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Il peggio è passato, almeno sembra, il sole splende sull’Italia e ci ricorda che fra poche settimane l’inverno sarà finito. Lo spettro di ammanco fisico di forniture di gas all’Europa si allontana, la guerra in Ucraina è improbabile, mentre il nostro primo ministro, finalmente, ha parlato con Putin e ottenuto qualche impegno.

 I prezzi del gas sul mercato internazionale scendono leggermente, con il TTF verso i 70 euro per megawattora, valore molto più basso rispetto ai 182 del 21 dicembre, ma livello ancora troppo distante dai 20 euro di un anno fa.

IL GAS CHE MANCA

Se il clima, e la fine della stagione invernale, sono quello su cui dobbiamo sperare per la fine della crisi, allora non stiamo messi bene. Infatti, occorre da subito guardare già al prossimo autunno, quando si potrebbe ripresentare il problema delle scorte basse di gas in Europa, e la Russia rimarrà sempre il nostro principale fornitore, sia dell’Italia che dell’Europa, con il 40 per cento della domanda finale.

Purtroppo, gran parte della politica, quella legittimamente eletta, in Italia nel 2018 e in Europa nel 2019, continua invece a distrarsi e a indicare soluzioni che a volte sono al limite dal surreale.

 La prima è che occorre abbandonare il gas per puntare massicciamente sulle fonti rinnovabili, come che non si fosse già fatto fino a oggi, dimenticando che l’eccessiva attenzione all’ambiente delle nostre politiche ha contribuito alla crisi di questi giorni.

Nessuno può essere contro le fonti rinnovabili, sia per ragioni etiche che per questioni economiche, ma queste hanno problemi, sono intermittenti e disperse. Occorrerebbe urgentemente puntare sulla realizzazione di accumuli, bacini idrici giganteschi come quei laghi artificiali che abbiamo costruito nella prima parte del ‘900 quando, di fatto, le opposizioni ambientali non esistevano. Anche se dovessimo superare le ostilità locali contro i parchi eolici o fotovoltaici, resta il fatto che senza accumuli se ne limiterà l’utilizzo. In ogni caso, sia accumuli che parchi impiegheranno anni per essere realizzati, così come è stato  nei passati decenni.

Quello che manca, invece, per il prossimo inverno è maggiore offerta di gas, sia a livello europeo che italiano. In questi giorni è emerso chiaramente che manca gas in tutto il mondo, dal Nord Africa al Qatar, dall’Australia agli Usa.

INVESTIRE NEI FOSSILI

Biden può mettere in campo tutta la sua potenza, ma se non esistono impianti di liquefazione, tubi e giacimenti di produzione non si può fare molto. E qui entra in campo la finanza che, sulla pressione della politica, dei giovani, degli scienziati, quelli dell’Onu, è convinta che nei prossimi anni, già fra qualche mese, non servirà gas, tantomeno petrolio e carbone, perché l’emergenza climatica ce ne impone l’abbandono a favore, di nuovo, delle rinnovabili.

 Questa è una grave responsabilità che disegna un futuro cupo di scarsità di capacità produttiva di fonti fossili, non solo gas, ma anche di petrolio e carbone. Se la Cina consuma meno gas in questi giorni, che in parte arriva a noi, è perché usa molto più carbone, cosa che sta facendo anche la Germania. Il prezzo del petrolio è risalito sopra i 90 dollari per barile, massimo da quasi 8 anni, per effetto del ritorno a normalità della domanda, mentre l’offerta sale meno, causa i bassi investimenti degli ultimi anni.

Urge far rinsavire i finanzieri per riattivare gli investimenti nei fossili, altrimenti la crisi del gas del 2021 sarà solo la prima di una lunga serie che renderà molto accidentato il percorso della transizione.


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