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Partire da istruzione e ricerca per avviare il lavoro di governance sul Pnrr è una scelta chiara verso il voler ricostruire dalle fondamenta il futuro del Paese. Ma è anche la scelta di ricostruire un Paese realmente unitario, in grado di superare uno dei maggiori e più dannosi divari tra Mezzogiorno e regioni del Nord come è quello formativo.
E se l’abbattimento delle diseguaglianze territoriali risulta un obiettivo stabilmente acquisito nell’azione di questo governo, è bene tenere conto che le disparità regionali di accesso ai servizi abbiano rappresentato per decenni qualcosa di più di una scelta episodica, divenendo invece il comune denominatore politico e amministrativo, un “metodo di lavoro” (e di riparto delle risorse) ben consolidato. Che al Sud ha prodotto percentuali anche doppie che nel resto del Paese di dispersione scolastica, edifici e palestre fatiscenti e igienicamente a rischio, asili nido e mense inadeguati, classi pollaio e personale e ore di lezione insufficienti.
La semplificazione stessa degli iter dei singoli progetti, annunciata dal premier, è tema preliminare nel Mezzogiorno, se si pensa a quante delle risorse messe a disposizione siano rimaste inutilizzate per incapacità amministrative – colpevoli o meno – o per mancanza di fondi strumentali e di personale adeguatamente formato, necessari alla partecipazione stessa a un bando di gara o alla fase realizzativa di un progetto già finanziato, come è stato in molti casi per l’adeguamento sismico degli edifici scolastici.
Proprio sulla sicurezza del patrimonio scolastico si gioca in Italia – ma soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno ad alto ed altissimo rischio sismico – una partita cruciale.
Garantire scuole sicure è l’investimento di partenza per restituire dignità ai cittadini più giovani indipendentemente dal loro luogo di nascita o di residenza. La base, diremmo. E invece se in Italia oltre la metà delle scuole non ha la certificazione di sicurezza, in Calabria solo il 21% degli edifici scolastici è in possesso dell’agibilità sismica e in Campania il 33%, contro percentuali superiori al 50% in tutto il Nord. Stesso gap regionale anche per le strutture che ospitano gli asili nido, che da indagini a campione risultano certificati al 100% in regioni come il Friuli, ma solo al 25% in Calabria.
Proprio l’offerta per asili nido e scuole dell’infanzia dovrà riequilibrare la grande diseguaglianza tra regioni, che – insieme al malfunzionamento delle mense e del tempo pieno – ha finito per penalizzare al Sud non solo la crescita dei più piccoli, ma anche il lavoro femminile e giovanile. Il raggiungimento della soglia europea del 33% di copertura regionale dei posti disponibili al Nord marca il grave squilibrio con le regioni del Sud, secondo l’Istat ferme al 15% circa.
Anche gli stanziamenti sulla nuova didattica e sulla formazione dovranno tenere conto delle disparità geografiche e di quanto è emerso sotto pandemia, tra mancanza di docenti, rapporto inadeguato tra studenti e docenti e infrastrutture materiali ed immateriali carenti. E’ dal Sud che partono per il Nord o per l’Europa i migliori informatici italiani, ma è qui che gli ultimi dati Istat parlano di un’esclusione digitale del 20% (contro il 12% della media nazionale) di giovani e giovanissimi tra 6 e 17 anni, che non hanno un computer o un tablet. E in molti centri, nemmeno la connessione. In pratica, 470mila studenti esclusi di fatto dalle lezioni sotto pandemia, contro gli 850mila distribuiti su tutto il territorio nazionale.
Ed è sempre al Sud che i buchi in organico si sono fatti fino ad oggi sentire maggiormente, provocando la drastica diminuzione del tempo pieno (sommando le ore, un anno in meno di scuola nell’intero percorso formativo) e aule sovraffollate. Ed è in queste regioni che il precariato della classe docente equivale alla metà, rispetto al Nord, di insegnanti contrattualizzati a tempo indeterminato. La riforma degli istituti tecnici e professionali, che secondo il Ministro Bianchi deve partire dalle scuole medie, dovrà tenere conto anche dell’Italia divisa in due che emerge dai risultati Invalsi. Le materie scientifiche e l’inglese, secondo l’ultima verifica disponibile, sono quelle che allontanano maggiormente il Sud dal resto del Paese e che qui crescono con l’avanzare del grado di scuola frequentata.
Il mondo della ricerca, infine. Sul quale – ha riconosciuto il premier Draghi, con riferimento alle parole del premio Nobel Parisi – in Italia si è investito di gran lunga meno rispetto a quello di Paesi intorno a noi. Ma che paga da anni l’ennesimo divario Nord/Sud, dal fronte ricercatori (dal 2015 al 2019, rispetto al reclutamento in Italia di 2,12 ricercatori a tempo determinato ogni diecimila abitanti, gli Atenei calabresi si fermano a 0,91, nonostante una qualità di ricerca superiore) a quello del numero degli iscritti, per i quali il Mezzogiorno, a differenza del Nord, è ancora lontano dai valori pre-crisi 2008, registrando 12.000 immatricolati in meno rispetto a vent’anni fa, contro l’incremento del Centro-Nord di 30.000 immatricolati (Svimez 2020).
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