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La fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno entra nel decreto Agosto. La misura proposta del ministro per il ministro per il Sud e la coesione territoriale, Giuseppe Provenzano, sarà parte del pacchetto di misure che arriveranno nel Consiglio dei ministri convocato per oggi. L’intervento prevede un taglio del 30% sui contributi previdenziali di tutti i lavoratori del Mezzogiorno dal 1 ottobre al 31 dicembre 2020. Previa autorizzazione della Commissione europea, la decontribuzione del 30% verrà mantenuta fino al 2025, per poi passare al 20% fino al 2027, al 10% fino al 2029
L’intervento costerà circa 4,8 miliardi l’anno, e peserà sul decreto Agosto per 1,2 miliardi.
L’obiettivo del governo sarebbe quello di renderlo strutturale per una decina di anni – finanziandolo con i fondi del Recovery Fund – il tempo necessario per colmare il gap infrastrutturale del Mezzogiorno con la realizzazione delle opere – alta velocità in primis – che verranno realizzate con le risorse europee e nel frattempo rendere con la fiscalità di vantaggio convenienti gli investimenti nel Mezzogiorno. Ci sarà un confronto, con l’Europa, finora tradizionalmente ostile a quelli che vengono considerate aiuti a vantaggio di una sola parte del territorio, ma secondo quanto si apprende da fonti del governo, i primi segnali sono positivi. Il Covid 19 spinge l’Europa ad allentare le maglie: del resto, poi, sono state proprio le istituzioni comunitarie a porre la ricomposizione dei divari territoriali tra le priorità e tra le condizioni cui è “vincolata” l’assegnazione dei fondi del Next Generation Eu che al nostro Paese riserva 209 miliardi, 82 in sovvenzioni e 127 miliardi in prestiti.
Già negli anni del miracolo economico la fiscalità di vantaggio giocò a favore della crescita delle imprese del Mezzogiorno. Se l’obiettivo è quindi quello di ripetere il miracolo, e di cominciare a colmare il gap che separa le due Italie, di certo – va riconosciuto – l’adozione di un provvedimento del genere segna un passo storico che consiste nella prima reale presa d’atto che se non riparte il Sud, non riparte l’Italia.
Una presa di coscienza sollecitata da più parti in Europa: tra le voci più autorevoli si è levata anche quella di Fabio Panetta, del Board della Banca Centrale Europea, sollecitando l’Italia a non dimenticare il Sud. «Fatico a immaginare uno sviluppo equilibrato in un’economia in cui un terzo dei cittadini ha un reddito pro capite pari alla metà di quello del resto del Paese e intere regioni sono afflitte da disoccupazione diffusa e carenze infrastrutturali…», le sue parole.
Con la fiscalità di vantaggio il Mezzogiorno diventa terreno d’investimento appetibile per i privati, tanti anche del Nord. La deglobalizzazione in atto, spinta dalla violenza della pandemia, lavora in questo senso: tende a mantenere gli investimenti tra i confini nazionali, dal momento che gli imprenditori italiani oggi nel pieno della lunga stagione del Covid sono meno propensi a creare nuovi insediamenti in Romania, in Poloni, a Taiwan o in Cina. Quindi, se la globalizzazione faceva un danno al Sud, grazie a una fiscalità di vantaggio la situazione potrebbe essere ribaltata. Ovviamente, la dotazione infrastrutturale del territorio diventa più che mai prioritaria, perché la possibilità di raggiungere velocemente e comodamente il luogo dove si è localizzato il proprio investimento è una condizione essenziale.
Reduce dalla battaglia all’interno del governo, dove qualcuno premeva ancora per rinviare il provvedimento, il ministro Provenzano, ha sottolineato che se gli effetti economici della pandemia sono stati maggiori nelle aree più produttive, quelli sociali in termini di caduta dell’occupazione hanno colpito soprattutto il Sud, dove questo «si somma alle ferite non ancora sanate della crisi precedente». «Si rischia lì un tema di tenuta economica del Paese perché se si ferma il Sud non è che l’altra parte vola. Anzi è stato proprio l’aver in questi anni disinvestito nel Mezzogiorno che ha fatto mancare il motore interno anche al Centro Nord – ha aggiunto il ministro – La mia battaglia per il Sud non ammette la contrapposizione politica perché io credo nell’interdipendenza tra le aree e penso che far sviluppare il Sud non solo sia un elemento di giustizia ed equità territoriale, ma che sia utile allo sviluppo dell’intero Paese, perché se si investono 10 euro al Sud 4 ritornano al Nord sotto forma di domanda di beni e servizi. Abbiamo fatto misure che hanno interessato l’intero Paese e che hanno premiato le aree più produttive nella prima fase: i decreti liquidità, per esempio, sono andati maggiormente al Nord. Ora non possiamo permetterci che ci sia una ripresa senza una ripresa dell’occupazione come è accaduto in passato. E questo Paese per rialzarsi deve sanare le sue fratture territoriali oltre che sociali, altrimenti non si rialza».
Di fiscalità di vantaggio si è parlato per la prima volta nel 1998 ad opera dell’economista Giuseppe Maria Liberto che, in qualità di consigliere per le politiche fiscali del presidente della Regione Sicilia inserì alcune modifiche dello Statuto della regionale al fine di compensare alcune zone in ritardo di sviluppo individuate nel quadro comunitario di sostegno 1994-1999.
Ma soprattutto ha trovato un importante riconoscimento normativo nella Legge delega n.42/2009, sul cosiddetto federalismo che prevede espressamente come obiettivo “lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella prospettiva del superamento del dualismo economico del Paese”.
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