Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro Roberto Gualtieri
3 minuti per la letturaSulla carta ci sono garanzie pubbliche per finanziamenti fino a 400 miliardi di euro per le imprese stremate dalla crisi del coronavirus e che vogliono ripartire, vogliono riaprire i cancelli, riaccendere i motori, richiamare al lavoro i dipendenti oggi in cassa integrazione. In concreto, ancora non c’è niente. E forse quelle risorse non verranno mai spese, le aziende chiuderanno definitamente, i dipendenti diventeranno disoccupati. Il famoso e ormai ‘famigerato’ decreto liquidità non sta producendo alcun effetto e, anche una volta andato a regime non produrrà gli effetti sperati. Dei meccanismi tortuosi per richiedere i finanziamenti garantiti dallo Stato si è parlato a lungo dalle pagine di questo giornale.
È un grande limite del provvedimento. Ma un altro limite, e forse anche maggiore, riguarda la platea dei possibili beneficiari. Se un’impresa ha anche una rata non pagata prima del 31 gennaio 2020, quando l’epidemia è partita ed ha iniziato ad avere riflessi sulla vita reale e la produzione, non può acceder al finanziamento garantito, neanche ai prestiti fino a 25.000 euro per le pmi.
È chiaro che una simile disposizione taglia fuori moltissime imprese, che avevano già qualche difficoltà prima dell’esplosione del coronavirus. Nella circolare circolare interna che Artigiancassa ha diramato alle proprie filiali, riprendendo la scheda esemplificativa a sua volta messa a punta dall’Abi per e la banche associate, si dice che non è consentito accedere alla procedura per i prestiti garantiti “le imprese che manifestano segnalazioni di sofferenze in CR (Centrale dei Rischi) o eventi pregiudizievoli, mentre è consentito alle imprese che permangono in anomalie bancarie, se verificatesi dopo il 31 gennaio 2020”. Quindi se il problema di liquidità si è verificato prima, i rubinetti sono chiusi. Ma nel periodo che ha preceduto la crisi per il coronavirus il tessuto imprenditoriale del Paese, soprattutto le pmi, mostrava già segnali di frenata, e con una stretta di questo tipo sull’accesso alla liquidità ‘agevolata’ si vedono definitivamente tagliate e ali.
Mentre il governo, i numerosi comitati regionali, la task force guidata da Vittorio Colao, la cabina di regia tra governo e regioni, discutono della fase 2 per riaccendere i motori del sistema produttivo, sarebbe opportuno chiedersi come faranno a ripartire le imprese che hanno le casse vuote. Ben prima dell’entrata in vigore del decreto liquidità questo giornale aveva sottolineato con forza la necessità di mettere in campo, con urgenza, ingenti risorse da erogare con modalità semplificate, direttamente sul conto corrente, e ad una platea molto ampia di potenziali beneficiari, senza escludere imprenditori esposti con crediti deteriorati o con debiti in ristrutturazione. E con una garanzia pubblica del 100%. Il decreto, invece, prevede la garanzia diretta al 100% del Fondo centrale per le pmi solo per i piccoli presiti fino a 25.000 euro, per cifre più alte si ferma al 90%. E quando la garanzia non copre il 100% la procedura per ottenere il prestito è decisamente più lunga e complessa, è richiesta la valutazione del merito del credito e le banche sono caute.
Eppure con la sospensione del patto di stabilità in questa fase di profonda crisi diffusa in tutta Europa i Paesi sono liberi di spendere, non hanno più le mani legati e possono mettere benzina nel motore.
Ora si aspetta il prossimo decreto, definito ‘di aprile’ ma che probabilmente non dovrebbe vedere la luce prima maggio. Molte le voci che si sono levate in questi giorni per chiedere risorse a fondo perduto, dalle associazioni di imprese, grandi e piccole, alla politica, da sinistra a destra. Potrebbe essere la volta buona.
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