Una corsia d'ospedale
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Sanità, dotazione infrastrutturale, politiche sociali, istruzione e cultura, ambiente, mobilità: per ognuno di questi capitoli la spesa pro capite dello Stato in ogni regione certifica l’esistenza di due Italie, con diritti di cittadinanza diversi per chi vive nelle regioni del Centro Nord rispetto a chi risiede nel Mezzogiorno. E che significa meno ospedali, medici, autostrade, treni, banda larga, servizi per disabili, e tanto altro ancora.
La relazione annuale sui Conti pubblici territoriali del 2019, realizzata dall’Agenzia per la coesione territoriale, mette in evidenza il differente andamento della spesa totale del Settore Pubblico Allargato nelle due aree del Paese: nel 2017, se a livello nazione è rimasta sostanzialmente in linea con il valore dell’anno precedente e pari a 14.133 euro per abitante dell’anno precedente, nel Mezzogiorno è scesa da 12.040 euro pro capite nel 2016 a 11.939 nel 2017, con una contrazione del -0,8%, segnando un nuovo punto di minimo dal 2003; mentre nel Centro Nord il valore è salito da 15.062 a 15.297 euro (+1,6%). In particolare, la spesa corrente del 2017 è aumentata nel Centro Nord del 2 per cento (da 13.949,12 a 14.229,78 euro per abitante) ed è rimasta pressoché stabile nel Mezzogiorno a 10.988 euro.
Il declino della spesa in conto capitale accomuna invece le due aree, benché con proporzioni differenti. A livello nazionale nel 2017 è stata pari a 62,1 miliardi, con un’ulteriore contrazione rispetto ai 66,9 miliardi dell’anno precedente. In termini pro capite, le regioni meridionali registrano una contrazione più consistente e perdono un ulteriore -12,9 per cento di interventi pubblici, passando dai 1.092 euro per abitante del 2016 a 951 euro nel 2017. La contrazione nelle regioni maggiormente industrializzate risulta più contenuta, -4,1 per cento, da 1.113 a 1.067 euro pro capite nel Centro-Nord.
LA SPESA PRO CAPITE
Numeri che si traducono nel livello di servizi e dotazione infrastrutturale che lo Stato riesce a garantire ai propri cittadini, con grandi differenze a livello territoriale come emerge chiaramente dai dati. Qualche esempio per definire il quadro.
Se consideriamo la spesa sanitaria pro capite relativa al 2018, scopriremo che per le cure di un cittadino della Lombardia lo Stato ha speso 2.533 euro – ponendo la regione al vertice della classifica relativa alla ripartizione territoriale – 2.142 per un emiliano, 2.340 per un friulano e 2.220 per un ligure. Spostandosi al Sud, in Calabria ogni cittadino ha “ricevuto” solo 1.547 euro, meno di un campano (1.593), di un pugliese (1.667) e di un siciliano (1.701).
Sulle reti infrastrutturali, poi, lo Stato ha investito 2.069 euro per ogni cittadino emiliano, 1.946 per un lombardo, contro i 731 euro per un campano e i 1.300 per pugliese. Sulla mobilità è stato il Friuli ad accaparrasi la quota pro capite più elevata (910 euro), seguita dalla Liguria (884) e dalla Lombardia (735), mentre nel Mezzogiorno la Puglia ha “conquistato” il fanalino di coda con appena 392 euro, preceduta dalla Sicilia con 407. La situazione non cambia se analizziamo i dati che raccontano l’impegno statale nelle politiche sociali, dove alla luce di un contesto meridionale fragile, la disparità di trattamento appare particolarmente stridente: 4.573 euro pro capite in Campania, contro i 7.927 in Lombardia; 5.233 euro in Sicilia, 7.633 in Friuli; 5.398 euro in Puglia, 7.124 in Lombardia.
L’istruzione costituisce un caso a sé (sulla spesa pesa in modo rilevante la voce “personale”): nel 2017, per esempio, nel Sud sono state spese 854 euro per abitante, contro i 753 euro delle regioni centro-meridionali, tuttavia tutti gli indicatori scelti per descrivere lo stato del comparto vedono il Mezzogiorno in una condizione svantaggiata: per l’abbandono scolastico, che in Sicilia e in Sardegna è pari rispettivamente a al 20,9 e al 21,9%; per competenze scolastiche, dove gli studenti calabresi spiccano soprattutto per scarse competenze in lettura (37,4%) e matematica (45,8%); per attrattività delle università, con la Calabria ancora in coda come per la sicurezza degli edifici scolastici.
LA SPESA IN CONTO CAPITALE
Nella relazione annuale dei Conti territoriali si sottolinea come la spesa in conto capitale effettuata nelle regioni del Mezzogiorno non abbia più quel ruolo di strumento di riequilibrio dei divari territoriali che aveva avuto in tutti gli anni antecedenti il 2007, quando il livello di spesa pro capite della Pubblica Amministrazione risultava per lo più superiore a quello del Centro-Nord”. Nel 2017, in particolare, la riduzione ha riguardato sia la quota della Pubblica amministrazione – che dal 33,6% del 2016 passa al 31,6% – e che le stime per il 2018 danno addirittura al 29,6% – sia il Settore Pubblico Allargato, dove la quota Sud si riduce dal 33,5% al 31,4%, di poco superiore a quello registrato nei maggiori anni di crisi (2008 e 2009). A pesare è soprattutto riduzione della spesa per investimenti nelle regioni meridionali operata da alcune imprese pubbliche nazionali (dal 35,8 al 33,8%). Ferrovie dello Stato SpA, per esempio, ha tagliato la spesa concentrata nel Mezzogiorno dal 34,7 al 29,1% (con picchi del 22% in Puglia e del 24% in Calabria); Eni dal 38,9 al 30,2% (-48% in Basilicata); Terna dal 56 al 44,8%; e Anas dal 73,3 al 64,5% (solo la Campania ha registrato un +8,5%).
LA CLAUSOLA DEL 34%
Nella relazione dei Cpt troviamo infine ancora una conferma della “violazione” della clausola del 34%, o comunque del principio dell’equità che avrebbe voluto una distribuzione delle risorse pubbliche proporzionale alla popolazione, ben prima che se ne affidasse il rispetto a una legge. Comunque disattesa: nel Mezzogiorno, tra il 2000 e il 2017 la quota di risorse ordinarie effettivamente erogata sul territorio è stata pari mediamente al 26,6%, che scende al 23,9% se si prende in considerazione solo l’ultimo triennio, al di sotto della rispettiva quota di popolazione pari al 35,1% in media nel periodo. Al contrario, nel Centro Nord la quota arriva al 73,4%, di ben 9 punti percentuali superiore una popolazione che si attesta al 64,9%. Per il Mezzogiorno la differenza tra il 34% della spesa “dovuta” e il 26,6% di quella effettivamente sostenuta vale 2,57 miliardi annui che, tra le altre cose, sono stati impiegati per la realizzazione dell’Alta velocità del Nord.
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