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Questa è la storia di due milioni di mascherine partite dalla Cina e sbarcate in Italia. Importate con false dichiarazioni, destinate ad una società coinvolta nell’inchiesta giudiziaria sull’“accaparramento”. Sarebbero finite agli sciacalli del Coronavirus, agli speculatori che cavalcano l’onda dell’emergenza per ricavarne maggiori guadagni ma le Fiamme gialle le hanno sequestrate a Malpensa. Il commissario Arcuri vorrebbe ora riconsegnarle alla Sir Safety system, l’azienda umbra che ne ha fatto un business, stabilendo proprio in questi giorni primati di vendita. L’Agenzia delle Dogane chiede un apposito provvedimento. Lo prevede la legge. E le mascherine, oggetto del tira e molla, restano in aeroporto.

IL RIFIUTO E LE DOMANDE

Dopo lo sdoganamento e il sequestro, la procedura – proprio in base all’ordinanza emanata dallo stesso Arcuri – prevedeva che venissero distribuite alla Protezione civile che però le ha rifiutate.
Perché Arcuri ne chiede il dissequestro se, come sembra, sono arrivate in Italia illecitamente? E ancora: perché il suo collega Angelo Borrelli non le ha volute? Non sono a norma? E se è così perché ridarle alla Sir Safety di Gino Sirci, patron della Sir system volley di Perugia, che voleva importarle per darle non si sa bene a chi?

La storia va raccontata dall’inizio. Siamo ai primi di aprile, in piena emergenza. Gli italiani hanno esposto il tricolore alle finestre ma hanno già smesso di cantare sui balconi e scambiarsi saluti sui ballatoi. In tivvù imperversano i virologi, c’è chi sconsiglia le mascherine.  Beato chi le trova, comunque. In alcune Rsa si combatte a mani nude, senza dispositivi di protezione. Al Pio Albergo Trivulzio i contagi si moltiplicano, a Bergamo sfilano le bare.   

In tutta Europa si scatena la caccia alle mascherine. Il 28 marzo il commissario Arcuri, con l’ordinanza numero 6, nomina l’Agenzia delle dogane soggetto attuatore. Dovrà occuparsi di tutte le procedure dirette o indirette per accelerare lo sdoganamento dei “dispositivi idonei al contrasto del Codiv-19”. L’articolo 2 elenca i possibili destinatari: Regioni, Provincie autonome, enti pubblici, ospedali, strutture accreditate, servizi essenziali. I dispositivi inviati a soggetti diversi dovranno essere sequestrati. Arcuri ordina. I finanzieri eseguono. Per dare una ulteriore accelerazione, qualche giorno dopo, il 4 aprile, l’ex ceo di Invitalia invia una ulteriore precisazione: basterà una autocertificazione, salvo controlli a posteriori. Quello che i doganieri fanno. Scoprono così che quei 2 milioni di mascherine non sono dirette a  nessuno dei destinatari previsti dall’ordinanza 6/2020 e le mettono sotto sequestro.   

SEQUESTRO ANTIFRODE

Ricapitoliamo. Il percorso è uno solo ma non tutte le mascherine sono uguali. Ci sono quelle non conformi alle direttive Ue, quelle che arrivano su canali legali per medici e infermieri con procedure d’urgenza. E ci sono quelle sequestrate che vanno messe a disposizione della Protezione civile. E quelle della Sir che però non le vuole nessuno.  Fino a quando Domenico Arcuri prende carta e penna e scrive al direttore generale dell’agenzia delle dogane Minenna una lettera, protocollo n° 189, dell’8 aprile: «Caro Marcello, in base alle segnalazioni ricevute dalla società Sir Safety system, chiedo di non procedere ad alcuna requisizione in qualità di soggetto attuatore tramite i suoi funzionari all’uopo delegati dei seguenti beni mobili: mascherine chirurgiche».

La merce sequestrata è stata nel frattempo messa a disposizione del Dipartimento della Protezione civile. In teoria potrebbe non trovarsi più a Malpensa. L’Agenzia delle Dogane in data 9 aprile, cioè a stretto giro, il giorno dopo, risponde. E informa il commissario qualora non fosse chiaro che i doganieri «rilevato criticità in relazione ai criteri antifrode». E che la Sir Safety ha rilasciato «dichiarazioni non veritiere o contradditorie, che potrebbero essere indice rivelatori di intenti speculativi o di accaparramento».  Testuale.

