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IL MINISTRO dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, rassicura: «Tutti i docenti saranno in cattedra, così come accadde l’anno scorso. Quest’anno abbiamo realizzato tanti concorsi, abbiamo assunto oltre 50mila docenti. C’è anche una parte di supplenti, ma gli studenti troveranno tutti i docenti in classe al rientro dalle vacanze». Escluso il ritorno della Dad (neanche una volta a settimana per eventuali risparmi energetici), secondo il ministro «orari e classi non subiranno restrizioni». Di fatto, secondo i calcoli di Tuttoscuola, solo il 44% dei posti messi a bando sarà ricoperto dai vincitori: il resto sarà assegnato ai supplenti annuali. Parliamo di 31.000 posti in organico a fronte di un totale di 55.000.
PROTESTE E TEMI CALDI
Le preoccupazioni del mondo della scuola, quindi, a pochi giorni dalla campanella, tornano puntualmente a farsi sentire. Così come gli storici divari Nord/Sud che quest’anno registrano anche il doppio paradosso di un Mezzogiorno privo di posti in organico nonostante il maggior equilibrio tra cattedre e aspiranti docenti, e un Nord dove solo il 20% dei candidati supera concorsi che intellettuali, addetti ai lavori e molti partecipanti definiscono, nel migliore dei casi, poco adatti a valutare il merito.
Diverse le richieste (e le proteste) del mondo scuola: no al docente esperto, sì alla conferma dei docenti e Ata dell’organico Covid e all’integrazione delle graduatorie del concorso straordinario bis, con gli emendamenti al dl Aiuti Bis, in esame al Senato e atteso in aula il 6 settembre. In tema di organico, secondo i sindacati e le associazioni di settore – Anief, Cisl, Gilda, Uil e Anp – in cattedra mancherebbero circa 200mila docenti. Oltre a 500 presidi e 15mila tra personale amministrativo e collaboratori scolastici.
TEMPO INDETERMINATO: DOCENTI E PRESIDI
Secondo i dati del ministero dell’Istruzione sulla disponibilità di posti per le assunzioni a tempo indeterminato del personale docente per l’anno scolastico 2022/23, i posti da coprire sono in tutto 94.546 (di cui 30.349 di sostegno), che si riducono a 94.130 per effetto di 416 situazioni di esubero, da compensare con una corrispondente riduzione del numero di assunzioni. Gli esuberi riguardano esclusivamente i posti comuni, quasi tutti (391 su 416) della secondaria di II grado, e non quelli di sostegno. Nei 94.130 posti complessivi sono compresi anche i 14.420 posti comuni destinati per le procedure concorsuali straordinarie per docenti di scuola secondaria (art. 59 c. 9 bis del dl 73/2021), ma non vi rientrano i 12.840 posti già coperti dai docenti (in prevalenza di sostegno) assunti dalle GPS di I fascia nell’anno 2021/22, confermati in ruolo il 1° settembre avendo superato la prova disciplinare prevista a conclusione del loro primo anno di servizio.
Autorizzata anche l’assunzione di 317 dirigenti scolastici (oltre al trattenimento in servizio di 44 dirigenti scolastici, per complessive 361 unità a valere sui posti vacanti e disponibili). Un numero che, secondo la Flc Cgil, a fronte delle 545 assunzioni inizialmente previste, determinerebbe in 5 regioni meridionali – Puglia, Abruzzo, Campania, Calabria, Sicilia – la gravissima conseguenza dell’assenza di posti. In generale, sempre secondo la Flc Cgil, «a settembre la scuola riparte con 150mila supplenti in cattedra su un totale di 850mila, praticamente uno su cinque è precario. Ma la percentuale sale drammaticamente a due terzi nel sostegno, proprio dove ci sarebbe bisogno della continuità didattica».
PNRR E RECLUTAMENTO
Nonostante 4,6 miliardi di investimenti provenienti dal Pnrr da destinare ad asili nido e scuole dell’infanzia (il 55% nel Sud), il mondo della scuola lamenta però ancora troppe criticità, soprattutto sul fronte dell’immissione in ruolo dei precari: «Si spera di avere una consistente immissione di personale docente di ruolo – dice il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli – ma non si può negare che il numero totale dei precari è ancora molto consistente e lo sarà anche quest’anno. Eravamo arrivati a 250.000 su 800.000 docenti, possiamo arrivare quest’anno a 150.000, che è indubbiamente un passo avanti, ma questa rimane una criticità del sistema.
Servono riforme strutturali e permanenti. Finché non sarà rivisto il sistema di reclutamento, il problema non si risolverà». Il ritorno sui banchi, quindi, al netto delle regole anti-Covid e della didattica a distanza che sembrerebbe ormai archiviata, ripropone anche quest’anno il nodo degli organici. Che incrocia, comunque, anche quello della gestione sanitaria, visto che la questione del rapporto numerico alunni-insegnanti e delle “classi pollaio” soprattutto al Sud, al pari di quella degli spazi e della sicurezza ambientale e strutturale, condiziona in modo determinante la continuità o meno della didattica in presenza. Soprattutto alla luce delle regole allentate/annullate su mascherine, quarantena e obbligo vaccinale.
