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Il governo Conte tra i banchi del Senato

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Non si smorzano le tensioni nella coalizione di governo, ma Conte continua nella sua strategia di puntare ad alzare il tono del dibattito. Dalla Fiera del Levante presenta un progetto di azioni a largo spettro, il cui significato è abbastanza chiaro: chi si prende la responsabilità di farci rinunciare a tutto questo? Il problema è che quella responsabilità non vuol prendersela nessuno, senza però che nessuno rinunci a porre le sue condizioni, anzi sarebbe meglio dire i suoi condizionamenti.
L’incalzare della pandemia pone gravi problemi oggettivi che renderanno difficile per il parlamento negare a Conte la proroga dello stato di emergenza e i conseguenti poteri. Se il governo saprà farne buon uso resta un’incognita, perché la situazione generale è piuttosto diversa da quella che ci fu durante la prima ondata.

Sicuramente servirebbero un clima generale migliore e una chiamata a raccolta di capacità professionali e di intelligenze che vadano oltre la sfera delle burocrazie a cui ci si è affidati sinora, burocrazie dove c’è di tutto, da personale di ottima qualificazione a furbacchioni che sanno fare il nido nelle debolezze di ogni transizione politica. Il premier Conte è piuttosto disarmato in questa contingenza perché non dispone di alcun volano politico e per questo deve sfruttare la sua posizione “burocratica” come ha fatto palesemente col ricorso ai DPCM. Non può più neppure giocare di sponda fra i partiti della coalizione che sono tutti, per un verso o per l’altro, in situazioni complicate.

BRUTTE NOTIZIE DA BRUXELLES

Vale innanzitutto per M5S, cioè per il partito che l’ha portato al potere e che adesso non gli offre più neppure una sicura sponda parlamentare. Quei capi pentastellati che sono al governo con lui devono preoccuparsi di salvare il loro futuro, mentre il corpaccione dei loro membri nelle due Camere è in fibrillazione perenne e non dà garanzie di tenuta se si dovesse arrivare ad una prova di forza. Finora si è fatto conto che la volontà di salvare ad ogni costo la propria poltrona parlamentare avrebbe alla fine costretto tutti a non distaccarsi dal sostegno al governo, ma non è detto che questo sentimento non stia cedendo sotto la pressione di un quadro che sta cambiando.

Da questo punto di vista le notizie che arrivano da Bruxelles non sono tranquillizzanti. Il cosiddetto “piano Marshall 2.0” che avrebbe dovuto far ripetere i fasti della ricostruzione post bellica non è detto che decolli né nei tempi né nelle proporzioni che si erano annunciate trionfalmente. Le dichiarazioni di Conte al termine del Consiglio Europeo secondo le quali l’Italia non tollererà che siano rivisti i termini dell’accordo di luglio sono pura propaganda, perché il nostro paese non ha né le condizioni né la forza per imporsi. Se davvero i nostri avversari europei riusciranno a mettere un po’ di bastoni fra le ruote (non è ancora detto, ma è possibile) il nostro governo dovrà far buon viso a cattivo gioco, ma soprattutto dovrà sopportare lo schiaffo alla sua credibilità che deriverà da questo cambio di contesto.
Ne sa qualcosa il ministro Gualtieri che lascia filtrare quanto sia difficile lavorare alla nuova legge di bilancio. Per il momento però non si vuole ragionare ad un piano B, peraltro molto difficile da immaginare, e si approfitta di un momento di sostanziale tregua con le opposizioni, che hanno capito che per il momento è meglio lasciar perdere con l’illusione delle spallate e conviene ragionare sul lungo periodo in vista di scadenze come l’elezione del successore di Mattarella senza aspettarsi elezioni anticipate che allo stato attuale non sono prevedibili a breve. Fino a quando potrà funzionare l’appello al lavoro comune per sfruttare al meglio i fondi del Next Generation UE? Domanda impegnativa, che innanzitutto suppone che ci sia una disponibilità reale a far salire sul carro della ricostruzione una pluralità di soggetti, pubblici e privati, contenendo in parallelo la fame di occupazione del potere delle varie componenti della coalizione di governo. A parole si continua a sostenere che quella disponibilità esiste, nei fatti le resistenze ad apparecchiare nuovi posti a tavola sono fortissime, soprattutto perché i posti da aggiungere sono molti. Non ci sono soltanto le opposizioni parlamentari, ci sono i poteri regionali, le varie associazioni del mondo della produzione e del lavoro (dai “padroni” ai sindacati), per non dire di un po’ di organizzazioni della società civile che qualche capacità di avere voce in capitolo ce l’hanno.

PROBLEMI DI TENUTA

Soprattutto non sembra che siano disposti a stringersi a tavola quelli che ci sono già seduti, sia quei partiti che hanno problemi di tenuta (da M5S a IV), sia quelle componenti delle burocrazie statali che hanno conquistato non pochi spazi. E’ una condizione che pone non pochi problemi al PD che dovrebbe diventare, per forza di cose, il pivot della situazione attuale, essendo la forza che in questo momento è in condizioni migliori, sia fra quelle di maggioranza sia in rapporto a quelle di opposizione (qui forse solo la Meloni è, sia pure da tutt’altro punto di vista, in condizioni buone). Vedremo già in settimana come si combinano alcuni pezzi dell’attuale puzzle. Lunedì dovrebbe finalmente andare in consiglio dei ministri la riforma dei decreti sicurezza e ieri abbiamo avuto una interessante frenata nella vicenda giudiziaria di Salvini a Catania. Sono due passaggi delicati che qualcosa ci faranno capire circa future possibili evoluzioni.


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