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Pistole e altre armi. Sostanze stupefacenti e altre branche dei mercati illegali. Detenzioni e contesti connessi direttamente alla criminalità organizzata e al suo operato sul territorio. È quanto emerso dall’inchiesta di Palmi, in provincia di Reggio Calabria, avviata nel 2021 e conclusasi la scorsa settimana con l’arresto di 11 persone, accusate di traffico di droga, armi e di atti intimidatori. 

Il lato più drammatico dell’ordinanza, firmata dal gip Francesca Mirabelli, è che il mandato è stato destinato a un gruppo di giovani, ritenuti una baby-gang nata sullo stampo dei modelli delle organizzazioni criminali. E, come tali, avrebbero agito in qui. «Un gruppo di giovani» che, per i magistrati, sarebbe «una vera e propria giovane leva della criminalità locale». Un’inchiesta andata avanti per due anni e che, ancora una volta, chiama in causa la società stimolando uno dei suoi nervi più scoperti.

Il riverbero del tessuto criminale dal suo interno, la produzione di una generazione non in grado, per volontà indotta o per le conseguenze di una dottrina perversa, di discernere tra il giusto e la via della violenza. Del resto, non è un mistero che le mafie, così come tutte le organizzazioni criminali, traggano il proprio nutrimento circoscrivendo i territori d’azione, sottraendo ai più giovani la speranza per il futuro, rendendo la sub-cultura criminale l’unica, seppur apparente, strada per l’emancipazione sociale.

Una problematica che, chiaramente, non riguarda solo la Calabria. Il Mezzogiorno italiano, nonostante il cambiamento sociale non abbia mancato di coinvolgere anche i ragazzi che lo abitano, soffre ancora della prossimità territoriale all’operato delle organizzazioni mafiose. E che, di rimando, vede il ristagnamento della cultura deviante agire in modo costante, seppure non sempre apparente. Nel corso della sua visita a Casal di Principe, nella Giornata della memoria per le vittime di mafia del 21 marzo scorso, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha invitato i giovani studenti a «rifiutare, fin dai banchi di scuola, la sopraffazione, la violenza, la prepotenza, il bullismo, che sono un brodo di coltura della mentalità mafiosa», esortandoli a ricordare il loro “ruolo” di «generazione della speranza». Perché, in fondo, tutto parte dalla consapevolezza di essere noi stessi operatori di una scelta.

La quale, naturalmente, inizia dal prendere coscienza di come violenza e sopraffazione altro non siano che orme di lesione del tessuto sociale. E, come tali, contrastabili attraverso la scelta della legalità. Compito della società, in questo senso, è aiutare le generazioni del domani a cogliere anche nei contesti più difficili delle occasioni di rinascita sociale. Non sempre semplice, specie nelle periferie e nei contesti urbani vittime di degrado, ma necessario per porre un primo argine all’operato della criminalità. E, di conseguenza, al primo catino di manovalanza al quale essa attinge.

Una battaglia quotidiana, condotta tanto dalle famiglie quanto dalle realtà che operano sui territori, producendo esempi virtuosi che, attraverso attività ricreative, di commemorazione e di coinvolgimento diretto dei giovani, contribuiscono a ridurre il ascino solo apparentemente seducente dell’emersione sociale attraverso i mercati illegali. Quello dell’associazione Libera, ondata da don Luigi Ciotti, è solo l’esempio più noto. Tuttavia indicativo su quanto la spinta centrifuga dei territori possa aiutare i giovani (e non solo) a operare la scelta giusta. Anche contando sull’aiuto di una pastorale ecclesiastica improntata sul recupero di persone e territori. Del resto, la devianza criminale trova linfa vitale proprio nei territori in cui aleggiano le peggiori problematiche sociali, come la disoccupazione e altre orme di povertà, tanto materiale quanto spirituale.

In contesti simili opera il Centro Padre Nostro, inaugurato da don Pino Puglisi nel 1993 e tutt’oggi centro orbitante delle attività di promozione umana nel quartiere palermitano di Brancaccio, dove il sacerdote aveva la sua parrocchia e dove u ucciso, il 15 settembre dello stesso anno. Un compito non semplice, da portare avanti attraverso un contatto diretto e quotidiano con le famiglie, tentando al contempo di limitare piaghe sociali come l’abbandono scolastico e il lavoro minorile. Fin troppe volte i punti di partenza per una deriva di vita in direzione della criminalità, non necessariamente quella organizzata.

L’evoluzione della società, sempre più votata all’interconnessione, in questo senso può favorire una maggiore apertura ai contesti al di fuori dei propri quartieri. Eppure, il contrasto all’operato criminale, molto spesso, inizia dall’offrire un contributo alla rinascita delle proprie periferie. Ancora una volta, insegnando innanzitutto a riconoscere le opportunità di sviluppo. Magari sfruttando quei contesti strappati al predominio criminale.  L’ultimo report “Fattiperbene” di Libera ha mostrato come quasi la metà dei 36mila beni immobili confiscati dal 1982 ad oggi siano stati destinati a  finalità istituzionali e sociali. Un altro punto di partenza. E di ripartenza.


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