Dunque. La merce è stata requisita su richiesta del commissario, il quale però ci ha ripensato e ora vorrebbe consegnarla all’azienda umbra. Cosa che l’Agenzia di via della Luce potrebbe fare, se almeno l’azienda producesse i modelli «comprovanti l’effettiva destinazione in favore dei soggetti previsti dall’ordinanza». Non c’è solo la merce sequestrata a Malpensa. Nel frattempo, nei magazzini dell’azienda, a Perugia, vengono messi i sigilli ad un altro quantitativo non precisato di mascherine. Arcuri chiede di essere messo al corrente. Vuole sapere se c’è un coinvolgimento dell’Autorità giudiziaria. La situazione non si sblocca. Finché il 14 aprile Minenna scrive di nuovo ad Arcuri: «In seguito alla richieste di essere notiziato su detta vicenda, devo significare che i funzionari doganali, nelle esercizio delle loro funzioni, sono ufficiali di polizia giudiziaria e tributaria, e pertanto laddove ravvisino violazioni delle norme penali ne devono fare comunicazione alla competente Procura della Repubblica, rimanendo tenuti al segreto investigativo». Chiaro?

Commissario dotato di superpoteri, Arcuri. Manager svezzato nell’Iri, cresciuto alla scuola ex Gepi, ben accetto nelle Fondazioni, socio di Civita. E uomo anti-Covid, certo. Ma non per questo in grado di bypassare le leggi. Chi ha osato interferire? Chi ha l’insolente pretesa di mettersi tra il punto A e il punto B. Tra Arcuri e la Sir Safety system?

Sia Domenico Arcuri che Gino Sirci, un imprenditore che si è fatto da solo, una ditta individuale e l’aiuto del fratello Francesco, sono ben introdotti in Confindustria. La Sir Safety, fondata negli anni Settanta, con sede ad Assisi, entrò proprio grazie all’assist di viale dell’Astronomia, nella “Elite” delle prime 21 imprese di Borsa italiana, un aggregato da 3 miliardi di euro e 11 mila dipendenti operativi in 8 diverse regioni in diversi settori industriali. Il core business resta l’abbigliamento da lavoro, l’antinfortunistica, i dispositivi di protezione, occhiali, guanti, mascherine. Nel marzo scorso, con il contagio allo zenit, gli ordinativi raggiungono la cifra record di 250 mila al giorno; arrivano richieste da tutta Italia; finiscono le riserve e in Europa si sono chiusi i rubinetti.

IL PRECEDENTE DEI VENTILATORI

Ma torniamo ad Arcuri, il manager che promette mascherine (introvabili) a 50 centesimi, preso dai media, difeso a spada tratta dal premier Conte. Il commissario per il potenziamento delle strutture ospedaliere, calabrese, originario di Melito da Porto Salvo, era già inciampato in un incidente molto simile. Sempre nei primi giorni di aprile ha scritto un’analoga lettera all’Agenzia delle dogane.

Chiede il dissequestro di merce a esportata dal nostro Paese della Medtronic, un’azienda americana, leader nel mondo per le tecnologie medicali. Si realizzano in particolare ventilatori polmonari. Oro allo stato puro vista la fame di ossigeno che si respira in Lombardia. La Medtronic, che ha la sede degli uffici a Milano e una delle sue fabbriche a Mirandola (Modena) cerca proprio nel periodo più critico, quello di massima diffusione del virus di far uscire dall’Italia i suoi prodotti. Il numero ridotte di terapie intensive impone però il divieto di esportazione. Un primo carico in partenza dall’aeroporto di Bologna alla volta del Sudafrica viene sequestrato dagli uomini della dogana, sequestro e convalidato dal Gip.

Altri 50 mila pezzi in partenza da Genova e destinati in Australia vengono intercettati, sequestrati e distribuiti negli ospedali prima che possano essere dissequestrati.  “Lui”,  Arcuri,  anche allora aveva avviato infatti una corrispondenza con Minenna, chiedendo «per indifferibili e superiori interessi nazionali» di non procedere «ad alcuna requisizione pro-futuro di merce importata ed esportata in nome e per conto della società Medtronic, nonché sbloccare al più presto eventuali operazioni attualmente in corso e non ancora comunicatemi». La missiva finì ad una giornalista di Report, (Raitre): durante una conferenza stampa ne chiese conto ad Arcuri.

«Dovevamo sincerarci prima di farli partire di avere in Italia scorte sufficienti», rispose, preso alla sprovvista, il commissario. Si, ma anche “per il futuro”? obiettò la collega. Arcuri  girò i tacchi, buttò lì in modo un po’ goffo qualche battuta sulla Roma e sulla Lazio, cercò di minimizzare e se ne andò. Di lì a poco una circolare avrebbe stabilito che dall’Italia potevano uscire solo le componenti ma non i ventilatori.
Bastava smontarli alla partenza e rimontarli all’arrivo per aggirare il divieto.  Più avanti sarebbe arrivato il via libera e un terzo carico di dispositivi Medtronic avrebbe lasciato Genova per l’Australia con il nulla osta del nostro ministero della Sanità.  Con tanti saluti dall’Italia. 


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