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Uno dei fattori principali di disuguaglianza sociale è l’accesso all’istruzione, un aspetto che più di altri tende a rendere maggiormente “ereditaria” la condizione socio-economica di partenza. C’è una sorta di collegamento tra la condizione educativa dei genitori e quella dei figli: nelle regioni in cui la quota di adulti con diploma è più bassa gli abbandoni scolastici precoci sono più frequenti, e viceversa. E questo si ripercuoterà poi a livello economico e sociale sui ragazzi.

Non a caso il Sud è l’area con il tasso più alto di abbandono scolastico, appena il 23,3% dei 18-24enni che hanno lasciato gli studi e la formazione prima del tempo è occupato. Un dato in calo di quasi 12 punti rispetto al 2008.

È questa la conclusione a cui arriva lo studio della fondazione Openpolis sulla povertà educativa e le sue conseguenze. La povertà educativa è la condizione per cui un bimbo o un adolescente si trova privato del diritto all’apprendimento in senso lato, dalle opportunità culturali ed educative al diritto al gioco. Povertà economica ed educativa si alimentano a vicenda.

IL REPORT

«Un’istruzione più equa è il primo strumento di giustizia sociale», sentenzia Openpolis. Il report trae spunto da una indagine Istat che stabilisce come un livello di istruzione più elevato si associ a un maggiore occupabilità e viceversa. In presenza di un titolo di studio terziario, ad esempio la laurea, il tasso di disoccupazione si attesta al 5,1% e quello di inattività al 14,8%. In mancanza del diploma, con un titolo di studio al massimo secondario inferiore, tali quote salgono rispettivamente all’11,9% e al 41,3%.

«Questa tendenza per la fascia tra 25 e 64 anni – si legge – è valida a maggior ragione per i più giovani. Ovvero per chi si affaccia oggi a un mercato del lavoro che richiede sempre più competenze. Specie dopo le crisi economiche che si sono susseguite negli ultimi decenni».

Lo dimostra il confronto tra i principali Paesi Ue dal 2008 a oggi. In media, tra i 27 Stati membri, la quota di occupati tra i giovani di 18-24 anni usciti precocemente dal sistema di istruzione e formazione è passata da 54,2% al 42,4%. In Italia il calo è stato ancora più netto. «Se nel 2008 – analizza Openpolis – oltre la metà dei giovani italiani che avevano abbandonato la scuola era comunque occupato (51%), nel 2020 questa percentuale è scesa a circa uno su 3 (33,2%)».

L’Italia è il Paese europeo dove, nel 2020, il tasso di occupazione risulta più basso per chi è uscito in anticipo dal sistema di istruzione. E al Sud il dato è ancora più accentuato. «Disaggregando questo dato per aree territoriali – scrive Openpolis – si nota come questa tendenza sia particolarmente impattante nell’Italia meridionale. Nel Mezzogiorno appena il 23,3% dei 18-24enni che hanno abbandonato la scuola e la formazione prima del tempo è occupato».

«Questi dati evidenziano – si legge – come l’accesso ai gradi più alti dell’istruzione sia la variabile cruciale per migliore la propria condizione socio-economica. Per questo spezzare il legame tra titolo di studio dei genitori e livello di istruzione dei figli è una sfida cruciale».

POVERTÀ EDUCATIVA “EREDITARIA”

Sì, perché è forte la correlazione tra basso titolo di studio dei genitori e rischio di abbandono precoce da parte dei figli. In media nei Paesi Ocse, nel 42% dei casi i figli di chi non ha il diploma non si diplomano a loro volta. Una quota che in Francia si attesta al 37% e in Germania scende al 32%, mentre in Italia raggiunge il 64%.

Nelle regioni in cui la quota di adulti con diploma è più bassa gli abbandoni scolastici precoci sono più frequenti. «Nel 2020 – evidenzia ancora Openpolis – la quota di persone tra 24 e 64 anni con almeno il diploma era più bassa del 60% in 5 regioni: Calabria (54,9%), Campania (54,1%), Sardegna (53,9%), Sicilia (53%) e Puglia (51,9%). Si tratta anche dei territori con gli abbandoni più elevati. Le uscite precoci dal sistema di istruzione e formazione dei residenti tra 18 e 24 anni si attestano infatti al 19,4% in Sicilia, al 17,3% in Campania, al 16,6% in Calabria, al 15,6% in Puglia. Al quinto posto la Sardegna, con una quota sensibilmente inferiore (12%, analoga a quella del Piemonte)».

I GAP TERRITORIALI

Al Sud, però, l’82% dei Comuni ha una spesa storica per l’istruzione che è nettamente inferiore rispetto a quella standard: vuol dire che i sindaci ricevono dallo Stato meno soldi di quelli che sarebbero realmente necessari per garantire un servizio che sia davvero degno di questo nome.

La situazione è diversa al Centro, dove oltre la metà degli enti, il 52%, registra una spesa storica superiore a quella standard e lo stesso vale per i comuni del Nord-Est (51%) e, in misura minore, per quelli del Nord-Ovest (45%). Se la Regione Lombardia può permettersi di impegnare, solamente nel 2019, 420 milioni per garantire il diritto allo studio dei suoi giovani, la Puglia – sfavorita da minori trasferimenti statali e da una ripartizione iniqua del fondo nazionale, basato ancora sulla spesa storica – per le sue scuole e le sue Università non può permettersi di andare oltre 32 milioni.


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