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Banchi high-tech, distanziamenti, mascherine, orari scaglionati. Nel pieno del dibattito sul ritorno in classe che impegna la ministra Azzolina ed il mondo della scuola, arrivano i numeri Istat, impietosi come sempre e come sempre impietosi riguardo il Mezzogiorno, meno istruito e con meno possibilità occupazionali del Nord.
Insomma, sulle questioni post Covid di spazi, organico e trasporti – a cui secondo la ministra si lavorerebbe giorno e notte per il “rientro certo” del 14 settembre ed il traguardo di quasi 3 miliardi di fondi – si abbattono le cifre di sempre. Quelle per le quali vale la pena sospendere per un attimo la discussione tra metro statico e metro dinamico e tornare sul disastro cronico dell’edilizia scolastica, dell’igiene e della sicurezza, della dispersione, della mancata digitalizzazione, delle classi pollaio, del numero insufficiente di insegnanti e Ata, delle mense e del tempo pieno. Disastro che in Italia, soprattutto al Sud, non poteva che condurre sin qui.

ITALIA “BOCCIATA” SULL’ISTRUZIONE

Il Report dell’Istat sui livelli di istruzione e ritorni occupazionali parla chiaro e se fotografa gli italiani ultimi in Europa per livelli di istruzione (dietro di noi solo Spagna, Malta e Portogallo), certifica un Mezzogiorno in cui la popolazione residente è meno istruita di quella delle regioni del Centro-Nord.

In generale, nel nostro Paese la quota di popolazione tra i 25 e i 64 anni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore è del 62,2% (+0,5 punti rispetto al 2018), un valore decisamente inferiore a quello medio europeo (78,7% nell’Ue28) e a quello di alcuni tra i più grandi Paesi dell’Unione: 86,6% in Germania, 80,4% in Francia e 81,1% nel Regno Unito.

Peggio al Sud, dove poco più della metà degli adulti ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore e nemmeno uno su sei ha raggiunto un titolo terziario, mentre al Centro sono oltre i due terzi quelli che hanno almeno un diploma e quasi uno su quattro ha conseguito la laurea.

LA DISPERSIONE SCOLASTICA

Un dato che non dovrebbe sorprendere la nostra politica, viste le percentuali registrate proprio dal Miur sui tassi di abbandono e dispersione scolastica, molto diversi tra Nord e Sud; tassi che sempre il Ministero, nell’aprile 2019, ha messo in relazione «con gli aspetti di natura economico-sociale del territorio e dell’ambiente di origine degli alunni» e con le variabili tratti dai dati BES (Benessere Equo e Sostenibile) proprio dell’Istat, relativi a povertà e redditi familiari. Il risultato? Per la scuola secondaria di I grado, il Mezzogiorno registra una percentuale di abbandono complessivo medio dello 0,84%, con il Nord Ovest allo 0,64% e il Nord Est lo 0,47%. Mentre per la scuola secondaria di II grado, il Sud raggiunge la percentuale di abbandono complessivo più elevata, pari al 4,7% per le regioni insulari e al 3,9% per quelle del Sud, con Sardegna, Sicilia e Campania al 5,3%, 4,5% e 4,4% ma Veneto sotto il 3%.

IL DIVARIO NORD-SUD

Sempre secondo il Rapporto Istat, nel Mezzogiorno i bassi livelli di istruzione corrispondono ad altrettanti bassi livelli di occupazione. Se al Sud il 54% dei residenti possiede almeno un diploma – contro il 65,7% nel Nord – i tassi di occupazione delle persone più istruite restano molto diversi: il 71,2% tra i laureati del Sud, a fronte di un 86,4% nel Nord. Oltretutto il divario territoriale nei tassi di occupazione dei laureati è più ampio tra i giovani e raggiunge i 24,9 punti.

E ciò anche se i giovani sono più istruiti del resto della popolazione, visto che nel 2019 oltre i tre quarti (76,2%) dei 25-34enni ha almeno il diploma di scuola secondaria superiore, a fronte di appena la metà (50,3%) dei 55-64enni, del 57,7% dei 45-54enni e del 68,3% dei 35-44enni. Anche in questo caso, però, lo svantaggio dell’Italia rispetto al resto dell’Europa resta marcato. Nel 2019, infatti i nostri laureati non crescono (27,6%; -0,2 punti rispetto al 2018) mentre l’Unione europea, la Francia, la Spagna e il Regno Unito – già oltre l’obiettivo strategico del 40% – registrano ulteriori aumenti (+0,9, +1,3, +2,3 e +1,2 punti). L’Italia resta dunque al penultimo posto nell’Ue, e molto isolata, seconda solo alla Romania. Raggiungendo anche il primato per i giovani non occupati e non in formazione, il 22,2% (2 milioni di giovani): la quota di Neet più elevata dell’Unione, 10 punti sopra il valore medio Ue28 (12,5%).

Le diseguaglianze territoriali nei livelli di istruzione permangono poi indipendentemente dal genere. Ed anche in presenza di percentuali più incoraggianti al Sud, le cifre assolute si scontrano con le condizioni peggiori del mondo del lavoro.

IL MERCATO DEL LAVORO

Se infatti i vantaggi occupazionali dell’istruzione sembrerebbero maggiori rispetto al Centro-Nord – visto che le donne residenti nel Mezzogiorno che raggiungono un titolo terziario aumentano di molto la loro partecipazione al mercato del lavoro e riducono il divario con gli uomini e con le donne del Centro-Nord – i tassi di occupazione nel Mezzogiorno restano molto più bassi che nel resto del Paese e quelli di disoccupazione molto più alti, anche tra chi ha un titolo di studio elevato.

È evidente che gli scenari post Covid sulla ripresa e la riorganizzazione scolastica non possano fermarsi al dopo pandemia. Fase che di per sé non tranquillizza comunque docenti, presidi, famiglie e sindacati, tutti poco convinti che banchi singoli e didattica a distanza risolvano tutte le emergenze, vecchie e nuove. Al contrario, secondo lo storico Lucio Villari, «per l’istruzione servirebbe un piano Marshall”, approfittando di due elementi, «l’epidemia Covid e la maggiore integrazione europea».


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