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La pandemia ha massacrato il commercio al Sud, in particolare i piccoli negozianti che hanno chiuso o rischiano di farlo a settembre. Parlano i numeri degli addetti ai lavori. Alcuni esempi. L’Osservatorio campano di Confesercenti ha fatto emergere in tutta la loro drammaticità i numeri della crisi del settore moda che ha appena iniziato i saldi 2020. Il comparto in Campania ha fatturato nel 2019 oltre 16 miliardi, il 18% del Pil del territorio. Confrontando il fatturato 2020 con quanto fatto nello stesso periodo nel 2019 (ovvero sino al 21 luglio) la perdita del settore moda in Campania nel primo semestre è di quasi 5 miliardi di euro, ovvero di 4.757.870mila euro.

L’ALLARME

“Il momento è drammatico – ha commentato Vincenzo Schiavo, presidente Confesercenti Campania – specie in questo settore: i quasi 5 miliardi di fatturato in meno in soli 12 mesi rappresentano una cifra enorme che potrà essere soltanto lievemente alleggerita dai saldi appena cominciati. Come Confesercenti Campania siamo molto preoccupati: le persone non hanno soldi in tasca, molti non hanno ancora ricevuto la cassa integrazione; gli imprenditori sono in perdita per cui non hanno la possibilità di investire e al contempo si sottraggono al ruolo di consumatori. E poi c’è lo smart working: molte persone lavorano da casa e di conseguenza c’è pochissima gente in giro, le strade dello shopping sono poco affollate”.

DATI IMPIETOSI

I dati dell’osservatorio di Confesercenti Campania sono impietosi: se nel 2019 il fatturato delle imprese della nostra regione è stato di 16.8 miliardi di euro (con un fatturato medio mensile di 1.4), la previsione per tutto il 2020 è di circa 8 miliardi in totale, il 50% in meno. Con perdite post lockdown che vanno dal 30% al 70% al mese a seconda delle attività. A luglio 2019 il fatturato raggiunse quasi 8 miliardi, dodici mesi dopo arriva a poco sopra i 3 miliardi di euro. “Non ci sono economie per sostenere il commercio- ha aggiunto Schiavo – e se l’Istat prevede che in Italia il 40% delle imprese chiuderà i battenti a settembre, noi temiamo che qui da noi in Campania il numero sarà ancora più alto che in altre zone del paese, arrivando almeno al 50%”.

VENDITE A PICCO

“Una ripartenza molto al di sotto delle aspettative e ancora più difficile per i piccoli negozi, con le vendite a picco, mentre volano le vendite online con una crescita mai vista finora”. A parlare è Benny Campobasso, presidente di Confesercenti Puglia, che, commentando i dati relativi alle vendite al dettaglio diffusi dall’Istat, ha aggiunto: “Dopo lo stop dei consumi causato dal lockdown, il mese di maggio registra un miglioramento rispetto al mese precedente, ma la situazione resta grave a confronto con lo stesso periodo del 2019, confermando purtroppo i timori di una ripresa lenta e ancora lontana per molti settori”. Dall’analisi dei dati, emerge che le vendite al dettaglio hanno subito un calo del 10.5% su base annuale, con un crollo del 20,6% dei prodotti non alimentari e un segno più del valore del 2,8% per le sole vendite alimentari. Rimane molto vasto il divario tra le forme distributive: a registrare la ripartenza più difficile sono i negozi di vicinato, che a maggio hanno subìto un calo delle vendite del -19%. Risultati sotto lo zero anche per la grande distribuzione che perde il 4,4%, mentre a sorprendere è la crescita degli acquisti online, per i quali si registra un aumento record addirittura del +42%.

LA RICHIESTA

Tra le categorie più colpite sicuramente ci sono i pubblici esercizi: bar, ristoranti, pizzerie, pub, lidi che annaspano tra le ferree e giuste regole del distanziamento, la minore predisposizione alla spesa da parte dei cittadini dovuta alla crisi e la netta diminuzione della clientela. In Calabria Confesercenti ha lanciato un grido d’allarme con richiesta alle istituzioni. “In un quadro drammatico e sconfortante come questo, ci si aspetterebbe un supporto concreto da parte dello Stato e delle sue articolazioni intermedie quali i Comuni. Purtroppo, a Reggio Calabria, troppo spesso le buone intenzioni si scontrano con richieste improponibili o regolamenti restrittivi, francamente incomprensibili dato il momento.

Nello specifico un’iniziativa positiva come quella di dare la possibilità di occupare gratuitamente il suolo pubblico, compreso quello destinato ai parcheggi prospicienti alle attività commerciali, si è trasformata in un incubo di impossibile realizzazione”, hanno scritto. Nelle concessioni rilasciate, infatti, si richiede di perimetrare l’intera area assegnata, con “dispositivi antisfondamento omologati del tipo New Jersey”. “Per chi non lo sapesse questi dispositivi, realizzati in materiale cementizio, sono più o meno come quelli presenti in autostrada: ogni elemento, di norma, è largo sessanta centimetri, lungo un metro, pesante 450 chili e costa non meno di 400 euro.

Facciamo due conti con un esempio: un piccolo bar, per perimetrare un’area di cinque metri di lunghezza per due di larghezza, poco più di un posto macchina, dovrebbe acquistare nove di questi dispositivi, per altro di difficilissima reperibilità, farseli consegnare e montare, per una spesa di almeno 4.500 euro”, hanno obiettato. Poi la polemica. “Non crediamo ci voglia un genio per capire che diverrebbe antieconomico per chiunque affrontare una spesa e un impegno logistico simile solo per avere uno spazio che, dovendo rispettare le misure di distanziamento, potrebbe ospitare al massimo due tavolini da due posti l’uno”.



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