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Non siamo ancora all’attuazione dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, unica arma per poter superare l’iniquità nella distribuzione dei fondi statali, però nel settore del Welfare, grazie alla definizione degli obiettivi di servizio per i servizi sociali e per gli asili nido, finalmente il Sud inizia a recuperare una parte di quei soldi che prima prendevano la strada del Nord.
Con l’ultima legge di Bilancio sono state previste, per la prima volta, accanto agli obiettivi di servizio nell’ambito sociale e socio-educativo, anche risorse aggiuntive da versare ai comuni. Con un incremento del Fondo di solidarietà comunale (Fsc) che, a regime, varrà oltre 650 milioni di euro per lo sviluppo dei servizi sociali, nonché 300 milioni per il potenziamento degli asili nido, il Sud ha potuto beneficiare di maggiori risorse.
Per tutti i comuni la variazione del Fsc è stata positiva, tuttavia gli aumenti più rilevanti si registrino soprattutto nel Centro (+8%) e nel Mezzogiorno (+5,7%). Anche i comuni del Nord-Ovest e del Nord-Est registrano una crescita nella propria dotazione di Fsc ma più contenuta, rispettivamente +4,4% e +3,3%. Un primo passo verso la “normalità”.
A rilevarlo è uno studio effettuato dalla fondazione Openpolis e OpenCivitas, attraverso i dati Sose. «Non si tratta – si legge – ancora dei Lep previsti dalla Costituzione, ma il meccanismo è analogo. Rispetto a un indicatore, ad esempio il numero di posti nido per 100 bambini, vengono stabilite delle soglie obiettivo valide su tutto il territorio nazionale. In altri termini, un livello minimo virtuale che tutti i comuni dovrebbero raggiungere. La novità della legge di bilancio 2021 è stata prevedere – di fianco agli obiettivi di servizio nell’ambito sociale e socio-educativo – anche risorse aggiuntive da corrispondere ai comuni».
Confrontando le 10 maggiori città italiane nelle regioni a statuto ordinario, si osserva come gli importi pro capite del Fsc siano più elevati, sia per il 2020 che per il 2021, a Napoli (oltre 300 euro pro capite), Genova e Torino (entrambe al di sopra dei 200 euro pro capite). Tra 2020 e 2021 tutti i comuni, e quindi anche quelli più popolosi, hanno visto una variazione positiva del proprio Fsc.
«Tale crescita – è scritto ancora – supera il 20% nelle 2 città con il Fondo pro capite più basso: Tra il 2020 e 2021 Milano passa da 10,08 a 12,77 euro pro capite (+26,7%), mentre a Roma varia da 68,2 a 81,98 euro per abitante (+20%). In termini assoluti parliamo di una variazione del Fsc del 28% a Milano (da 13,9 a 17,8 milioni di euro) e del 19,4% a Roma (da 194,8 a 232,6 milioni di euro). L’incremento, sia pro capite che in termini assoluti, è superiore al 5% anche a Venezia (+9,82%), Bari (+6,26%) e Verona (+5,36%)». Certo, la strada è ancora lunga per eliminare le disparità ma è un primo passo in avanti.
Un po’ tutti i Comuni del Sud vedono crescere il loro finanziamento statale: ad esempio, Reggio Calabria passa da 26,2 a 28,7 milioni (+2,5); Caserta da 1,6 a 2 milioni; Matera da 7 a 7,5 milioni. Il salto di qualità definitivo lo si potrà avere solo con i Lep: «Se parliamo di servizi pubblici – scrive Openpolis – ridurre le disparità significa stabilire una soglia adeguata che deve essere presente in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, da Bolzano a Ragusa. Questa soglia, la cui definizione è attribuita dalla Costituzione allo Stato centrale, sono i Lep: i livelli essenziali delle prestazioni. Stabilire i Lep significa decidere, per ciascun servizio essenziale, un livello garantito e valido ovunque.
È uno dei passaggi previsti dal percorso di riforma del federalismo fiscale, ed è forse una delle questioni più complesse da affrontare. Il perché è abbastanza intuitivo. Se si decide che ogni ente locale deve offrire uno standard inderogabile per legge (ad esempio, un rapporto massimo tra il numero di alunni con disabilità e gli assistenti all’autonomia nelle scuole), poi lo Stato deve anche corrispondere le risorse necessarie. Soprattutto per i territori che non riuscirebbero da soli, con risorse proprie». Il gap da recuperare soprattutto sugli asili è importante: basti pensare che a fronte di un Centro-Nord che con 32 posti negli asili nido ogni 100 bambini ha quasi raggiunto l’obiettivo europeo del 33% e dove in media 2/3 dei comuni offrono il servizio, nel Mezzogiorno i posti ogni 100 bambini sono solamente 13,5 e il servizio è garantito in meno della metà dei centri (47,6%). La differenza tra le due aree è di 18,5 punti.
A Bolzano vi sono quasi 7 posti ogni 10 bambini, mentre a Catania e Crotone quasi 5 non su 10 ma su 100 bambini. Forte anche la differenza tra comuni polo e quelli periferici e ultraperiferici (13,8 punti). La media italiana è del 25,5%. È ancora forte la disparità tra Nord e Sud in materia di asili nido, una sperequazione figlia dell’iniqua ripartizione delle risorse statali tra i Comuni italiani. Non a caso, ai primi posti si collocano Valle d’Aosta (45,7%, cioè quasi 1 posto nei servizi socio-educativi per la prima infanzia ogni 2 bimbi residenti), Umbria (42,7%), Emilia Romagna (39,2%) e Toscana (36,2%). Al Sud, ad eccezione della Sardegna che supera la media nazionale (29,3%), vanno oltre la soglia del 20% (ovvero più di un posto ogni 5 bambini) Abruzzo e Molise, mentre Puglia e Basilicata si attestano poco sotto il 17% e con maggiore distanza si collocano Campania (11%), Sicilia (10%) e Calabria (9,4%).
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