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Una settimana prima della Pasqua della ripresa turistica con “tutto aperto” e numeri frizzanti. L’edizione 2022 del Vinitaly di Verona (10/13 aprile), la principale kermesse del settore tornata in presenza dopo due anni di stop per la pandemia, doveva essere la celebrazione di un settore chiave dell’agroalimentare made in Italy, con un tripudio di etichette, tappi e, soprattutto, numeri.
Ma a rovinare la festa ci ha pensato la guerra. E così anche il Vigneto Italia si trova a fare i conti con il caro prezzi e molte incognite.
Le etichette italiane sono sbarcate a Verona da tutt’Italia, con una forte presenza del Sud dove il vino negli ultimi anni ha conquistato spazi sempre più importanti. Il 2021 è stato un anno d’oro, dopo un 2020 segnato dall’impatto del Coronavirus che ha messo i lucchetti a bar, ristoranti, enoteche, pub e alberghi con gravi ripercussioni per le bottiglie italiane.
I RINCARI KILLER
Lo scorso anno si è chiuso con un record del fatturato che, spiega un dossier presentato ieri dalla Coldiretti, ha sfondato quota 13 miliardi per effetto del balzo dell’export che ha superato i 7 miliardi (+12%) e dell’aumento del valore dei consumi interni (+2.1%).
Il settore mette in campo un’offerta qualificata rappresentata per il 70% da Docg, Doc e Igt e oltre 1,3 milioni di posti di lavoro nella filiera allargata, che spazia dai campi alle cantine fino alla distribuzione commerciale e alle attività connesse. Un esercito di addetti che operano non solo nella produzione diretta, ma in settori legati al vino come l’industria vetraria, dei tappi, degli imballaggi, degli accessori, dei vivai, l’editoria , la pubblicità, la cosmesi e il turismo.
Ed è proprio la stretta connessione con l’Azienda Italia che oggi rende il futuro del vino ad alto rischio. I costi per realizzare un prodotto che raccoglie consensi in tutto il mondo sono lievitati del 35%, con un impatto che per le imprese del vino è calcolato in quasi 7mila euro.
Secondo lo studio Coldiretti «le nostre aziende vitivinicole si sono trovate a fronteggiare aumenti unilaterali da parte dei fornitori di imballaggi, che arrivano oggi a pesare sui bilanci per oltre un miliardo di euro. Una bottiglia di vetro costa il 30% in più rispetto allo scorso anno, mentre il prezzo dei tappi ha superato il 20% per quelli di sughero e il 40% per quelli di altri materiali. Per le gabbiette per i tappi degli spumanti gli aumenti sono nell’ordine del 20%, ma per le etichette e per i cartoni d’imballaggio si registrano rispettivamente rincari del 35% e del 45%».
Senza contare i rincari dei trasporti su gomma (+25%) e quelli di container e noli marittimi, che vanno da +400 a +1.000%. E non finisce qui. La programmazione per le imprese diventa un rompicapo perché «i prezzi degli ordini cambiano ormai di settimana in settimana».
In questa situazione anche gli investimenti restano al palo. Il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, nel suo intervento al convegno della Coldiretti, ha messo in evidenza il clima di sfiducia che regna tra gli operatori vinicoli per la guerra in Ucraina. E la cartina al tornasole, per il ministro, sono i bandi dei Piani di sviluppo rurali che vanno deserti «perché gli imprenditori non hanno certezze di quello che succederà».
PREVISIONI FOSCHE
La situazione è aggravata dalla flessione delle vendite. Sempre secondo il dossier, in questi mesi del 2022 il calo è stato avvertito dal 55% delle cantine, per il 42% non ci sono state variazioni e solo il 3% dichiara un andamento positivo.
Quello che sta avvenendo sul fronte geopolitico sta anche scalfendo l’export: quattro cantine su dieci (43%) affermano infatti di aver ridotto le spedizioni. Insomma, con la guerra si sono spente le luci. Finora ad aver assorbito l’aumento vertiginoso dei costi sono stati i viticoltori. A confermarlo il calo del prezzo del vino dell’1,2%.
«Per difendere il patrimonio vitivinicolo italiano – questo l’appello del presidente di Coldiretti, Ettore Prandini – è necessario intervenire per contenere il caro energia e i costi di produzione con interventi immediati e strutturali per programmare il futuro. Tutelare il vino significa tutelare il principale elemento di traino per l’intero sistema agroalimentare non solo all’estero ma anche sul mercato interno, a partire dal settore turistico».
Molte ombre anche dalle prospettive delineate dall’analisi di Banco BPM e Prometeia che sottolinea come sul vino non solo pesi la sottrazione di spazi di mercato con i 340 milioni di export in Russia e Ucraina, ma «la fiducia globale e soprattutto i costi delle imprese».
Le conseguenze immediate sono una revisione al ribasso di quasi 3 punti nel biennio 2022-23 per la crescita della domanda mondiale del settore. In linea le stime di Unione Italiana Vini (Uiv). Secondo il segretario generale, Paolo Castelletti: «Il vino italiano subirà quest’anno una contrazione del fatturato del 2,5%-3% a causa del combinato disposto di fattori congiunturali che con la guerra hanno subito un’ulteriore accelerazione. Il quasi completo azzeramento delle vendite presso i mercati emergenti coinvolti nel conflitto, ma soprattutto l’escalation dei costi di produzione, dell’inflazione e il crollo della fiducia dei consumatori sta creando una spirale particolarmente negativa sul vino italiano».
Uiv prevede un ulteriore aumento del costo medio di produzione per circa 400 milioni di euro, portando il surplus sui costi produttivi sui 12 mesi 2022 a 1,7 miliardi di euro.
E Federvini incalza: «La complessa congiuntura e gli aumenti dei prezzi delle materie prime ogni giorno mettono sempre più a dura prova gli operatori».
Il risultato sarà che inevitabilmente e in tempi brevi aumenterà il prezzo della bottiglia sugli scaffali dei supermercati. Per ora la distribuzione non si sbilancia: bisogna attendere le statistiche del dopo Pasqua, ma i ritocchi, a queste condizioni, saranno inevitabili, anche se Distribuzione Moderna si è impegnata a contenere gli aumenti. Perché il vino è considerato una categoria strategica con propensione sempre maggiore alla qualificazione delle vendite. I consumatori, dall’indagine Iri presentata al Vinitaly sembrano privilegiare bottiglie da 0,75 a denominazione e con prezzi in aumento (prezzo medio: 5,5 euro nel 2021).
LE DERIVE DI BRUXELLES
Fin qui la guerra che deflagra sempre più nei sistemi produttivi italiano e mondiali. Ma il vino si trova anche a fare i conti con derive pericolose di Bruxelles che ha deciso di mettere il salutare bicchiere sul banco degli imputati nella lotta al cancro.
E non solo: l’Unione europea sta anche tentando di dare disco verde ad alcune pratiche enologiche che rischiano di snaturare il succo dell’uva. Dal vino dealcolato a quello zuccherato, dal vino in polvere a quello alla frutta, ma anche il finto rosato o il vino annacquato sono alcune delle pratiche su cui Coldiretti ha acceso i riflettori nella prima mostra “Non chiamatelo vino”. Senza dimenticare i kit per il vino fai da te. E così si spalancano le porte alle contraffazioni, che per tutto l’agroalimentare italiano valgono oltre 100 miliardi.
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