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Ursula von der Leyen

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La Commissione europea vuole essere certa che gli Stati membri sappiano utilizzare le risorse messe loro a disposizione del meccanismo per la ripresa. Si vogliono evitare brutte figure, a iniziare da eventuali possibili bocciatura dei piani nazionali. Così l’esecutivo comunitario viene in soccorso dei governi con delle linee guida volte a fare in modo che tutto si svolga in maniera inattaccabile. Un “manuale di ’istruzioni” su cui si sta lavorando e che si vuole rendere pronto e disponibile già nelle prossime settimane.

L’INTERVENTO DELLA UE

Fin qui si erano definite le condizioni a grandi linee, vale a dire utilizzo delle risorse per transizione digitale, transizione verde, ecologica e sostenibile e per rendere il tessuto economico-produttivo a prova di shock futuri. Ma ora si intende andare oltre le grandi linee e dare indicazioni più specifiche. Non per imporre niente agli Stati. Il commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni, l’ha del resto ribadito in occasione della sua audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato. I piani nazionali per la ripresa non saranno imposti da Bruxelles, dovranno essere i singoli Paesi a definirli e presentarli. Ma l’intervento di Bruxelles vuole mettere i governi, tutti, incluso quello italiano, nella posizione di non poter essere criticato né, peggio, bocciato. L’iniziativa della Commissione si inserisce in questo solco. Perché,va ricordato, a oggi si lascia ampia libertà di manovra agli Stati. E si teme che possa divenire troppa. Solo un parametro è chiaro, sinora: il 30% delle risorse vanno usate in campo ambientale. Per l’Italia ciò implica che 62,6 miliardi di euro dei 208,8 ottenuti dal meccanismo per la ripresa tra sussidi (81,4 miliardi) e prestiti (127,4) dovranno servire alla sostenibilità del sistema Paese.

GLI EFFETTI ANNUNCIO

La Commissione adesso intende spiegare meglio quali saranno i parametri di riferimento per gli investimenti a sostegno del digitale e i metodi di valutazione delle strategie nel loro complesso. Si lavora a modelli, che i governi saranno invitati a seguire. «Elencare misure pensando di ottenere in questo modo le risorse è impensabile», confidano a Bruxelles. Non basteranno gli effetti annuncio. Servirà molto di più. Lo sanno bene in Francia e Germania, dove i piani nazionali per il rilancio dell’economia sono già pronti. Parigi ha una strategia da 100 miliardi di euro in due anni, Berlino una da 130. Eppure, nonostante la dimostrazione di efficienza qualcosa non va. Tanto per fare un esempio, in Germania il governo federale intende far sì che solo chi è stato colpito dal lockdown riceva i soldi. Chi intende ricevere il sussidio deve dimostrare di aver subìto perdite pari ad almeno il 60% del loro fatturato in aprile e maggio, e che il reddito è sceso almeno del 50% tra giugno e agosto. Nessuno o quasi ha fatto domanda, e il governo si è visto costretto a prorogare il termine per la presentazione di una domanda sino a fine anno. Un episodio che dimostra che avere un piano non significa che questo funzioni. In Francia c’è ancora il precedente legato al fondo anti-crisi del 2010, istituito per rilanciare l’economia dopo la recessione del 2008. Il governo mise a disposizione 57 miliardi di euro, ne vennero utilizzati “appena” 25, meno della metà. Bassa domanda, dovuta anche a ostacoli amministrativi. Tanto che Parigi, onde evitare di ripetere l’infelice esperienza, sta ragionando alla creazione di un punto di contatto unico all’interno del ministero delle Finanze per semplificare le procedure di gara e dare priorità ai progetti già in corso.

FUNZIONALITÀ E CREDIBILITÀ

La Commissione vuole evitare proprio questo: che la montagna produca il più classico dei topolini. Si vuole essere certi che ci siano non solo le misure, ma che siano anche funzionanti, credibili e a prova di futuro. Appare sempre più inevitabile che ai governi verrà chiesto impegno di riforme sulla base delle raccomandazioni specifiche che Commissione e Consiglio concordano ogni anno. Del resto il commissario Gentiloni l’ha di fatto già anticipato, elencando tutte le cose che in Italia sono in sospeso da anni (giustizia civile, pubblica amministrazione, scuola, sanità, mercato del lavoro, Mezzogiorno). Si vuole mettere al sicuro il risultato negoziale trovato dopo un lungo braccio di ferro a livello di capi di Stato e di governo. E’ questo il senso delle linee guida a cui lavora la Commissione europea. Ci si attende che i Paesi membri collaborino, seguendo quello che l’esecutivo comunitario metterà a punto. Il via libera della Commissione non basta. L’ultima parola sui piani di rilancio spetta al Consiglio, a maggioranza qualificata.


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