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I privati possono apportare un contributo nell’apparato preventivo per scongiurare infiltrazioni mafiose nei fondi del Pnrr. Un rischio che è più alto al Nord, perché là c’è più polpa da succhiare. Ne è certo Edoardo Fiora, direttore della società di risk advisory K2 Integrity. Per favorire il dialogo tra pubblico e privato la società ha organizzato un convegno su “Criminalità e Corruzione: una strategia per il Pnrr”, introdotto dal sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro.

«Da almeno quattro anni ascoltiamo intercettazioni in cui i mafiosi ragionano su come mettere le mani sui fondi del Pnrr», aveva detto, del resto, il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, intervenendo a Lauro, nel corso di un convegno su Pnrr ed emergenza mafie moderato dal direttore del Quotidiano del Sud Roberto Napoletano. L’allarme infiltrazioni mafiose sui fondi del Pnrr viene lanciato anche dalla Dia che nell’ultima relazione semestrale parla di «indubbia capacità attrattiva» che rivestono per le mafie le risorse per la ripresa.

Al convegno di Roma con la società di risk advisory K2 Integrity si è discusso della necessità di prevenire il rischio infiltrazioni della criminalità organizzata ma anche di misure per contrastare le attività corruttive. Quali strategie sono necessarie?

«La risposta non è certamente univoca, e merita di essere discussa in maniera ragionevole, e ragionata. Partiamo dunque da un semplice rilievo, viziato se vogliamo dalla nostra esperienza extra-Italiana. Le tanto criticate autorità e polizie giudiziarie Italiane possono in realtà considerarsi tra le prime per efficienza a livello globale, ma peccano in disponibilità materiali ed economiche, e finché il paese rimarrà in attesa di correzioni del proprio sistema giudiziario, qualsiasi “strategia” potrà semplicemente tamponare il rischio corruttivo, e non risolverlo. Come si direbbe oltremanica, si può dunque auspicare una strategia volta a “bridge the gap,” ovvero una strategia ponte. Tuttavia, se si considerano i tempi ristretti a disposizione dell’esecutivo, la scelta di strategia “ponte” potrebbe essere obbligata (e ancora di ispirazione anglosassone). Si potrebbe infatti rivelare necessaria una strategia volta all’espansione del partenariato pubblico privato in materia di prevenzione, che spesso in passato ci ha visti coinvolti in prima persona. Tale strategia comporterebbe ovviamente una spesa a monte per l’esecutivo, il cui costo sarebbe in realtà nullo, in quanto inferiore al danno provocato dalla mancata prevenzione del rischio corruttivo, e ai conseguenti costi procedurali e legali del processo di rimedio. Nel facilitare il dialogo tra pubblico e privato, questo tipo di strategia agevolerebbe il processo di “offloading” di attività critiche, ad esempio di natura preventiva, che a causa dei già citati vincoli materiali potrebbero venire liquidate frettolosamente, o essere ignorate. Nel caso del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, o Pnrr, il “ponte” permetterebbe all’esecutivo di spartire con un terzo il significativo onere gestionale relativo alle risorse destinate o già allocate al paese, e nella pratica di aggiungere frecce “private” alla “pubblica” faretra destinata ai bersagli corruzione e infiltrazione.  Un primo risvolto di una tale strategia potrebbe ad esempio consistere nel delegare la costruzione di un framework di “due diligence e risk assesment” atto alla protezione degli investimenti più onerosi, e destinato quindi a identificare (prima che insorgano problematiche corruttive) progetti e investimenti da indagare ai fini di tutela. Tale risposta sarebbe di per sé da considerarsi un investimento per l’esecutivo, poiché il suo costo sarebbe verosimilmente assorbito dal ritorno da essa generato, in termini di costi legali e danni economici evitati».

L’ultimo campanello d’allarme viene dalla cronaca recente. Un’interdittiva antimafia è stata adottata dalla Prefettura di Padova nei confronti di un’impresa edile impegnata in un subappalto del nuovo padiglione della Pediatria della città veneta, perché ritenuta contigua alla super cosca della ‘ndrangheta Grande Aracri di Cutro. Proprio i lavori di costruzione del nuovo padiglione pediatrico dell’Azienda ospedaliera universitaria rientrano tra i progetti che hanno ottenuto i finanziamenti del Pnrr. I subappalti, del resto, sono la zona più sensibile, quella in cui si annidano i rischi di infiltrazione delle mafie, perché più difficili da monitorare e spesso utilizzati per favorire i cartelli illeciti…

