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La durata del lockdown rischia di accelerare la desertificazione dell’apparato produttivo del Sud, incidendo negativamente sulla già fragile struttura produttiva locale, che peraltro è già stata messa a dura prova dalla precedente lunga crisi, prima recessiva e poi di sostanziale stagnazione, e dalla quale non è mai riuscito a uscire del tutto. Detto fuori dai denti, con la crisi soprattutto di liquidità, il rischio di default per le medie e grandi imprese del Sud è maggiore di almeno quattro volte rispetto a quelle del Nord.

ALLARME DELLA SVIMEZ

L’allarme è lanciato dalla Svimez, sulla scorta di un recente studio dell’associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, che mette appunto a confronto “L’impatto economico e sociale del Covid-19” tra il Sud e il Centro-Nord del Paese. Scrive Svimez: «È possibile trarre alcune utili considerazioni sui rischi, più concreti per le imprese meridionali, di non sopravvivere alla fase corrente se non adeguatamente supportate con iniezioni di liquidità, con particolare riferimento alle imprese medie e grandi», quelle cioè con un fatturato superiore agli 800 mila euro.

La verità, sottolinea la nota, è che questo segmento di imprese condivide un grado di indebitamento non dissimile sia al Nord che al Sud. Infatti, «la quota di imprese con un rapporto Debiti Finanziari/Capitale Netto maggiore dell’unità è simile nelle due macroaree: 72% nel Mezzogiorno, 70% nel Centro-Nord». Ma ciò che stride è il fatto che, a parità di grado di indebitamento, «è quanto sia “soddisfacente” la redditività operativa, da ritenersi tale solo se adeguata rispetto al costo dell’indebitamento esterno, in modo da compensare i vantaggi di una elevata leva finanziaria con lo svantaggio associato a rischi finanziari crescenti».

Insomma, «la differenza tra il ROI (indicatore di redditività dei mezzi propri) e il costo dei mezzi presi a prestito è positiva solo per le imprese del Centro-Nord, mentre assume un valore negativo per le imprese del Mezzogiorno. Il che si traduce – sottolinea lo studio della Svimez – in una possibilità più concreta di default per queste ultime».

Detto in altri termini, per le imprese del Sud è più difficile accedere al credito bancario stante l’attuale situazione. Sicché lo studio Svimez arriva a fare una previsione assai verosimile della mortalità di imprese che inevitabilmente ne conseguirà. «Si stima una probabilità di default delle imprese meridionali quattro volte maggiore rispetto a quanto avviene nel resto del Paese».

FRAGILITÀ DELL’APPARATO

Ma c’è anche un’altra osservazione da fare, alla luce della lettura del rapporto, in questa fase di pressoché generale chiusura delle attività produttive ed economiche. «Dal 2008, sia al Nord che al Sud, l’effetto di selezione si è progressivamente concentrato nelle unità locali collocate all’interno della fascia di fatturato più bassa (0-19mila euro). In particolare, tra il 2008 e il 2016 nel Centro-Nord la percentuale delle unità locali appartenenti a questa classe e espulse ogni anno dal mercato, rispetto al totale delle unità locali che hanno cessato l’attività, è costantemente cresciuta passando dal 41% al 50%». E lo stesso è avvenuto, ma inesorabilmente in maniera ancora più marcata, per la medesima classe di imprese nel Sud del Paese, la cui percentuale è così passata dal 44% al 55%. Scrive sempre lo studio: «L’abbassamento strutturale della domanda interna che vi è stato durante la “lunga crisi” non ha riguardato in maniera omogenea le varie classi di aziende, ma ha sfavorevolmente interessato in misura maggiore le cosiddette micro-imprese (0-19 mila euro di fatturato), fenomeno più intenso al Sud. Appare inoltre ragionevole presumere che tale evento, proprio perché è andato consolidandosi in un arco temporale non breve, possa manifestarsi con maggiore forza anche nell’attuale fase ciclica fortemente negativa. Ma la classe in cui sono ricomprese le micro-imprese è anche quella che tuttora presenta nel Sud un’incidenza comparativamente maggiore».

IMPRESE TROPPO PICCOLE

Giusto per notare, in base agli ultimi dati disponibili, nella classe di imprese considerata da Svimez, «nel Sud, circa 270 mila unità lavorative, sono pari al 28% dell’intero stock, rispetto al 20,2% nel Centro-Nord». Ma c’è anche un altro aspetto da considerare, ammonisce l’associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno. E, cioè, «sebbene queste stesse imprese siano soggette ad un trend di lungo periodo verso un loro restringimento relativo, un’improvvisa e repentina accelerazione di tale fenomeno appare avere delle conseguenze sociali difficilmente gestibili, anche per la stretta contiguità che vi è tra le cosiddette micro-imprese e il lavoro irregolare e/o sommerso presenti in misura maggiore proprio nelle regioni meridionali».

E, dunque, come si potrà uscire da questa situazione, ammesso che se ne uscirà? È presto detto, dicono gli economisti della Svimez: stante così le cose, si uscirà con un forte incentivo a ridurre la scala operativa, con il Nord che perderà imprese, ma aumentando la dimensione media di quelle che restano, e viceversa a Sud.


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