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Francesco Boccia

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«Ma la sperequazione c’è stata anche fra Sud e Sud e fra Nord e Nord. Dare priorità alle zone in ritardo»

Riproduciamo ampi stralci dell’audizione del ministro degli Affari regionali e le autonomie, Francesco Boccia, in Commissione Finanze alla Camera, presieduta da Carla Ruocco, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sui sistemi tributari delle regioni e degli enti territoriali nella prospettiva dell’attuazione del federalismo fiscale e dell’autonomia differenziata. L’indagine è nata dopo le inchieste del nostro giornale – con l’Operazione verità – sulle anomalie nella distribuzione della spesa pubblica certificata dai Conti Pubblici territoriali, dalla Corte dei Conti e dalle principali istituzioni statistiche italiane.

di FRANCESCO BOCCIA

(…) Carla Ruocco: «Il discorso del costo della spesa storica è devastante, è in controtendenza rispetto a un obiettivo assolutamente opposto rispetto al piano perequativo, perché da alcune fonti – e vorrei da lei una conferma sui numeri – ci sono circa 60 miliardi di sperequazione, generata da criterio della spesa storica tra spesa sociale e investimenti, che non vengono destinati proprio alle aree più svantaggiate del Paese. Quindi vorrei una conferma di questo dato e una puntualizzazione per ribadire il concetto che tutto questo non c’entra nulla con un discorso di efficienza di quel pacchetto di risorse, magari inferiore, che poi viene anche investito male».

(…) Francesco Boccia: «Passo all’ultima domanda della Presidente Ruocco, che fa riferimento ai 60 miliardi (sa che sono 61, ha arrotondato per difetto). Da dove nascono quelle risorse? È evidente che nei vent’anni che abbiamo alle spalle c’è un buco, connesso al fatto che le risorse che dovevano essere garantite in maniera equa su infrastrutture e sviluppo al Paese, non sono state garantite in maniera equa. La Presidente Ruocco faceva riferimento al Mezzogiorno, ed è opportuno riprendere questo tema, così si fa chiarezza. È fin troppo evidente che se dal 2001 (compreso) al 2019 (compreso, quindi compresa la legge di bilancio 2018 che ha effetto sul periodo 2019-2021), la quota di risorse medie trasferite alle Regioni del Mezzogiorno non è mai andata oltre il 24,5-25 per cento, con picchi massimi del 28-28,5 per cento e minimi del 19,5-20 per cento, dovendo garantire il 34 per cento (sto parlando di risorse ordinarie, non comunitarie); basta questo per mettere in evidenza cosa è successo in questi vent’anni.

Se facciamo lo stesso calcolo sulle aree del nord in ritardo di sviluppo, scopriamo la stessa cosa: al Mezzogiorno non è stato garantito il 34 per cento di media – che, secondo me, molto opportunamente lo scorso Governo ha scolpito con una legge dentro la norma – ma la verità è che anche quando era al 30 per cento (ho detto vent’anni, quindi hanno responsabilità tutti) non è mai stato garantito il trasferimento delle risorse, soprattutto sulle infrastrutture, alle aree meno sviluppate del Paese. (…)
(…) Quel conto sarebbe di 61 miliardi, che non ci sono; però sono andati, nel senso che non ci sono e basta guardare le aree e si capisce che quei 61 miliardi non ci sono. Quello che non possiamo fare è che il conto diventi di 121 miliardi nei prossimi vent’anni.

Intanto, la legge quadro serve a far sì che quello che è successo non accada più, ponendo dei vincoli non superabili, e questo è un messaggio chiaro che vorrei trasmettere soprattutto alle aziende pubbliche dello Stato (ANAS, RFI) e a tutte le aziende che hanno il portafogli della Repubblica: o si investe a certe condizioni in tutte le aree del Paese in ritardo di sviluppo, oppure si sta fermi. E se le classi politiche e le classi dirigenti non sono in grado di favorire questi investimenti, si cambiano le classi dirigenti, ma non è che si spostano le risorse da un’altra parte. Quindi confermo che quelle risorse non sono state trasferite e sono uno dei buchi effettivi che emergono in questo momento».

(…) «I LEP noi li abbiamo in Costituzione dal 2001. Io trovo ingiustificabile – e penso siate tutti d’accordo – che, nonostante il Costituente abbia previsto i LEP, il Legislatore non abbia dato ai LEP un profilo, un abito. Noi abbiamo il dovere di dirci se siamo in grado di definire i LEP, perché tutto l’impianto su cui stiamo ragionando passa attraverso la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni. Tutto questo vorrei che avvenisse ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m). L’articolo 117 non è sganciato dall’articolo 116. Con che cosa deve essere coerente il finanziamento delle funzioni attribuite sulla base dei fabbisogni standard dei livelli essenziali delle prestazioni? E qui veniamo all’articolo 119, perché anche l’articolo 119 deve essere rispettato dalle intese, altrimenti non funziona».

