Giuseppe Sala
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Ritornano periodicamente le ricette seriali con obiettivi, alcune volte dichiarati altre volte sottesi, che certamente non vogliono il bene del Paese. L’ultima boutade è quella di Beppe Sala, che forse farebbe bene a essere più prudente dopo le performance in stile “apriamo la Milano da bere”, che dà ricette per il Paese, già bocciate dalla storia. E del 1990 un mio lavoro, insieme a Salvatore Sacco, pubblicato per i tipi della Franco Angeli, titolato proprio “Gabbie salariali. Verifica empirica di una proposta”, nel quale già allora esprimevo forti perplessità.
Il tema è di quelli che appassionano: introduciamo le gabbie salariali perché possano risolvere tanti problemi di occupazione al Sud. Visto che il costo della vita nel Mezzogiorno è più basso, paghiamo meno i dipendenti della Pubblica amministrazione.
FISCALITÀ DIFFERENZIATA
Nulla dice Sala del costo del lavoro per le aziende private. Forse interessato a risparmi che ovviamente si pensa possano servire per finanziare una ennesima Expo, magari a Milano, o una Olimpiade invernale o un ennesimo traforo delle Alpi.
Purtroppo negli ultimi periodi le migliori menti del Pd se ne escono con soluzioni risibili. Si tratti di Paola De Micheli, con il calcolo costi-benefici già abbondantemente fatto sul ponte del Mediterraneo, o di Stefano Bonaccini, con le autonomie differenziate, senza mai dimenticare il buon Roberto Gualtieri che colleziona inefficienze e inadeguatezze giornaliere e non parla mai di Sud, sembra che vi sia una corsa alle vie di fuga rispetto a soluzioni serie. Quella del costo del lavoro lo è.
Perché è evidente che l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area può avvenire se siamo anche competitivi nel costo del lavoro. Avere contratti di lavoro con remunerazioni anche più basse, per esempio del 10%, per eventuali gabbie salariali che, insieme all’eliminazione del cuneo fiscale che cuba un ulteriore 20%, potrebbero diminuire il costo del lavoro per l’azienda di un 30%, non è certamente poca cosa.
Ed è ovvio che sul cuneo fiscale differenziato bisogna lavorare, sopratutto per le aree Zes, vocate proprio all’attrazione di investimenti, se qualche politico non le snatura, come sta venendo in qualche Regione.
IL MITO DA SFATARE
Ma pensare di diminuire il costo del lavoro con l’introduzione delle gabbie salariali è non solo un errore metodologico, ma anche un intervento sbagliato.
Primo perché non è vero che il costo della vita nel Mezzogiorno sia più basso che nel Nord del Paese ed i calcoli finora fatti sono parziali. Perché intanto il confronto va fatto tra aree omogenee, perché è evidente che le aree rurali e dei paesi dell’interno potrebbero avere un costo della vita più basso, oltre che una serie di vantaggi e di autoconsumo che aumentano il reddito. Parliamo di piccole cose ma il contadino che ha le galline in casa o che ha un orto nel quale raccoglie verdura e frutta ha un potere d’acquisto maggiore di quello che dicono le statistiche. Quell’autoconsumo che, non passando dal mercato, non entra nemmeno nel calcolo del Pil, e questo ragionamento darebbe ragione a Sala.
I MILLE COSTI INVISIBILI
Ma, confrontando aree metropolitane omogenee, è anche vero che alcune realtà geografiche hanno dei costi che non figurano nel calcolo Istat. Quanto incide in un bilancio familiare dover mantenere i figli nelle università di Milano, Bergamo o al Politecnico di Torino? Cosa che avviene, visto che i saggi genitori li mandano dove potranno trovare una occupazione. E quanto a doversi curare nel sistema sanitario nordico, dove le risorse sono state investite, a scapito delle realtà meridionali?
E il fatto che il patrimonio immobiliare si sia deprezzato notevolmente per un esodo biblico che ogni anno fa emigrare 100.000 persone dal Mezzogiorno, quanto pesa nel bilancio familiare, anche in termini di svalutazione dei redditi da immobili, che ormai non affitta più nessuno, considerato che le nuove coppie si formano nel Lombardo-Veneto-Emiliano?
E l’evenienza che a Palermo, ma anche a Bari, non si possa vivere senza auto, perché i servizi pubblici spesso sono inesistenti, sia all’interno dei grandi centri che tra centri della provincia, quanto incide sul bilancio familiare?
E l’esigenza di pagare un asilo nido privato in assenza totale di quelli pubblici nel costo della vita è calcolato o no?
CALCOLI DA RIFARE
Mi pare che i calcoli vadano rifatti bene. Ma il fatto di fondo che va sottolineato è la tendenza della classe dirigente nordica, di tutti i partiti, l’unica che conta veramente nel Paese, quando si pone il problema/opportunità Sud, che in realtà vive come problema, e di non pensare a ridurre i divari ma di accettarli e conviverci.
Si tratti delle autonomie differenziate o delle gabbie salariali, mai una parola per una politica economica che miri a creare lavoro dove serve, a pensare a forme di delocalizzazioni di imprese o di uffici pubblici, ma, in un approccio bulimico, si vuole tutto, dalle capitali annuali della cultura, a tutti i grandi eventi, ai grossi centri europei, come quello del farmaco, alle grandi opere come il Mose o le alte velocità ferroviarie, persino la Bergamo San Candido, e quando si pensa al Sud lo si fa come di un corpo vivo sul quale tentare tutte le sperimentazioni, anche le più superate dalla storia.
PROGETTO DI ECCELLENZE
Bene ma bisogna dire anche che in ogni caso le gabbie salariali sarebbero complicatissime da adottare anche a livello legislativo, che nel caso dovrebbero essere pensate anche per il privato, e che non bisogna dimenticare che il Sud soffre già di una grossa penalizzazione: il “nero”, che già diminuisce il reddito familiare e incide sul valore medio dei salari. Ma il fatto importante è che non si può tacere è che non possiamo pensare di produrre manifatture con scarso valore aggiunto, puntando su costi del lavoro bassi, perché invece la competizione va condotta su produzioni d’eccellenza su cui deve inserirsi il Sud nella competizione globale.
E per far questo non servono le gabbie salariali nel privato e nel pubblico, una forma già superata dalla storia. Il costo del lavoro va diminuito, ma all’interno di un progetto complessivo che porti produzioni di eccellenza. In un approccio composito nel quale il costo del lavoro rappresenta solo una parte delle politiche complessive.
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