Il ministro Giuseppe Provenzano
4 minuti per la letturaDa ministero della programmazione, senza portafoglio, il ministero per il Sud e la coesione territoriale diventi ministero di spesa, con la “missione” di gestire i 70 dei 209 miliardi di euro del Recovery Fund che secondo la clausola del 34% spetterebbero al Mezzogiorno, da impiegare nella realizzazione delle opere e degli interventi che lo mettano nelle condizione di recuperare il gap con il resto del Paese. Una proposta che suona anche come la richiesta di un’assunzione di responsabilità da parte del governo affinché la priorità assegnata al Sud nel Recovery Plan, che l’Italia sottoporrà a Bruxelles entro il 15 ottobre, non sia tale solo sulla carta.
Anche se a “vigilare” affinché l’Italia, come gli altri Paesi, metta in campo interventi mirati al recupero degli squilibri territoriali questa volta c’è l’Europa, che anche a questa finalità condiziona l’assegnazione dei fondi comunitari. Ad avanzare la proposta è stato Federico Conte, deputato di Leu, in occasione del question time alla Camera in cui al ministro del Sud, Giuseppe Provenzano, è stato chiesto di illustrare gli interventi per il il meridione programmati nell’ambito del Next Generation Eu. Per far sì che il Mezzogiorno possa sfruttare appieno questa occasione, secondo il deputato di Leu, non basta “una tecnostruttura o una progettualità specifica, ma bisogna organizzare una legge di spesa finanziata negli anni di cui quei 70 miliardi possono essere la prima posta cui attingere in termini addizionali alla spesa dello Stato, che si è ridotta a 10 miliardi nel 2016, a 8 nel 2017, in aggiunta al piano Sud 2030.
Per fare questo – ha sostenuto – c’è bisogno di un rappresentante del governo che venga dotato di capacità di spesa, un super commissario che potrebbe essere proprio Provenzano, così che il suo da ministero di programmazione senza portafoglio, diventi ministero di spesa per la realizzazione di queste opere». Opere e interventi più che mai essenziali in un territorio su cui il Covid 19 ha inciso nuove ferite, di cui gli ultimi dati Svimez danno conto: 380mila posti di lavoro a rischio, il dimezzamento della capacità d’acquisto delle famiglie del Sud e una prospettiva di ripresa “dimezzata” nel 2021 rispetto alle regioni del Nord.
«La pandemia ha colpito Nord e Sud del nostro Paese, gli effetti economici sono maggiori nelle aree più produttive, ma quelli sociali incidono maggiormente su un Sud già gravato da deficit strutturali», ha affermato il ministro sostenendo poi che l’Italia non può farsi sfuggire l’occasione offerta dall’Europa di uscire dalla crisi «con più sviluppo ed equità». Equità che, ha sottolineato, «non è solo un’esigenza di giustizia, ma risponde alla necessità di liberare il potenziale di sviluppo dei territori» e «risponde a un’esigenza di utilità: è utile anche al Centro Nord un Sud che cresca, che attivi una domanda di beni e servizi».
«La centralità della coesione non è solo una richiesta della Commissione europea ma un’esigenza nazionale e noi abbiamo l’occasione di realizzare al Sud gli investimenti che ci avvicinino al superamento della spesa storica che penalizza sistematicamente il Mezzogiorno – ha proseguito il ministro – Noi abbiamo per legge nel nostro Paese la necessità destinare almeno il 34% degli investimenti al Sud. Nel Ciae ho chiesto a tutti i ministri di avanzare progettualità mirate alla riduzione dei divari territoriali, sulla base dei fabbisogni che in alcuni casi, penso alle infrastrutture, possono essere ancora maggiori».
I fondi europei, ha spiegato, «si affiancano a quelle ordinarie che il governo deve mettere in campo e a quelle aggiuntive che derivano dalla nuova programmazione dei fondi europei, dove siamo riusciti ad avere maggiori investimenti attraverso i fondi strutturali al Sud, per circa un miliardo in più».
