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DA ANNI – invano – si provava a mettere in guardia i nocchieri che la scialuppa tricolore stava scendendo, in omaggio all’ormai risibile questione settentrionale, con inesorabile, rara maestria nel gorgo con la prospettiva di infrangersi sul fondale roccioso della realtà. È ora ufficiale la notizia (Eurostat) che nel prepandemico 2019 il Pil pro capite italiano, espresso in euro 2010, ha toccato quota 26.860, attestandosi su un livello inferiore alla media Ue del 6,18% (-1769,3 euro), e (udite, udite) ha accusato un calo del 3,9% (-1090 euro) rispetto al 2001. Che questo esito fosse ineluttabile era chiaro da anni, ma non era politicamente corretto parlarne senza essere accusati di essere una “Cassandra sfascista”, tanto più se il fastidioso flebile richiamo veniva dal ghetto meridionale ove i nocchieri avevano confinato circa venti milioni di persone in regime di cittadinanza limitata.
LA LINEA D’OMBRA
Il postino della Ue non ha avuto bisogno di suonare due volte per notificare che il Bel Paese da orgoglioso “contributore netto” passa a “prenditore netto”. Abbiamo superato la linea d’ombra, uno spartiacque che dovrebbe far seriamente riflettere lombardi, emiliani, veneti, per non dire liguri, friulani, piemontesi e toscani che non potranno più fingere di non sapere e non vedere o, come si dice a Napoli, non potranno continuare a fare gli scemi per non andare alla guerra.
Che siamo in guerra lo si dice da anni; che la stavamo perdendo era evidente, non fosse altro per il fatto che con buona pace delle locomotive, il “vento del Nord” nel 2019 era ancora in debito rispetto al Pil del 2007 di 3 punti percentuali, per non parlare degli oltre 8 punti resi dal Sud. Ritardi che ora si moltiplicano a valle del corto circuito della pandemia e che – pur considerata la ripresa del 2021 – aumenta a dismisura il ritardo dall’Europa. A complemento del dato nazionale la tabella in basso mostra come già nel 2017,oltre a Marche e Umbria già arruolate, Piemonte, Toscana e Friuli erano buone candidate a entrare nel gregge delle regioni della coesione e tutte le regioni, a partire da Lombardia ed Emilia Romagna, patiscono vistosi arretramenti nei ranghi delle 280 regioni europee.
IL PD NON VEDE OLTRE
L’attesa, o meglio l’auspicio di una seria presa d’atto del disastro annunciato e di una franca disponibilità di fare punto e a capo, è andata finora completamente delusa. Certo – dismessa la iniziale baldanzosa tracotanza – il ridotto del Lombardo-Veneto-Emiliano oggi implora di non dimenticare il Nord, non tanto per bocca della frastornata Lega (partito “neo-nazionale” né carne né pesce) bensì per bocca del solipsistico Pd a trazione emiliana ancora ebbro della vittoria – sardine, nume tutelare di non si sa quale progetto di usurato localismo mitteleuropeo oggi in oggettiva sintonia con una incomprensibile Confindustria. Preoccupante che il Pd nazionale si accodi, non riesca a vedere molto oltre i campanili, succube dell’assioma che l’Italia è il ridotto Lombardo-Veneto-Emiliano.
IL PROGETTO-SISTEMA
Ragionare per assiomi – per definizione indimostrabili – è già pericoloso. Diabolico sarebbe insistere su questo mal posto, che in oltre venti anni ha provocato danni incalcolabili. Ricordiamo sempre che all’alba del 20 luglio a Bruxelles l’Italia ha vinto solo una battaglia; ha ottenuto un mandato dall’Unione che chiede un drastico cambiamento di rotta, non per la manutenzione del motore bensì per un’operazione capace di attivare da Sud quel secondo motore indispensabile per riagganciare il Mediterraneo all’Europa. Che questa transizione si accompagni a una macroscopica operazione perequativa nell’uso delle risorse non è una novità; caso mai dovrebbe essere l’occasione di un confronto oggi reso possibile proprio perché la disponibilità delle risorse consente di intervenire sulle scandalose evidenze documentate dall’operazione verità senza avviare una strisciante guerra civile.
Spetta perciò all’Unione europea garantire il rispetto di condizionalità perentorie: investimenti su progetti finalizzati a ridurre le disuguaglianze e a garantire sviluppo sostenibile; spetta al governo avere il coraggio di avere coraggio e di impegnarsi su un progetto-sistema che non può continuare a esorcizzare il tema del dualismo alimentando vizi e storture che hanno fatto di noi il grande malato d’Europa.
* Presidente Svimez
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