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Una veduta panoramica di Venafro (Isernia)

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Per anni è andato avanti il tormentone: “il Molise non esiste”. Un meme alimentato da un magma emotivo: le dimensioni della regione, il numero degli abitanti, il senso di emarginazione economico e culturale. Allo smarrimento lessicale si sono poi aggiunti gli scherzi del web: una falsa documentazione geografica e il (fantastico) paragone con il Regno di Narnia.

Per fortuna i molisani sono più ironici e ingegnosi dei loro detrattori e hanno trasformato la presunta inesistenza in un brand turistico. Il problema ora però è un altro. Che questi 36 chilometri di fascia costiera, montagne, colline, boschi, laghi, fiumi, cascate e borghi bellissimi che si chiamano Molise, rischiano di scomparire davvero. La popolazione è scesa ai minimi storici. Negli ultimi 4 anni si sono persi quasi 18 mila residenti. L’ultimo rilevamento Istat, sono scesi a 290. 769, meno abitanti del VII Municipio di Roma che ne ha 307 mila circa. Tra pandemia, immigrazione, cervelli in fuga e giovani che se ne vanno, negli ultimi 2 decenni hanno traslocato in 30 mila.

Che cosa è rimasto? E’ rimasto il presidente della Regione, il Consiglio regionale, i 20 consiglieri, gli assessori, le varie commissioni etc, etc. Idem per le due provincie di Campobasso e Isernia e per i loro rispettivi organi istituzionali. Una moltiplicazione di poltrone e poltroncine che in rapporto alla popolazione tocca un livello in percentuale altissimo. Specie se alla Regione e alle due Province aggiungiamo senatori e deputati del territorio, consiglieri dei municipi, sindaci e giunte varie. Una platea sterminata di cariche istituzionali dove rappresentati e rappresentanti, votati e votanti, si fondono e si confondono.

DATECI BENEVENTO E LA DAUNIA

Un delirio di rappresentanza in uno dei territori – dati Eurostat – tra i più poveri d’Europa per reddito pro-capite. Ha un senso? “La situazione rispetto a 20 anni fa non è cambiata, anche allora il Molise aveva meno abitanti di un municipio di Roma – osserva il governatore molisano Donato Toma (Forza Italia) – ma non voglio negare il problema e sono pronto a discutere. Ma a quel punto questo discorso deve valere fare anche per gli altri, per la Basilica e la Calabria: il problema è comune a tutti”. “Qui non si nasce più – riprende Toma -: questo è il vero problema. L’immigrazione c’è sempre stata, per fermarla servono investimenti e infrastrutture”.

E i costi istituzionali di questo surplus di rappresentanza chi li paga? “Le rispondo con una domanda: siamo troppo piccoli noi o ci sono ancora troppe regioni sovrappopolate? Esempio la Campania, Noi siamo il Sannio ma il Sannio è anche Benevento. I nostri confini arrivano fino alla Daunia che però fa parte della Puglia. Non sarebbe più giusto che queste province facessero parte del Molise?”

Andare via. Nel Mezzogiorno è una condizione obbligata. La mancanza di lavoro spinge i giovani a cercare un “altrove”. L’Istat, oltre ai dati aggiornati al 31 dicembre 2020, ha pubblicato l’andamento demografico dell’ultimo anno. Il grafico di una desertificazione continua. Nel 2018 hanno lasciato il Molise e cambiato residenza in 4.703; nel 2019 oltre 3.000; 6.000 nel 2020.

Un esodo senza fine, un tasso migratorio che sta spopolando gran parte dei 136 comuni della regione, la più piccola se si esclude la Val d’Aosta. Dopo la seconda guerra mondiale Il Molise conobbe il suo periodo demograficamente più fecondo: 406 mila abitanti, censiti nel 1956 (fonte Treccani) . Da quel momento iniziò una contrazione pressoché ininterrotta, a parte una brevissima parentesi. Come del resto è avvenuto ovunque anche in questo caso si è verificata una forte immigrazione interna, dalle zone rurali verso le zone costiere e le aree industriali.

LA SEPARAZIONE DALL’ABRUZZO

Tutto si fa risalire al 27 dicembre del 1963 quando, dopo aver modificato l’articolo 131 della Costituzione, la Regione “Abruzzo e Molise” scomparve per trasformarsi in due regioni distinte. Non bastò modificare la Carta, si dovette anche procedere in deroga alla legge Marracino del 1957: stabiliva che per costituire una regione ci dovessero abitare almeno un milione di persone. Nacque così la 20° regione italiana, la più giovane, ma con una sola provincia-capoluogo, Campobasso. Sette anni dopo si aggiunse anche Isernia.

Motivazione di questa separazione se ne potrebbero trovare tante. Geografiche, identitarie, culinarie ma sarebbero forzature. Piccole differenze dialettali, sfumature. In realtà, il vero motivo per cui ci fu la scissione si fa risalire a fini chiaramente elettorali. Collegi in concorrenza tra loro, questioni spesso tutte interne alla Democrazia cristiana e alle sue correnti fratricide.

Non a caso, proprio in quegli anni, la vicina Lucera, capitale della Daunia, con il bel Castello Di Federico II che affaccia sulla Capitanata, cercò di affrancarsi dalla Puglia e sottrarsi alla sfera del distretto Foggia-Bari ,dove spadroneggiavano i morotei. Il tentativo non riuscì e l’annessione sfumò. Alla periferia dell’impero le cose all’epoca andavano in questo modo.


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