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Giuseppe Conte arriva a Gioia Tauro con in tasca un «impegno solenne». Ad aspettarlo fuori dai cancelli dell’istituto scolastico Severi non c’è la folla di un anno fa, quando a Reggio Calabria annunciò il decreto speciale sulla sanità calabrese. Si ferma un attimo a stringere qualche mano tra gli sparuti rimasti fuori dalla cancellata, assieme a lui il ministro per il Sud Peppe Provenzano e quello dell’Istruzione Lucia Azzolina. Nell’auditorium del liceo, oltre ai giornalisti, ci sono quasi soltanto studenti. Una platea atipica, visto l’argomento. L’ultima volta che si era sentito parlare di Piano per il Sud è stato durante il governo Renzi, il famoso “masterplan” ritirato fuori in queste ultime ore di scontro diretto con l’attuale presidente del Consiglio.

VINCOLO PER IL FUTURO

Eppure questo piano per il Sud, dice Conte, è un lavoro «corale, hanno contribuito tutti i ministri». La consapevolezza del lungo termine fa mettere le mani avanti al presidente del Consiglio davanti a un progetto «molto ambizioso, realizzato per la prima volta con un impegno decennale».

Insomma, gli «interventi spot» non servono, «abbiamo bisogno di insistere anno dopo anno». Perché poi a Gioia Tauro? Perché simbolo «delle opportunità di crescita del Sud» grazie soprattutto al suo porto crocevia del traffico di merci nel Mediterraneo. Il Piano, nella visione di Conte è un affare per tutta l’Italia: se si cresce qui ne beneficeranno tutti, a partire dall’impresa del Nord. Per questo si sbilancia: «Abbiamo aperto il cantiere Italia del futuro».

Per prima cosa gli investimenti, la famosa clausola del 34% che ora viene fissata per legge: non più un’indicazione ma un punto fermo. Tutti gli investimenti italiani dovranno tener conto di questa percentuale da destinare al Sud. «E’ un vincolo – dice Conte – per chi verrà dopo di noi. Abbiamo detto che d’ora ora in poi si deve a priori utilizzare il 34% di spesa al Sud. Chi verrà dopo di noi, per evitare questo, dovrà rimuovere questo vincolo e se ne assumeranno le responsabilità».

L’altro nodo importante sono le infrastrutture: in una Calabria che fatica a muoversi sia su strada che soprattutto su ferro serve una cura rinvigorente. Ci sono «33 miliardi in opere appaltabili entro il 2021 e abbiamo un contratto di programma con Anas e Rfi molto corposo».

L’ALTA CAPACITÀ

Il punto centrale è l’alta capacità ferroviaria «per portare a 4 ore la percorrenza dei treni da Reggio Calabria a Roma». Poi ci sono i servizi e la prospettiva di una vera e propria linea ad alta velocità: «Stiamo lavorando – annuncia – per il Tav in alcuni snodi». Poi c’è la statale 106 jonica, Conte ribadisce l’arrivo del ministro De Micheli il 10 marzo per l’inaugurazione del cantiere tra Sibari e Roseto Capo Spulico, sulla costa jonica a nord della regione.

E poi il problema delle aree interne e dei Comuni, spesso “incapaci” di spendere le risorse. Ci sono «825 milioni per tutti i Comuni del Sud – incalza Conte – per la messa in sicurezza degli edifici e l’efficientamento energetico. Questo per i 404 Comuni calabresi si traduce in 23 milioni e mezzo da spendere adesso, entro il 15 settembre prossimo». Il metodo lo chiarisce Provenzano. «Un presidio centrale più forte che si muova sui territori a supportare la progettazione e avere schemi cantierabili, bandi e procedure standard». Non proprio un commissariamento degli enti locali sulla spesa quanto un “aiutino” nella gestione dei soldi in arrivo.

LE 5 DIRETTRICI

Altro passaggio quello sull’occupazione femminile. Il piano per il Sud prevede uno «sgravio contributivo al 100% per chi assume al Sud». E ancora: estensione del fondo “Cresci al Sud” con l’innalzamento del limite d’età a 45 anni. In mezzo ai dati c’è tutta la narrazione del riscatto meridionale (non a caso, oltre a Conte, i due ministri presenti arrivano dal profondo Sud). Conte rispolvera «l’impegno solenne di rilanciare il Mezzogiorno, abbattere le barriere territoriali e arginare spopolamento ed emigrazioni “costrette”.

Provenzano, invece, parla di «diritto a restare per costruire un futuro». Racconta del progressivo disinvestimento in dieci anni, dai 21 miliardi del 2008 ai 10 miliardi del 2018, nelle aree meridionali.

Il Piano dunque è estremamente desiderabile, con un punto chiaro: «La spesa – dice Provenzano – dovrà essere proporzionale alla popolazione. Bisogna subito colmare questa ingiustizia».

Cinque le direttrici: «Cancellare questo scandalo moderno di mezzo milione di bambini in povertà educativa, spezzare l’isolamento dei territori costruendo reti e servizi». E poi la «cura del ferro» per rimettere in piedi ferrovie e trasporto pubblico locale. «Ci sono infrastrutture sociali, scuola, salute e servizi di assistenza da migliorare.

Nei prossimi due anni saranno a disposizione 33 miliardi per ripartire con nuovi cantieri». Conte promette: «Ci proveremo fino all’ultimo», forse consapevole del fatto che qualcosa traballa nel governo. Poi si vedrà, chi verrà dopo potrebbe anche cancellare (quasi) tutto con una gomma.


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