(…) «Veniamo alla parte, per me, fondamentale: la necessità di assicurare su tutto il territorio nazionale i livelli delle prestazioni e gli obiettivi di servizio di cui al primo punto che vi ho citato, anche attraverso la perequazione infrastrutturale. Questo è il nodo per me fondamentale. Senza questo nodo ci possiamo solo illudere di migliorare i ritardi di sviluppo, e non mi riferisco solo al divario tra nord e sud. Il ragionamento che stiamo facendo non lo stiamo facendo soltanto con riferimento al divario tra nord e sud, ma anche tra sud e sud e tra nord e nord. Stiamo tentando di consentire al Parlamento di discutere una norma quadro che tenga insieme tutto e che preveda la distribuzione di funzioni tra Regione e Città metropolitane ed Enti locali, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di adeguatezza previsti dall’articolo 118 della Costituzione. Questo significa che all’affidamento delle funzioni si procederà tenuto conto delle funzioni fondamentali degli Enti locali e delle Città metropolitane definite dalla legislazione statale ai sensi dell’articolo 117… È evidente che tra la regione Calabria e la regione Lombardia quella in ritardo di sviluppo sia la regione Calabria e che quando si fa la programmazione degli investimenti infrastrutturali, penso all’alta velocità, inevitabilmente la regione Calabria deve diventare prioritaria perché l’alta velocità non ci è arrivata (stante la quota di risorse ottenute in questi anni dalla regione Lombardia, che non diminuiscono). Il sud ha il 16 per cento di alta velocità, tutta finanziata con la fiscalità ordinaria e con risorse ordinarie (non con quelle comunitarie); l’84 per cento dell’alta velocità è nel centro nord. È inevitabile aprire questa discussione.

Nella mia Puglia – per non fare analisi che urtino la suscettibilità di qualche deputato – è inevitabile che, all’interno della quota di risorse per le infrastrutture che vengono assegnate alla Regione (e sto parlando di risorse ordinarie e pluriennali, non c’entrano nulla quelle del fondo di coesione e quelle comunitarie, che auspicabilmente dovrebbero finalmente diventare aggiuntive, se questo sistema funziona) la provincia di Foggia avrà priorità rispetto all’area metropolitana di Bari, perché è in evidente ritardo di sviluppo. Non potranno prendersela i baresi, perché dovranno capire. Questo diventa un impegno dello Stato, non della Regione, perché la Regione non ha gli strumenti e neanche la forza per finanziare un ritardo di sviluppo sulle infrastrutture e sui servizi.

È inevitabile che Belluno e Rovigo – per citare due province della regione Veneto – avranno priorità rispetto a Venezia e Padova su alcuni servizi, perché hanno un ritardo di sviluppo evidente; e questi interventi non può farli la Regione, ma deve farli lo Stato. Così come Piombino, Livorno o Grosseto. Vi sto citando delle aree non a caso, perché sono già oggetto di analisi.

La regione Toscana, per ammissione dello stesso presidente Rossi, non è in grado di fare più di quello che ha fatto per Piombino, Livorno e Grosseto, per far sì che raggiungessero la media di sviluppo regionale, che ovviamente si eleva grazie a Firenze, Prato e alle altre aree più sviluppate; nonostante la regione Toscana (così come la regione Veneto) abbia fatto tanto per le aree meno sviluppate, non ha risorse sufficienti. Quindi o riorientiamo i grandi fondi pluriennali di investimento presenti nel bilancio dello Stato, con un vincolo di priorità alle aree meno sviluppate, oppure non riusciremo a far funzionare questo modello.

È inutile nascondercelo, anche perché abbiamo fatto più di una manovra insieme: quali sono i processi che portano le grandi aziende pubbliche, che fanno opere sui territori, a decidere se si fa o meno un’opera pubblica? Il ritardo di sviluppo dell’area? No. ANAS, RFI e Ferrovie dello Stato: lascio ad ognuno di voi l’analisi sui processi decisionali, tutti legittimi, ma quasi sempre condizionati da fisiologiche attenzioni connesse alla densità economica dei luoghi, a pressioni legittime della politica dei gruppi di interesse. Io dico sempre legittime, perché tutto quello che accade in Parlamento, alla fine, lo decide con la sua sovranità il Parlamento, però, ogni scelta non la si fa al fine di sostenere le aree in ritardo di sviluppo. In Lombardia, tutte le aree interne sono in grande sofferenza, per non parlare delle aree di montagna, al netto di qualche nota stazione, universalmente riconosciuta, di eccellenza sciistica. Tutte le aree interne lombarde sono in grande difficoltà. Per non parlare di Verbania, Novara, Alessandria, Vercelli».


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