67 anni di età, e 20 anni di contributi). Oppure, 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età: ovvero un abbassamento del requisito previsto per la pensione anticipata, attualmente pari a 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne).
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Ho scritto un saggio sulle pensioni. Il prof. Cazzola, al solito, cita soltanto la riforma Fornero, che è soltanto la settima riforma delle pensioni dal 1992 e, sulla base dell’allungamento dell’età di pensionamento e del risparmio di spesa al 2060, NON la più severa.
L’età di pensionamento di vecchiaia a 67 anni e anticipata a 41 anni e 3 mesi (41 anni e 9 mesi per gli autonomi, poi ridotti a 41 anni e 3 mesi da Fornero) è stata decisa dalla severissima riforma SACCONI (L. 122/2010, art. 12; L. 111/2011, art. 18; e L. 148/2011, art. 1, commi da 20 a 23). Così pure l’adeguamento alla speranza di vita, che la porterà a 70 anni e oltre.
Questo significa che, ad esempio, dell’aumento di 1 anno e 10 mesi dell’età di pensionamento delle donne rispetto ai 40 del 2010, 1 anno e 3 mesi sono stati decisi da SACCONI e soltanto 7 mesi da Fornero.
Poi la potente propaganda berlusconiana e del cdx, incluso talvolta il prof. Cazzola, ha nascosto il nome di SACCONI e attribuito severe misure di SACCONI a Fornero, ingannando 60 milioni di Italiani, inclusi gli esperti, e poi il mondo intero. Alla DISINFORMAZIONE ormai mondiale, che nel mio piccolo contrasto da 8 anni, hanno contribuito, scientemente, sia noti esperti di pensioni, tra i quali Sacconi, Damiano e Cazzola, sia la professoressa Fornero, con la sua poco chiara (e tendente al plagio) formulazione di alcune norme della sua riforma e poi con la sua reticenza.
PS: Ovviamente, nel mio saggio ci sono tutte le prove documentali.
PPS: La severissima Riforma SACCONI fu votata dall’On. Cazzola.