Stefano Patuanelli, ministro dell'Agricoltura
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Obiettivo: autosufficienza alimentare. L’Italia non può conquistare in tempi brevi la piena autonomia dalle importazioni estere, ma è aperto il cantiere per garantire una maggiore sicurezza alimentare. La pandemia e la guerra stanno mettendo a dura prova i mercati delle materie prime alimentari connesse con quelle energetiche e ora il governo sta mettendo in pista nuovi interventi.
Ieri, in occasione del question time alla Camera, il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, ha ribadito «la necessità di garantire la sovranità alimentare a livello europeo. La crisi sugli approvvigionamenti non sarebbe stata così grave se si fossero fatte scelte lungimiranti».
LE RICHIESTE ALLA UE
Per questo, al prossimo Consiglio dei ministri dell’Agricoltura europei in programma lunedì prossimo, chiederà la revisione della Politica agricola comune in vigore dal 1° gennaio 2023 che dovrà centrare l’obiettivo di produrre più cibo inquinando meno.
«Chiederemo – ha detto – di posticipare o rivedere i piani strategici nazionali in questa fase emergenziale, sospendendo le misure che limitano la produzione, consentendo l’utilizzo di superfici a riposo e pascoli, introducendo un contributo flat ex novo per tutte le superfici agricole utilizzate».
In attesa delle misure forti per raffreddare le bollette della benzina e di tutti i prodotti energetici e dare così ossigeno alle aziende e alle famiglie (gli ultimi dati Istat di ieri registrano un aumento dei prezzi al consumo a febbraio del 5,7%, con una crescita anche degli alimentari), per l’agroalimentare si mettono in campo più azioni per rafforzare l’ossatura del sistema, piegato dal caro prezzi delle materie prime.
Dopo i contratti di filiera, che con 1,2 miliardi dovrebbero dare una robusta spinta al rafforzamento delle principali produzioni made in Italy, con un altro provvedimento varato ieri dal Parlamento si punta a favorire il rilancio delle produzioni locali minori da cui dovrebbe arrivare un sostegno all’economia agricola delle aree rurali più marginali.
È stata infatti approvata la nuova legge sulle Piccole produzioni alimentari. Si tratta dei prodotti realizzati in quantità limitate destinati al consumo e alla vendita diretta in un’area ristretta (la provincia o le aree contigue) e che potranno fregiarsi anche di un logo. Queste eccellenze locali possono ottenere spazi riservati per gli imprenditori agricoli o ittici a discrezione dei Comuni e anche gli esercizi commerciali possono dedicare dei corner mirati. Un’offerta, dunque, che dovrebbe garantire ai consumatori prodotti di qualità, di provenienza locale e a prezzi convenienti.
Anche la legge sul biologico, dopo un faticoso percorso, ha raggiunto qualche giorno fa il traguardo e rappresenta una buona base per incrementare le produzioni bio made in Italy che oggi trovano spazio soprattutto nei campi del Sud.
EMERGENZA PREZZI
Ma l’emergenza ora più pressante è quella dei prezzi. Costi alle stelle e speculazioni stanno infatti gonfiando i listini con disagi per i consumatori e per gli agricoltori che producono sottocosto.
La Coldiretti, analizzando i dati Istat sull’inflazione, rileva un aumento dei prodotti alimentari e bevande del 4,6% dovuto al rimbalzo dei prodotti energetici che hanno messo a segno un + 45,9 per cento. L’accelerazione dei prezzi dei beni alimentari, secondo l’analisi dell’organizzazione agricola, è dovuta sia a quelli lavorati (+3,1%) che non lavorati (+6,9%) con le tensioni inflazionistiche che si propagano al “carrello della spesa”.
In testa alla top ten dei prodotti alimentari che hanno fatto segnare il maggior incremento di prezzi, con un balzo del 19%, c’è l’olio di semi di girasole importato dall’Ucraina che scarseggia sugli scaffali. Ma si impennano anche la verdura fresca (+17%), anche per gli alti costi di riscaldamento delle serre, e la pasta (+12%) che, come la farina, cresciuta del 9%, è tra i beni su cui è scattata la corsa per riempire le dispense. Il carrello è più pesante per il burro (+12%), i frutti di mare (+10%), la margarina (+7%), la frutta fresca (+7%), pesce fresco (+6%) e la carne di pollo (+6%).
«Bisogna intervenire per contenere il caro energia e ridurre la dipendenza dall’estero per l’import di prodotti alimentari – dice il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini – perché l’Italia deve puntare ad aumentare la propria produzione di cibo recuperando lo spazio fino a oggi occupato dalle importazioni, che sono sempre più esposte a tensioni internazionali e di mercato, lavorando per accordi di filiera tra imprese agricole e industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione, come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali».
Produrre di più dunque, ma risparmiando sui fattori della produzione, dai fitofarmaci all’energia all’acqua. Consorzi agrari d’Italia ricorda che all’Italia manca il 40% del fabbisogno di concimi per le campagne primaverili e per questo motivo si stanno studiando soluzioni alternative per salvare le principali colture italiane, in particolare grano, e orticole, dalle patate al pomodoro.
Nel vademecum per gli agricoltori Cai consiglia di utilizzare prodotti a cessione controllata dell’azoto per ottenere un risparmio del 25% circa sui costi standard di concimazione, ma anche di utilizzare sistemi di agricoltura di precisione e risparmiare così il 20% sul dosaggio di prodotti tradizionali. L’Italia importa infatti il 70% circa di concimi minerali, oltre che da Russia, Bielorussia e Ucraina, anche da Egitto Algeria, Libia, Turchia, Marocco.
Va anche in direzione di un raffreddamento del caro bolletta l’investimento nelle agroenergie. A partire dal fotovoltaico sui tetti. È stato infatti notificato a Bruxelles dal ministero delle Politiche agricole il decreto con i bandi per accedere a 1,5 miliardi di investimenti per i pannelli solari. In questo modo, dice Coldiretti, si potranno installare impianti su una superficie di 4,3 milioni di mq per 0,43 GW sulle coperture degli edifici agricoli e zootecnici senza consumare terreno fertile.
L’ACQUA DA RECUPERARE
Anche sul fronte risorse idriche si può fare di più. L’Anbi (Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue) ha scovato «un grande bacino dimenticato, nascosto da oltre 72 milioni di metri cubi di materiali depositati sul fondo di 90 invasi che ne riducono la capacità di quasi il 10%».
Per il presidente dell’Anbi, Francesco Vincenzi, per pulirli servono 290 milioni di euro che, oltre a recuperare la preziosa acqua, potrebbero anche favorire la creazione di 1.450 nuovi posti di lavoro. L’Italia, pur essendo “idricamente fortunata” per l’apporto annuo di piogge, trattiene però solo 5,8 miliardi di metri cubi su 300 miliardi, quindi non più dell’11%.
La capacità di immagazzinare le risorse idriche delle 534 dighe e dei 13mila piccoli sbarramenti è di 13,7 miliardi di metri cubi, ma il volume autorizzato si ferma a 12 miliardi. Da qui la necessità di maggiori disponibilità idriche. Anbi con Coldiretti ha presentato un piano che prevede entro il 2030 la realizzazione di 10mila nuovi bacini medio piccoli in aree collinari e di pianura da finanziare nell’ambito del Pnrr.
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