L’OFFERTA FORMATIVA
La disponibilità di personale scolastico si riflette oltretutto, ormai da anni, e ben prima dell’emergenza pandemica, sull’offerta formativa e sull’effettivo apprendimento da parte degli studenti, mettendo in rilievo, e da tempo, un dato tanto inequivocabile quanto odioso. La perdita, cioè, a carico degli alunni del Mezzogiorno, di un numero di ore di lezione pari a una anno scolastico, e questo durante la frequenza della scuola primaria. Lo scrive, appena un mese fa, Svimez, così come da anni lo ripetono Istat, Onu, Corte dei conti e lo stesso ministero dell’Istruzione. La colpa è degli spazi insufficienti, certo: ma la cronica carenza di personale scolastico e la mancata immissione in ruolo soprattutto nel Mezzogiorno fa il resto. A tal punto che il recupero al Sud delle 40 ore di tempo pieno effettive consentirebbe a molti docenti emigrati al Nord di fare ritorno nella regione di origine.
La mancanza di personale docente e Ata – al pari della carenza infrastrutturale di mense e palestre, a cui il Pnrr ha comunque dedicato una grossa fetta di investimenti – oltre a condizionare in negativo il dato formativo e occupazionale soprattutto femminile (più frequente al Sud la rinuncia al tempo pieno o allo stesso impiego da parte delle donne per problemi di gestione familiare e di figli in età scolare), ipoteca sin dalla prima infanzia, e ormai da decenni, il bagaglio culturale ma anche sociale e relazionale di bambini e ragazzi proprio nelle aree del Paese dove di scuole a tempo pieno ci sarebbe più bisogno.
E ciò alla luce dei dati sulla dispersione scolastica anche “implicita” (mancato apprendimento nonostante la frequenza) e del livello socio-economico delle famiglie. Parliamo del Sud, ma anche delle aree periferiche delle grandi città e delle aree interne, difficilmente raggiungibili dai servizi sanitari, di mobilità e, appunto, dell’istruzione. Non a caso, a ridosso dell’inizio del nuovo anno scolastico i sindacati continuano a indicare come ostacoli cronici al diritto allo studio sia il precariato – diffuso su tutto il territorio nazionale ma con i numeri più alti in questo momento soprattutto al Nord (su 210mila precari, c’è più personale a tempo determinato al Nord Ovest con il 33%, contro il 18% circa di Sud e Isole) – che le classi sovraffollate accolte in strutture fatiscenti, presenti invece in gran parte al Sud. E la doppia problematica di un Nord dove solo il 20% dei candidati ha superato il concorso e un Sud alle prese con la penuria di posti in organico.
«Il quarto anno scolastico dell’era Covid – sottolinea Rino Di Meglio, coordinatore Gilda – si apre con gli stessi problemi di sempre e con proposte ripetutamente inascoltate: il fenomeno del precariato è sempre fuori controllo, con difficoltà enormi, soprattutto al Nord, nel reperire i docenti necessari; stipendi ai minimi storici, con un tasso d’inflazione galoppante che renderà le buste paga ancora più leggere; incombenze burocratiche che sottraggono tempo prezioso all’attività didattica, unico vero compito che gli insegnanti dovrebbero assolvere; classi sovraffollate e strutture fatiscenti, soprattutto al Sud. Anche quest’anno le lezioni inizieranno all’insegna di molte cattedre scoperte e con un numero altissimo di precari. Inoltre, per alcune classi di concorso le graduatorie sono esaurite e trovare i docenti è un’impresa ardua”. Secondo la Cisl «le cattedre in alcuni casi verranno coperte per meno del 50% rispetto alle disponibilità offerte dal ministero dell’Economia e bisognerà ricorrere a contratti a tempo determinato».
Restano in primo piano anche i tagli agli organici Covid, che preoccupano da più parti. «Per due anni la scuola ha avuto un organico aggiuntivo, prima di 80mila persone tra docenti e Ata, poi di 40mila, invece quest’anno sembrerebbe che non ce ne sia bisogno, ma non è così» sottolinea Marcello Pacifico di Anief.
PRESIDI E TEMPO PIENO NEL MEZZOGIORNO
L’Associazione nazionale presidi denuncia anche la mancanza di dirigenti scolastici – 500 in tutta Italia – «i cui organici sono sottodimensionati per motivazioni economiche», mentre a mettere l’accento sulla questione Sud questa volta è la Uil. «Nonostante gli sforzi dell’ufficio scolastico regionale per garantire un ordinato avvio dell’anno scolastico – dice Gianni Verga, segretario generale della Uil Scuola della Puglia – 56 scuole in Puglia non potranno avere un preside titolare, pur essendovi tanti aspiranti in graduatoria, alcuni dei quali saranno costretti a fare le valigie per recarsi in altre regioni del Nord in cui il ministero ha deciso di assumere.
Ed è proprio nelle regioni del Sud, caratterizzate, come noto, da un alto tasso di dispersione scolastica, che il ministero ha pensato di non assumere dirigenti scolastici, eccezion fatta per la Basilicata, dove ne sono stati assunti 5, su 21 posti vacanti. Come sarà possibile affrontare il prossimo anno scolastico con 112 scuole gestite da dirigenti scolastici part time, che si divideranno tra una scuola e l’altra, e oltre 10mila docenti e Ata precari?». Riguardo il tempo pieno interviene anche la Flc Cgil Puglia, che ricorda lo stato complessivo del Mezzogiorno: «Dati ufficiali sul sito web del ministero ci informano che, anche per il prossimo anno scolastico, l’autorizzazione del tempo pieno nella scuola primaria in Puglia è limitato al solo 25,6% delle classi. Peggio della Puglia, complessivamente, fa solo la Sicilia, a fronte di una media nazionale del 47,2%, contro il 61,4% dell’Emilia Romagna, il 62,4% della Toscana e il 64,9% del Lazio. Va ricordato che il Pnrr stanzia 960 milioni di euro per estendere il tempo pieno e favorire l’apertura delle sedi scolastiche nel territorio anche oltre l’orario delle attività didattiche».
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