Intanto, nel progetto del ministero per il Recovery Plan si parte dal Piano Sud 2030, puntando al rafforzamento degli interventi sul capitale umano, per gli asili nido, il tempo pieno nelle scuole, la sanità territoriale.
La fiscalità di vantaggio è poi la misura cui si affida la possibilità di aumentare l’occupazione nei territori del Sud – rendendoli anche più attrattivi per gli investimenti privati – con un riduzione del 30% dei contributi previdenziali a carico delle imprese e una decontribuzione ancora maggiore per chi assume donne e lavoratori svantaggiati. Un intervento che, stima la Uil, peserebbe sulle casse dell’erario tra i 3,5 e 4,9 miliardi l’anno. E che dovrebbe superare le resistenze dell’Europa tradizionalmente ostile a quelli che vengono considerati aiuti a vantaggio di una sola parte del territorio.
Il piano messo a punto dal ministero prevede, poi, tra le altre cose la realizzazione di “ecosistemi dell’innovazione” in ogni regione del Sud, replicando il modello di San Giovanni a Teduccio, ad esempio, a Catania per l’elettronica, a Grottaglie per l’aerospazio, a Cosenza per l’intelligenza artificiale. Poli che mettano insieme università, grandi imprese, Pmi, startup e rigenerazione urbana. Ad essere partner di questi progetti, da svolgere assieme al ministero dell’Università e della Ricerca, saranno chiamate gli atenei, affiancati dalle grandi imprese, a partire Leonardo, agenzie ed enti pubblici di ricerca, Fondo nazionale innovazione, Cassa depositi e prestiti.
Tra i progetti anche la realizzazione di un’infrastruttura digitale per un’agricoltura sostenibile e di precisione.
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Dal punto di vista logico-matematico, ridurre il gap con il resto del Paese vuol dire superare il limite del 34%. Occorre riprendere l’impostazione adottata su impulso del Ministro del Tesoro del 1° Governo Prodi, Carlo Azeglio Ciampi, che prevedeva una ripartizione programmatica della spesa complessiva per investimenti per il 45% al Sud e per il 55% al Centro Nord.
Tra gli investimenti infrastrutturali, occorre prevedere – ma nessuno ne parla mai – un corposo PIANO PLURIENNALE DI ALLOGGI PUBBLICI DI QUALITA’. Le case popolari sono estremamente carenti in Italia, rispetto agli altri Paesi UE: siamo all’ultimo posto con appena l’1,5% dei 35 milioni di immobili residenziali, contro il 32% dell’Olanda, il 23% dell’Austria, il 20% della Danimarca, il 16% della Francia. Ancor meno l’Italia spende in termini di spesa per l’housing sociale: un misero 0,02% del Pil, contro lo 0,57% della media UE.
RESPONSABILITA’ DEI MERIDIONALI. Ma la Questione meridionale non è soltanto un problema di risorse finanziarie, né può essere affidata ai soli Meridionali, dimostratisi non all’altezza del compito, e deve tornare ad essere una grande questione nazionale che – come dice il professor Giannola della Svimez – esige l’unione delle forze, nell’interesse di tutta l’Italia.
Per il Sud, dato il sostanziale fallimento delle modalità con le quali si è affrontato finora la questione meridionale, occorre prefigurare soluzioni innovative, che riguardino in primo luogo: a) l’assunzione della Questione meridionale come questione strategica nazionale; b) una rivoluzione culturale, ed un correlato PROGETTO EDUCATIVO, rivolto alle famiglie e in primo luogo alle mamme in gravidanza e ai figli fino a 3 anni di età, che è l’età critica per lo sviluppo intellettivo e cultural-antropologico; c) investimenti infrastrutturali adeguati; d) una Pubblica Amministrazione efficiente; e soprattutto e) una classe dirigente all’altezza del compito; se occorre, il commissariamento delle Regioni inadempienti; in alternativa, il gemellaggio (o adozione) di scopo Regione del Sud/Regione del Centro-Nord, che incentivi uno scambio virtuoso, le buone pratiche e le performance, ed elimini gli alibi.