«Sì, concordiamo. Lo storico delle nostre consulenze ci ricorda che le procedure di appalto e subappalto sono sensibili e soggette ai rischi di infiltrazione e corruzione, così in Italia e in Europa come in altre regioni del mondo. Ne sono certamente al corrente i principali investitori esteri, che ormai d’abitudine delegano il “côté” reputazionale del processo di due diligence propedeutico a operazioni di M&A a società come K2 Integrity, i cui compiti comprendono il riconoscimento e la valutazione di eventuali irregolarità in relazione agli appalti e subappalti partecipati o vinti da un target. Anche in questo contesto, ovviamente, un maggior apporto “privato” all’apparato preventivo “pubblico” porterebbe a una ridotta incidenza di illeciti, corruzione, e infiltrazioni. Non esistendo (tuttavia) una tale struttura, l’onere preventivo “evade” le autorità e ricade in parte, o in toto, sulla fetta di mercato che investe per tutelarsi, per scelta propria o in seguito a istruzioni dettate da norme nazionali e comunitarie. Capita dunque che un “privato” necessiti di supporto “privato” al fine di tutelarsi dai rischi che si celano dietro le procedure di appalto, o subappalto. Ad esempio, per conto di un cliente internazionale, abbiamo recentemente condotto uno studio delle operazioni e del management di una grande società Italiana, attiva nel settore della sanità nel sud del paese. Le nostre risultanze hanno evidenziato uno stretto legame tra la criminalità organizzata locale e uno dei fondatori della società, che abbiamo scoperto essere rimasto proprietario di quote societarie per il tramite di società intestate a prestanome e familiari, e aver contribuito negli anni a manipolare gare di appalto partecipate dalla società. Il nostro cliente ha dunque ristrutturato il target della propria acquisizione, escludendo il soggetto in questione dall’operazione».

Tra le misure di cui l’ex premier Draghi ha sottolineato l’importanza in occasione del trentennale della Dia c’era quella di un’attuazione “in sicurezza” del Pnrr che introduceva un nuovo “modello collaborativo” con il mondo imprenditoriale. La cosiddetta “prevenzione collaborativa” che mira a rafforzare il sistema dei controlli senza creare ostacoli alle imprese e senza ricorrere all’interdittiva laddove i tentativi di infiltrazione mafiosa siano riconducibili ad agevolazione occasionale. Cosa ne pensa?

«La prevenzione collaborativa è certamente un prospetto interessante, e un’ulteriore dimensione del dialogo tra pubblico e privato a cui si faceva riferimento prima. Il paese necessita di procedure snelle e intuitive, che aiutino la classe imprenditoriale a crescere e investire, e questo modello collaborativo potrebbe certamente essere di aiuto. Deve infatti essere obbiettivo comune l’adozione di un sistema di controlli che non ostacoli le imprese, e che (anzi) le incoraggi a credere nel paese, e nei territori storicamente meno attenzionati dallo sviluppo economico dello stesso. Inviterei tuttavia alla cautela prima di ipotizzare modifiche al regime delle interdittive, che credo possa essere considerato uno strumento utile e comprovato nella lotta alle attività corruttive nel nostro paese».

È la Lombardia la seconda regione di ‘ndrangheta in Italia. La ‘ndrangheta che oggi è considerata la più potente delle mafie italiane. È nel Nord Italia che boss e gregari emigrati dalla Calabria e i loro imprenditori di riferimento stanno costruendo fortune. È là che si concentra il grosso del fatturato delle ‘ndrine. Il rischio di infiltrazioni mafiose sui fondi Pnrr è maggiore nelle aree più produttive del Paese?

«Le mafie italiane concentrano certamente una parte importante dei propri investimenti e risorse nel nord Italia, e continueranno senza dubbio a infiltrare aree attive e attrattive dal punto di vista economico, prime tra tutte la Lombardia e il Veneto. Occorre tuttavia ricordare che queste aree eccellono spesso per capacità supervisorie, e sono meno soggette a infiltrazioni sul piano amministrativo e delle istituzioni. In ottica Pnrr, quindi, operare al “nord” non sarà semplice, ma è (in prospettiva) una scelta che può garantire maggiore remuneratività rispetto al meridione. Ciò detto, occorre considerare il fatto che i mafiosi “odierni” non sono più (solamente) criminali e aguzzini. Le “nuove” generazioni di ‘ndrangheta, camorra, e mafia comprendono giovani ben educati, spesso al nord (la mancata risoluzione della questione meridionale non può fare altro che alimentare il fenomeno migratorio), e professionisti affermati nei campi dell’economia e della legge. Tale sviluppo ha permesso alle mafie Italiane di aumentare le proprie capacità di scambio e relazione con i settori tecnici e della finanza, trainanti nel nord del paese, e con la massoneria. Se si concede, quindi, che il rischio di infiltrazione sia difficile da stimare al nord, occorre al contempo accettare che il recente sviluppo delle mafie ne abbia moltiplicato le capacità di penetrazione, e dunque che il rischio di infiltrazione sia ormai proporzionale al vigore del mercato di riferimento. Ne consegue che non si possa più sottovalutare il rischio di corruzione e infiltrazione al nord, o in contesti “lontani” dalle più tradizionali e stereotipiche regioni del meridione. Sarebbe quindi logico aspettarsi tentativi di infiltrazione sui fondi Pnrr a settentrione, dove le ingerenze di natura economica sono importanti, seppure meno comuni. Citiamo un esempio recente. Per conto di una multinazionale europea, abbiamo indagato il processo di aggiudicazione di un appalto a una società partecipata dal nostro cliente in una regione del nord, interessata anche da un’indagine della polizia tributaria italiana. Le informazioni raccolte durante il nostro mandato ci hanno permesso di ottenere evidenze di attività illecite perpetrate da parte di uno dei direttori della società partecipata, reo di avere manipolato i documenti dell’appalto in questione. Il nostro cliente ha sviluppato un piano di rimedio sulla base delle nostre risultanze».


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Stefano Mandarano

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