La protesta dei ristoratori a Montecitorio
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Dalla Campania alla Sicilia, i ristoratori sono infuriati. L’ultima uscita del viceministro dell’Economia, Laura Castelli, un consiglio per non morire più che un invito a cambiare mestiere, è la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
L’emergenza coronavirus – distanziamento fisico, obbligo di mascherina e pochi soldi nelle tasche dei consumatori – ha dato la mazzata finale agli esercenti che vivono del loro ristorante e ora rischiano di non farcela. Al Sud più che altrove, perché qui il costo della vita può sembrare più basso ma il costo del denaro è decisamente più scarso che altrove. Allora la pentola che bolliva è esplosa di rabbia. Cartelli con le parole “Castelli chiedi scusa” e “Zero aiuti dallo Stato”, tra fischietti e qualche bandiera, si sono visti davanti Montecitorio.
Ritardi sulla cassa integrazione ai dipendenti, crisi di liquidità per i titolari, pochi turisti e la maggior parte dei lavoratori in smart working: questa è la situazione di gran parte dei ristoratori italiani, meridionali in particolare. Paolo Polli – il ristoratore milanese che ha portato avanti la protesta della categoria durante gli ultimi mesi di contagio, ha fatto lo sciopero della fame e poi si è candidato come prossimo sindaco di Milano – si è posto simbolicamente alla testa dei 50mila ristoratori italiani che, in una lettera aperta alla Castelli, si sono detti «non più disposti a scusare, a capire o giustificare: siamo diventati intolleranti a questi scivoloni televisivi che presentano alla gogna mediatica un intero confronto».
LA MEDIAZIONE
Qualcuno prova a mediare, come il presidente della Fipe Campania, Massimo Di Porzio: «Ho letto attentamente le dichiarazioni della Castelli e in nessun passaggio lei ha detto che i ristoratori in crisi devono cambiare mestiere. Lei ha detto che c’è una crisi della domanda e uno spostamento, o mutamento dell’offerta sarebbe auspicabile. Insomma, bisogna cercare di essere creativi ed esplorare tutte le possibili alternative di business.
Non cambiare mestiere!», ha commentato. Insomma ci si deve riorganizzare, tocca diversificare, ma nessuno vuole cambiare mestiere. «Tutto ciò è conseguenza della pandemia, ma anche della liberalizzazione selvaggia determinata dalla legge Bersani», è l’attacco di Di Porzio che richiama quella mini-rivoluzione che portò a concedere le licenze con maggiore libertà rispetto al passato. Quei problemi si sono cumulati a quelli di oggi.
L’ALLARME
In condizioni normali, con flussi di turismo crescenti, come è stato negli ultimi anni, sono proliferate le attività di ristorazione. A Napoli, Matera, Bari, Lecce, quelle perle del Mezzogiorno che finalmente stava vivendo un nuovo boom. I numeri raccolti dalle associazioni di categoria sono allarmanti. La perdita stimata nei pubblici esercizi di Napoli tra aprile, maggio e giugno 2020 ammonta ad oltre 500 milioni di euro. A rischio chiusura nel prossimo autunno 2020 oltre mille attività, cioè una su quattro. In bilico il posto di lavoro per 10.000 unità. E parliamo solo del capoluogo campano. Se allarghiamo il raggio d’azione all’intero Meridione arriviamo ad almeno 50mila lavoratori che tra settembre e novembre potrebbero non essere più impiegati.
«Siamo diventati intolleranti a questi scivoloni televisivi che mettono alla gogna mediatica un intero comparto. Ci hanno multato, ci hanno dato dei pigri, dei rivoluzionari e adesso anche degli incapaci. Tutti questi appellativi non appartengono alla nostra categoria che rappresenta un’importante colonna economica italiana (13% del Pil)”, hanno scritto 500 ristoratori siciliani nella lettera indirizzata a Laura Castelli che durante un’intervista al Tg2 Post aveva lanciato un messaggio equivoco: «Questa crisi ha cambiato la domanda e l’offerta – aveva detto la grillina -. Le persone hanno cambiato il modo di vivere e bisogna tenerne conto. Bisogna aiutare gli imprenditori a cambiare business. Se una persona decide di non andare più a sedersi al ristorante, bisogna aiutare l’imprenditore a trovare un’altra occupazione e bisogna sostenere l’impresa».
LA STRATEGIA
Quale sarà dunque la strategia da mettere in campo? Tutto l’impegno sarà dedicato al superamento dell’emergenza Covid. Il settore dei pubblici esercizi ed il turismo in generale hanno subito un colpo drammatico dalla pandemia, con un calo medio del fatturato pari al 50%.
«Abbiamo voluto creare una squadra forte e rappresentativa di tutti i settori ed i territori perché, per accompagnare la ripresa, è fondamentale rafforzare il dialogo con le istituzioni, in primis la Regione e i Comuni, in vista di una radicale sburocratizzazione e semplificazione delle procedure amministrative. La crisi Covid deve essere l’occasione per risolvere i nodi che hanno soffocato fino ad oggi la crescita delle imprese, a cominciare dalla lentezza e complessità delle procedure burocratiche», è la promessa del numero uno di Fipe Campania.
LE RICHIESTE
I commercianti in generale chiedono anche di semplificare le regole del mercato del lavoro, per far ripartire le assunzioni: la reintroduzione dei voucher; l’incentivazione dei tirocini per introdurre i giovani in azienda; più attenzione alle Pmi con un piano specifico di incentivi per l’ammodernamento e l’innovazione tecnologica del nostro settore, che è una componente fondamentale dell’offerta turistica.
«Per parte nostra, in sinergia con Confcommercio Campania, dedicheremo particolare attenzione all’elevazione delle competenze professionali degli imprenditori e degli addetti attraverso un programma di formazione specializzata in diversi campi, dall’uso delle nuove tecniche di comunicazione e marketing alla gestione aziendale, fino agli approfondimenti sui prodotti di eccellenza e sul loro utilizzo», ha aggiunto Di Porzio neo allo scopo di rilanciare il business traballante di bar, ristoranti, pasticcerie, gelaterie, stabilimenti balneari, discoteche, locali serali, catering e banqueting.
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