X
<
>

Mario Draghi

Share
6 minuti per la lettura

Che un grande banchiere, quale si è dimostrato essere Draghi, apprezzato da tutta Europa e da tutti gli organismi internazionali, quello che ha fatto una buona impressione al povero Luigi Di Maio, abbia l’umiltà di citare la preghiera di Karl Paul Reinhold Niebuhr che chiede al Signore: «Dammi la serenità per accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, e la saggezza di capire la differenza», fa capire il livello raggiunto da quest’uomo. La preghiera di accettare quello che è più grande di noi, la forza di chiedere il coraggio necessario al soprannaturale per condurre la buona battaglia e l’umiltà di capire la differenza tra l’uno e l’altro.

IL FUTURO È DEI GIOVANI

Ma si sa, vi sono caratteristiche di semplicità che caratterizzano solo i grandi uomini. In un discorso che non poteva che essere ecumenico, ma nel quale vi sono tutti gli elementi che ci fanno capire quanto è chiara la situazione a uno dei cavalli vincenti che, per fortuna, possiede il nostro Paese. «Per anni una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza»: con queste parole diventa chiaro che l’Italia ha grande bisogno di statisti, che non pensino alle successive elezioni, anzi, per la precisione al numero di like e al sondaggio del giorno successivo, ma al futuro di questo Paese, a quello che dovranno essere i nostri territori. E cosa è più parte del futuro delle nuove generazioni? Quelle che ci dovranno sostituire alla guida del nostro Paese, che dovremo preparare perché siano all’altezza della sfida internazionale, sempre più competitiva e complessa, considerato che noi ci dobbiamo confrontare con chi va nello spazio, con chi costruisce le navi maxi portacointainer, grandi quanti tre campi di calcio, non certo con chi fabbrica magliette a un euro. L’Italia, quell’italietta da macchietta, è la stessa che è il settimo Paese industrializzato del mondo, quella che a volte vince i mondiali di calcio, quella che è faro di civiltà e che tutti al mondo vogliono visitare perlomeno una volta. L’Italia dei Leonardo e dei Michelangelo, del Rinascimento e della grande musica, dei grandi della letteratura e speriamo. in futuro. quella che costruisce il ponte sospeso più lungo del mondo.

L’EMORRAGIA

Questa è l’Italia di cui parla Mario Draghi. Quella che non può consentirsi di fare scappare dal Sud ogni anno 25.000 persone formate, come ci ricorda Svimez, perché non dà prospettive di lavoro e che contemporaneamente spende cifre incredibili per finanziare una quota 100 da 25 miliardi negli anni per permettere a qualche giovane fortunato di essere mantenuto, a carico dei nostri e suoi figli, magari per i successivi 30 anni, considerata una vita media che si allunga fino ormai quasi alla soglia dei 90 anni. E purtroppo questo esodo non si limita ai ragazzi del Sud, ma spesso riguarda tutto il Paese, in una mobilità che si è trasformata in emigrazione. Le eccellenze che per trovare spazio e riconoscimento devono andare presso istituzioni internazionali. In un doppio trasferimento: uno che riguarda un Sud abbandonato e un altro un Nord, sedicente locomotiva, trasformatosi senza rendersene conto in quella rana bollita, talmente abituata all’aumento della temperatura, dovuta a uno sviluppo drogato dalle risorse sottratte a un Sud incapace di difendersi, che non è più in grado di fare quel salto dalla pentola che le consentirebbe la sopravvivenza. Cosa che sarebbe stata capace di fare se invece di crogiolarsi in un’acqua che lentamente andava riscaldandosi, fosse stata immersa violentemente nella competizione globale senza gli ammortizzatori dati da risorse non dovute. Mentre d’altra parte usufruisce della formazione, costata alle regioni meridionali oltre 200.000 euro per ogni ragazzo. Quindi 5 miliardi l’anno, che emigra con la scuola media superiore, e che non saranno mai restituiti, equivalenti alle risorse cosiddette straordinarie che sono arrivate dall’Unione per recuperare divari, mai realmente combattuti.

PROGETTO UNICO

When facts change, I change my mind. What do you do sir?, ci ricorda il già governatore della Bce:, sembra un invito rivolto alla nostra vera classe dirigente, quella della sinistra padronale emiliana-lombarda, composta sì dai Bonaccini ma anche dai Sala e dai Gori, e della destra leghista lombarda, quella sedicente brava, come si è visto abbondantemente nella costruzione del Mose di Venezia, che invece che separare le acque ha moltiplicato le mazzette. Per il quale sono stati spesi oltre sei miliardi, per salvare certo la città più bella del mondo, ma sempre di una città si tratta, quando di discute da oltre 30 anni di un collegamento stabile che dovrebbe mettere in comunicazione l’estremo oriente con la mitteleuropa, evitando la marginalizzazione, ormai in atto, della piattaforma naturale logistica del Mediterraneo. Tutto poi si lega nel discorso di Draghi in un progetto unico che vuole il ritorno alla crescita. Quella che diventa l’unico modo per rimettere insieme i due pezzi del Paese, l’unico modo per restituire le risorse sottratte senza che il “Nord produttivo” con tutti i suoi mezzi di influencer, giornali cosiddetti di qualità, media televisivi nazionali, imprenditoria e potere sindacale, si ribellino a difesa della parte del Paese che lavora, sottintendendo, come alcune volte è stato detto in modo espresso, che l’altra si gira i pollici e se ne sta sul divano in attesa di pensioni non dovute per definizione e reddito di cittadinanza rubato, facendo poi un lavoro in nero. Dalla crescita passa la possibilità di ricomporre un Paese che rischia di arrotarsi in un rivendicazionismo becero, ma ultima spiaggia per un Sud impoverito che non ha capito come, ma si accorge che in qualche modo qualcuno, in un gioco banale ma perverso, lo sta condannando alla povertà e alla emarginazione.

NIENTE È PER SEMPRE

Perché, conclude Draghi, l’enorme debito con il quale dovremo convivere per i prossimi anni e che dovranno pagare i nostri figli, non è cattivo di suo. Può anche essere buono se serve non ad alimentare il consenso spicciolo ma a governare bene il Paese. Se serve a collegare finalmente l’Italia da Nord a Sud, a formare bene i nostri giovani, ad avere una sanità di eccellenza, a porre le condizioni per attrarre investimenti dall’esterno dell’area e far funzionare finalmente le Zes, allora si pagherà da solo. Ma se servirà per ulteriori quote 100, o per mancette da distribuire indiscriminatamente a lobby, anche legittime, allora si imboccherà una via senza ritorno. Non dimentichiamo: essere il settimo Paese industriale non è una condizione avuta per lascito testamentario e può essere sempre messa in discussione. Niente è per sempre, meglio non dimenticarlo.


La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.  
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE