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Lo Stato incamera circa 7 miliardi all’anno di Iva e Irpef pagate dai siciliani e che invece, in base allo Statuto della Regione Siciliana, dovrebbero rimanere in Sicilia. E’ quanto sostiene Saverio Romano, presidente dell’Osservatorio sul Mezzogiorno di Eurispes in un rapporto, che riaccende la polemica sulla disparità di trattamento praticata dallo Stato rispetto alla Regione Siciliana.
Dal 1° gennaio 2017, puntualizza, la “fetta” che lo Stato preleva dell’Iva pagata dai siciliani è aumentata dal 50% circa al 63,6%, lasciando così alla Sicilia il restante 36,4%, mentre alla Regione ne spetterebbe il 100% in base all’articolo 36 dello Statuto approvato nel 1946 con legge costituzionale dal Parlamento.
Secondo Romano, occorre fare chiarezza «sulla distribuzione delle risorse in Sicilia e nel Sud, sulle politiche fiscali adottate negli ultimi decenni, sugli investimenti che non sono stati mai fatti in infrastrutture materiali e immateriali, sulle disparità perpetrate ai danni dei cittadini del Meridione, su uno Stato che nei confronti della Sicilia ha sempre avuto un braccio lungo nel prendere e uno corto nel dare. Va fatta una definitiva operazione verità, presupposto essenziale per invertire la rotta e per togliere argomenti falsi ai detrattori del Mezzogiorno».
LE DUE MANI DELLO STATO
La Corte dei conti ha segnalato come gli andamenti delle giacenze di cassa rendono problematica la situazione di liquidità della Regione, indicandone la causa, oltre che nella recessione, nel contributo dovuto allo Stato dalla Regione per partecipare al risanamento dei conti pubblici nazionali. Un contributo pro capite nel 2015 pressoché quadruplo rispetto a quello di Emilia Romagna, Toscana o Veneto e secondo solo alla Lombardia, dal Pil però enormemente più grande di quello della Sicilia.
Così «con una mano lo Stato concorre alla spesa sanitaria dei siciliani, trasferendo alla Regione 2,4 miliardi l’anno, e con l’altra se ne riprende il triplo trattenendo per sé imposte che spetterebbero alla Sicilia» dice Romano. Che rivendica con forza il principio «secondo il quale chi produce in Sicilia, dovrebbe pagare le tasse in Sicilia. Ma questo tuttora avviene solo in minima parte, perché pur operando con stabilimenti nel territorio regionale, per il solo fatto di disporre della sede legale fuori dalla Sicilia, le società le imposte le pagano in gran parte allo Stato, eccetto quelle regionali e le aliquote sui redditi delle persone giuridiche».
Le legittime entrate negate all’Isola dallo Stato e lo sproporzionato carico di spese lasciatole sulle spalle hanno prodotto debiti per 9 miliardi che la Regione è stata costretta a fare per chiudere i bilanci. Ma con chi ha contratto debiti? Con lo Stato stesso, per mezzo della Cassa depositi e prestiti. Così, con una mano le viene prestato a interesse ciò che con l’altra le è stato sottratto. Quello che poi la Cassa depositi e prestiti presta alla Sicilia sono i risparmi postali che anche le famiglie, e soprattutto i pensionati siciliani, hanno concorso a generare. In altre parole, lo Stato presta ai siciliani i “loro” soldi, traendone profitto tramite interesse.
IL NODO DEI DIPENDENTI
A determinare i conti in rosso della Sicilia ha poi concorso l’averle imposto per due volte, in soli 5 anni, la rinuncia all’intero ricavato proveniente dalle cause vinte contro lo Stato davanti alla Corte costituzionale, e di obbligarla addirittura ad azzerare tutti i residui attivi che lo Stato le doveva. Tali pagamenti, che per paradosso era lo Stato a dover erogare, sono stati ritenuti dallo Stato stesso «inesigibili».
Quanto alla questione dei dipendenti, è vero che la Sicilia ne ha troppi? «Non è così – risponde Romano – I dati del censimento Istat 2016 indicano che la Regione è ottava in Italia per quantità di impiegati pubblici pro capite. Preceduta tra le altre da Valle d’Aosta, Province di Bolzano e di Trento, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia.
Facilmente, poi, si cade nell’errore di mettere a confronto il numero di dipendenti pubblici delle altre Regioni italiane (a statuto ordinario) con quello della Regione Sicilia, trovando quest’ultimo più elevato di quello delle altre. In realtà, va tenuto presente che compiti e funzioni altrove affidati ai dipendenti dello Stato, in Sicilia sono propri degli stessi dipendenti della Regione. Quindi, a poter essere confrontato è solo il numero dei dipendenti pubblici nel suo complesso, perché quegli uffici che nelle Regioni a statuto ordinario sono svolti dallo Stato, in Sicilia è la Regione stessa ad assolverli.
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